Partito Comunista Internazionale Indice - Numero precedente - Numero successivo
"COMUNISMO" n. 29 - luglio 1990 - gennaio 1991
Il Golfo: Una guerra contro le masse diseredate Arabe  (continua dal n.26).
Tesi sulla natura organica del partito:  Firenze, ottobre 1964 - Napoli, luglio 1965 - Milano, aprile 1966
Sulla religione: Cristianesimo e Marxismo
Appunti per la storia della Sinistra:  La battaglia contro la distruzione del Partito (continua dal n. 28)
Dall’archivio della Sinistra:
    Lettera della Frazione al Segretariato Internazionale

 

 

 


Il Golfo: una guerra contro le masse diseredate arabe

Nel nuovo conflitto imperialista che oppone il minuscolo Stato iracheno – armato fino ai denti dalle sinecure delle borghesie occidentali, russa e francese soprattutto, che gli fornirono rispettivamente fra il 1970 e il 1989 il 61% e il 18% del suo approvvigionamento in armi – all’armata gigantesca delle nazioni schernite da questa offesa incredibile al “diritto internazionale”, cioè ai rapporti di forze ai quali le borghesie economicamente più potenti sottomettono il mondo intero, in mezzo ai clamori bellicisti dei dirigenti nazionali, dell’isteria dei media, e dell’apatia delle classi lavoratrici paralizzate dal malessere economico che pesa più o meno sulle loro spalle, potrà farsi sentire la voce del proletariato rivoluzionario e del suo partito di classe?

Nel coro orchestrato dai nostri governanti borghesi, Saddam Hussein è evidentemente presentato come l’aggressore, il “barbaro” le cui truppe saccheggiano, uccidono, violano questo piccolo bel paese del Kuwait, garante e gerente gli interessi petroliferi delle classi dominanti occidentali!

Questo “novello Hitler” minaccerebbe per di più il pacifico Stato Saudita, prodotto della volontà dell’imperialismo britannico e che con il Kuwait si rifiutava di aumentare il prezzo del petrolio, misura che avrebbe risollevato considerevolmente le esangui finanze irachene. Ancora una volta come per ogni nuovo conflitto ci si guarda bene dall’insistere sulle ragioni locali ed internazionali che spingono oggi il presidente dittatore iracheno a trovare una via d’uscita alla grave crisi economica e sociale che mina il suo Stato, a denunciare il sequestro occidentale delle ricchezze arabe attraverso l’intermediario del Kuwait e dell’Arabia Saudita e la spartizione coloniale che tende a mantenere la nazione araba in uno stato di debolezza, a qualificare il consiglio di sicurezza dell’ONU strumento della politica “straniera e ingiusta” dell’America, e a drizzarsi contro i potenti di questo mondo!

Non si tratta per noi nel modo più assoluto di trovare la minima scusa allo Stato iracheno, borghese, imperialista, e al suo scaltro dittatore educato brillantemente, come il resto della sua cricca, nelle scuole occidentali “civilizzate” dalla nostra grande “cultura” borghese e che da 20 anni conduce una lotta di classe feroce contro le sue masse, insanguinate dalla repressione, dalla miseria, dalla guerra.

Noi non abbiamo mai qualificato il governo iracheno “laico progressista”, come ha fatto, per esempio, la classe politica ed intellettuale francese in tutti i modi dal 1968 al 1988, convogliata a Baghdad, tutta spesata, e che partecipava ai sontuosi ricevimenti regolarmente imbanditi dall’ambasciata irachena a Parigi, che riceveva sussidi per finanziare i partiti, ecc. (vedi l’eloquente articolo di “Le Monde” del 23 agosto); e tutto questo per coprire la firma dei grandi contratti militari e industriali, cioè una politica di mercato! Né USA avrebbero niente da ridire, loro che, assillati da Khomeini e Gheddafi, aprirono crediti all’Iraq che gli permisero di comprare cereali e prodotti industriali, con grande gioia degli agricoltori e degli esportatori americani. La lista degli antichi “amici” potrebbe essere lunga! Ma tutti ben sanno che gli Stati non hanno amici: hanno solo interessi! Per il capitale il denaro non ha odore e non conosce che un principio: il profitto! Si tratta, prima di tutto, di smaltire la propria sovrapproduzione, liberi di opporsi poi a quegli Stati clienti armati delle stesse armi sono state loro vendute. Solo i piccolo borghesi ed i giornalisti stipendiati ne sono stupiti, distillatori di una morale da quattro soldi.

Cosa succede dunque oggi a questi grandi borghesi offesi dall’arroganza del piccolo iracheno, e che punti sul vivo mettono in moto il loro apparato politico e militare? Bisogna ricordarsi che questo tipo di conflitto è ancora una volta la conseguenza delle contraddizioni del sistema capitalistico mondiale. Tutta la vita economica è caduta sotto la dominazione di una oligarchia finanziaria capitalista che ha acquistato l’egemonia e che prende le decisioni dietro le quinte della democrazia parlamentare in tutte le questioni importanti che determinano il destino delle nazioni. Il povero “consumatore” non si stupisca oggi se le compagnie petrolifere, che hanno mesi di riserve, aumentino i prezzi profittando del conflitto per speculare a spese dell’economia nazionale senza che i governanti possano impedirlo! Così “Le Monde” del 4 settembre ci informa che il prezzo del petrolio pagato in dollari dalle compagnie francesi, malgrado l’aumento in corso, non aumenterà per quest’anno che del 3% a causa della svalutazione del dollaro rispetto al franco, mentre il prezzo al consumo sta crescendo enormemente.

Le contraddizioni, la concorrenza, l’anarchia produttiva, si aggravano sempre di più nell’economia mondiale. La sete di profitto ha spinto il capitalismo alla conquista continua di nuovi mercati, di nuove sfere d’investimento, di nuove fonti di materie prime e di mano d’opera a buon mercato. La situazione dei piccoli Stati accerchiati in mezzo alle grandi potenze è diventata sempre di più intollerabile. Trotski così scrisse nel suo Manifesto per il primo congresso della Internazionale Comunista, del 1919, sulla situazione del 1914-18, molto simile a quella di oggi.

      «Questi piccoli Stati, nati in differenti epoche come frammenti di grandi Stati, come spiccioli destinati a pagare differenti tributi e servizi, come cuscinetti strategici, possiedono le loro dinastie, le loro caste dirigenti, le loro pretese imperialiste, i loro intrighi diplomatici. La loro indipendenza illusoria era riposta fino alla guerra, come l’equilibrio europeo, sull’antagonismo permanente fra i due campi imperialisti. La guerra ha distrutto questo equilibrio. La guerra, col dare dapprima alla Germania una enorme superiorità, ha costretto i piccoli Stati a cercare la loro salvezza nella magnanimità del militarismo tedesco. Vinta la Germania, le borghesie dei piccoli Stati, di concerto con i loro patrioti “socialisti”, si sono rivolte verso l’imperialismo vittorioso degli alleati ed hanno cominciato a cercare negli articoli ipocriti del programma di Wilson delle garanzie per il mantenimento della loro esistenza indipendente. Nello stesso tempo, il numero dei piccoli Stati è aumentato: dalla monarchia austro-ungarica, dall’impero zarista si sono staccati nuovi Stati che appena nati, si azzannano alla gola per questioni di frontiere.

     Gli imperialisti alleati nel frattempo preparano combinazioni di piccoli Stati, vecchi e nuovi, con il fine di incatenarli gli uni agli altri, in un odio mortale ed una debolezza generale. Opprimendo e violentando i popoli piccoli e deboli, condannandoli alla carestia e all’umiliazione, gli imperialisti dell’Intesa, come avevano fatto poco prima gli imperialisti delle potenze centrali, non smettono di parlare che del diritto dei popoli a disporre di se stessi, mentre loro stessi li calpestano in Europa e nel mondo intero. Solo la rivoluzione proletaria può garantire ai piccoli popoli una esistenza libera perché essa libererà le forze produttive di tutti i paesi dalla angustia degli Stati nazionali unendo i popoli in una stretta collaborazione economica conformemente ad un piano economico comune. Essa solo darà ai popoli piccoli e deboli la possibilità di gestire in tutta libertà e indipendenza i loro affari e la loro cultura nazionale senza danno per l’economia unificata e centralizzata dell’Europa e del mondo intero».

L’essenza della situazione mondiale attuale non è solamente caratterizzata dalla tensione estrema nel Golfo legata al declino economico e al malessere sociale nei paesi più popolati del mondo arabo, alimentata dalla questione palestinese e libanese che i mercenari israeliani tentano di controllare, e soprattutto dagli antagonismi imperialisti delle grandi potenze occidentali. Essa non si caratterizza più solamente con il crollo violento del blocco sovietico che rimette in causa l’ordine mondiale, cioè la divisione del mondo fra i due grandi mostri rivali usciti dal secondo conflitto mondiale, ma essa è contrassegnata dalla crisi finanziaria, economica e sociale che scuote il sistema capitalistico nel suo insieme.

La velocità incredibile con la quale il blocco dell’Est si è affossato economicamente e politicamente lascia sbalordite le classi dominanti occidentali. Dopo essersi stropicciate le mani sulla morte del “comunismo” come caduta definitiva di un sistema ideologico nemico che intralciava l’espansione del loro commercio, esse pensano con spavento, coscienti della loro fragilità economica e sociale, che potrebbe succedergli la stessa cosa! E si imbarcano quindi nella nuova crociata di questa fine del XX secolo per recuperare i “Luoghi Santi” invasi dall’eretico, cioè punti strategici, militari ed economici, vitali per il loro organismo capitalista pletorico e malato! Il balordo ma imponente imperialismo si è messo in moto non in nome del “diritto internazionale”, come grida Bush, ma della “lotta internazionale”. Bisogna mostrare al resto del mondo che la funzione di gendarme del mondo tocca al capitalismo più forte cioè gli USA. Con la sua demagogia ripugnante e la sua incredibile ipocrisia, Bush cerca di convincere che questa spedizione punitiva ha per scopo difendere la democrazia, la libertà messa in pericolo dall’insolenza del piccolo dittatore, che si permette di dimenticare di chiedere il permesso ai padroni del mondo per annettersi una regione.

Chi può fra questi signori dare lezioni morali a Saddam Hussein e alla sua banda quando non molto tempo fa Israele, nell’indifferenza del “mondo libero”, ha potuto annettersi tranquillamente Gerusalemme est nel 1968, il Golan siriano nel 1981 e il Libano del Sud in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza! È lo stesso per la Siria che occupa il 70% del Libano e che per ragioni di rivalità nazionali sostiene il campo americano nel conflitto attuale. E le dichiarazioni di Bush appariranno ciniche a quelli che guardano senza paraocchi dopo gli interventi militari USA in Cambogia, a Grenada, a Panama ed in Libia. Violano senza condanna principi che essi vogliono oggi imporre ad altri. Noi altri marxisti non abbiamo cessato di denunciare, da decenni, che il “diritto internazionale” è un ipocrita codice di regole morali elaborato dagli Stati borghesi più forti per sottomettere ai loro interessi economici gli Stati più deboli e che i primi a violare quelle Tavole della Legge sono sempre stati i suoi fondatori.

Si mormora sempre più forte negli ambienti diplomatici che i servizi americani disponevano di informazioni precise circa i preparativi di invasione del Kuwait. «La fine della guerra con l’Iran, le difficoltà finanziarie crescenti del paese unite ad una nuova proliferazione di armi erano note da parecchi mesi: tutti gli osservatori, sia diplomatici sia agenti di informazione sapevano che l’Iraq avrebbe posto un nuovo problema in Medio Oriente», affermano gli uffici di informazione occidentali (“Le Monde” del 19 agosto). E lo stesso articolo si interroga sui secondi fini americani che non aspettavano altro che Saddam Hussein cadesse in errore dando agli USA l’occasione di distruggere le infrastrutture militari strategiche irachene.

In effetti dalla fine della Seconda Guerra mondiale gli USA hanno teso ad installarsi militarmente nel Medio Oriente e l’affossamento sovietico permette loro oggi, in occasione di questo conflitto, di far man bassa su questa zona strategica con il loro ruolo di gendarmi del mondo. Da un punto di vista militare l’America si installa con le sue truppe in Arabia Saudita trasformata in una seconda piazzaforte yankee in Medio Oriente dopo Israele. L’”Herald Tribune” del 28 agosto citato in “Le Monde Diplomatique” di settembre infatti scrive: «L’attuale spiegamento di forze americane ha dato al Pentagono qualche cosa che i sauditi gli avevano appena rifiutato: il diritto di condurre esercitazioni in Arabia Saudita». Da un punto di vista economico le truppe USA si sono quasi esclusivamente spiegate attorno ai campi petroliferi, sorgente vitale di energia per i vampiri capitalisti grandi e piccoli, mentre la quota di acquisto del petrolio grezzo da parte degli occidentali dall’Iraq e dal Kuwait è molto scarsa (9% per la CEE, 8% per gli USA, 11% per il Giappone). Il “mondo civilizzato” affida al braccio del sedicente cowboy il suo approvvigionamento in petrolio ad un buon prezzo e il racket regolare di ricchezze arabe dal Kuwait e dall’Arabia investite nelle economie occidentali.

Ma gli yankee non sono comuni mercenari che si fanno pagare con le briciole e non è quindi sorprendente se presentano ora la fattura a tutte quelle borghesie che non hanno avuto la forza militare sufficiente per intervenire. Tutti devono pagare, i grandi come i piccoli che, sottomessi alla “legge internazionale” dell’imperialismo più forte politicamente, economicamente e militarmente, hanno applicato strettamente l’embargo ed hanno sofferto di più a causa della loro estrema fragilità economica, come la Turchia, l’Egitto, la Giordania, l’Europa dell’Est. D’altronde questi compensi sono il modo migliore per mantenere questi piccoli Stati sottomessi! Quanto potrà resistere il presidente Mubarak ad inviare truppe in Arabia Saudita quando l’Egitto, sull’orlo della guerra civile, accetta ogni anno 2 miliardi di dollari dagli USA, anche se la crisi attuale rimpatriando 800.000 lavoratori egiziani gli fa perdere i 2,2 miliardi di dollari annuali che questi poveri diseredati gli rimettevano?

Rispondendo immediatamente al richiamo all’ordine americano, il Giappone ha piegato la testa offrendo un “contributo significativo”. Ma la Germania, in difficoltà per le spese sulla riunificazione, sembra farsi tirare le orecchie! La Francia, avendo mostrato il suo zelo inviando la sua Clemenceau e i suoi elicotteri, è stata gentilmente cancellata dalla lista dei paesi sollecitati: il dirigente dell’estrema destra francese Le Pen – che per altro qualifica di legittimità storica l’annessione del Kuwait da parte dell’Irak, secondo una logica nazionalista e borghese conseguente – le ha attribuito il titolo di “aiutante sceriffo”, che le conviene a meraviglia. È lo stesso per la Thatcher la cui impresa di spedizione alle Malvinas non ha fatto altro che rinforzare la linea dura.

Quale che sia la riuscita del conflitto, questa dimostrazione di forza metterà in riga non solamente i nemici, ma anche gli amici ed alleati dell’America in modo da far accettare loro la forma che deve prendere il mondo del dopo guerra fredda, il nuovo ordine fra le diverse nazioni.

La crisi del Golfo non avrà avuto soltanto per effetto il sancire il piccolo Stato iracheno, ma anche di cercare di far capire all’Europa ed al Giappone che, ora che è stata riportata alla ragione l’Unione Sovietica, non si tratterà di fare a meno delle forze armate americane né delle procedure, delle prese di decisioni e di pressione economica e militare di Washington. Un commentatore americano citato da “Le Monde Diplomatique” afferma che il contributo reclamato alle altre potenze occidentali dovrebbe accompagnarsi ad «una più grande flessibilità in ciò che concerne le questioni commerciali e gli altri problemi economici»! Dietro il clangore delle armi si cela sempre la contrattazione economica.

Il potente capitalismo USA è anche lui agli estremi! Infatti il più grande imperialismo mondiale, il cowboy dalle pistole di fuoco, il gendarme del pianeta, è un colosso dai piedi di argilla divorato e minacciato dalla crisi economica e che non sopravvive che sfruttando il mondo intero, potenze “amiche” comprese! Sia pur così, noi non verseremo una lacrima sul balletto infernale che si svolge attualmente fra le nostre grandi, medie, piccole borghesie internazionali. Il sistema capitalistico ignora completamente le regole dell’educazione e conosce solo quelle dei rapporti di forza.

Ma se lo Stato terrorista americano, attraverso la crisi del Golfo, mostra chiaramente il suo gioco ai suoi concorrenti borghesi, pur tuttavia non perde di vista, insieme a tutti gli altri membri della classe borghese, il suo nemico reale, il proletariato e le classi povere, segnatamente contadine, che gli si possono raggruppare dietro. Di fronte ad ogni movimento di resistenza e di lotta attiva gli antagonismi borghesi di ieri e di oggi spariranno per lasciar posto ad una unità, temporanea, per combattere il proletariato, come ha mostrato il massacro della Comune di Parigi del 1871.

Il proletariato arabo e le masse contadine povere sono prese in una morsa, da un lato la crudeltà e l’oppressione di classe dei loro governi dittatoriali come in Iraq e in Siria, monarchici feudali come l’Arabia Saudita o repubblicani come l’Egitto, e, dall’altro la miseria esacerbata dalla crisi che spinge all’aumento dei contrasti sociali. Essi si potranno lasciar fuorviare ancora una volta a manifestare sentimenti anti-occidentali in una difesa nazionale di cui il partito Baath si fa il portabandiera. Da più di un secolo le potenze occidentali, smembrando il Medio Oriente a seconda dei loro interessi economici e politici, hanno impedito l’emergere di una grande nazione araba ed hanno e continueranno ad ostacolare lo sviluppo economico di queste regioni esercitando una pressione economica, politica e militare. Il consenso popolare di cui può beneficiare oggi il clan di Saddam Hussein è il risultato dell’umiliazione e dell’aumento della miseria inflitte da decenni alle masse arabe, con l’aiuto dello Stato mercenario israeliano che non cessa di violare i famosi diritti internazionali. La creazione di Stati artificiali poco popolosi, ma ricchi di oro nero, sostenuti dalle potenze occidentali, è lo strumento per il persistere della divisione tra i differenti Stati arabi e del loro assoggettamento agli interessi stranieri.

Per il proletariato il peggio cedere alle sirene nazionaliste del partito Baath e soprattutto a quelle della piccola borghesia araba, base sociale del nazionalismo e dell’integralismo. La stessa piccola borghesia che in Iran nel 1951, per paura del proletariato, si è rivoltata contro il governo di Mossadeq, allora autenticamente rivoluzionario dal punto di vista borghese, permettendo così agli americani di rimettere il sella lo Scià. La stessa piccola borghesia che da decenni inchioda il proletariato palestinese in una impasse, svenandolo in un combattimento nazionalista che non è il suo.

Il blocco economico che subisce l’Iraq non mancherà di condurre all’esasperazione i contrasti di classe. Quel che noi rivoluzionari ci possiamo augurare nel contesto attuale è che la situazione esploda in mano a questi borghesi, incendiando tutto il Medio Oriente. Se per il momento una tale prospettiva è poco probabile, presto o tardi si presenterà. Ma lo sviluppo di un movimento rivoluzionario nettamente proletario in Medio Oriente dipende prima di tutto dal proletariato europeo che dopo la disastrosa disfatta del 1926, non è ancora uscito dal suo letargo. Tuttavia la terribile depressione che si prepara e di cui si vedono le prime avvisaglie nel cuore stesso del più potente degli imperialismi, gli Stati Uniti, lo farà uscire dal suo torpore e lo spingerà finalmente di nuovo sugli avamposti della storia!

Quanto a noi comunisti, noi rivolgiamo al proletariato mondiale questo magnifico indirizzo tratto dal Manifesto scritto da Trotski, in piena ondata rivoluzionaria dopo il grande massacro del 1914-18, e ancor oggi attuale:

     «L’umanità lavoratrice tutta intera diventerà lo schiavo tributario di una cricca mondiale trionfante, che sotto l’insegna della Società delle Nazioni per mezzo di un esercito “internazionale” e di una flotta “internazionale” saccheggerà e strangolerà gli uni, getterà delle briciole agli altri, ma sempre e dappertutto incatenerà il proletariato con il solo scopo di mantenere il suo dominio? O la classe operaia d’Europa e dei paesi avanzati del resto del mondo si impadronirà della vita economica, anche se disorganizzata e distrutta, al fine di assicurare la sua ricostruzione su basi socialiste? Abbreviare l’epoca della crisi attuale non è possibile che con i metodi della dittatura del proletariato che non guarda verso il passato, che non tiene conto dei privilegi ereditari né del diritto di proprietà, ma unicamente della necessità di salvare le masse affamate, che mobilizza a questo scopo tutti i mezzi e tutte le forze, decreta per tutti l’obbligo del lavoro, istituisce il regime della disciplina del lavoro al fine di guarire in alcuni anni le piaghe aperte della guerra, ma anche di innalzare l’umanità a cime nuove e insospettate».

 

 

 




Tesi sulla natura organica del Partito

Le Tesi qui ripubblicate furono presentate alle riunioni di partito di Firenze, nell’ottobre 1964, di Napoli, nel luglio successivo, e di Milano nell’aprile 1966.

Questo corpo di tesi, omogenee nella sostanza degli argomenti trattati anche se distanziate nell’arco di due anni, rappresenta il punto più alto, e definitivo, per ciò che attiene i compiti, il lavoro e la struttura del partito. Il titolo che gli volemmo dare fu tagliente, inequivocabile: Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale.

Rivendicammo quindi un lavoro di partito, benché «la situazione fosse storicamente sfavorevole», che assolutamente respingeva non solo ogni meccanismo democratico, ma anche vietava, ed impediva all’interno del Partito, ogni tipo di manovrismo politico e qualunque scimmiottamento di forme borghesi.

In questo suo tagliente definirsi, la compagine organizzata di allora, anticipazione e proiezione del futuro potente partito della Rivoluzione, ben si poneva sulla linea storica della formazione del Partito Comunista d’Italia, così come si costituì sotto la direzione della Sinistra in una temperie storica di slancio rivoluzionario delle masse proletarie; Partito che raggiunse un ottimo grado di efficienza rivoluzionaria e di perfetta disciplina ed unità di azione dei suoi militanti, senza l’apparato di occhiuti funzionari comunque ligi al centro dirigente, e truffaldini meccanismi di consultazione, tipici della successiva degenerazione stalinista.

L’organizzazione del Partito ed il suo metodo di relazione interna devono corrispondere alla sua natura ed ai suoi fini comunisti. Confortati da una esperienza di vita di partito non breve postulammo che il futuro partito non avrebbe più utilizzato i meccanismi della società morente ed i miti delle personalità più in vista. È e sarà una organizzazione in grado di attraversare le lunghe fasi della controrivoluzione, che eviterà ogni scorciatoia opportunistica, che non avrà finalmente più alcun bisogno di personificare sé stesso ed il suo programma in un capo di grido, che, illuminato da un programma scientifico e completo di lezioni tattiche, non utilizzerà mai più il metodo della lotta politica interna e dello scontro di frazioni.

Questo deve e dovrà essere il Partito se vuole mantenere il programma della rivoluzione futura; così solo potrà polarizzare attorno a sé le masse insorgenti in un istintivo abbracciare lo schieramento della internazionale guerra di classe.


- Considerazioni sull’organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole
Ottobre 1964 - Il Programma Comunista n.2, 1965

- Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio della sinistra comunista
Luglio 1965 - Il Programma Comunista n.14, 1965

- Tesi supplementari sul compito storico, l´azione e la struttura del partito comunista mondiale
Aprile 1966 - Il Programma Comunista, n.7, 1966

 

 

 

 




Sulla religione

È delle fasi di maggiore decadenza nel capitalismo maturo il ricorso sfrenato di ampi strati della società a manifestazioni religiose, a forme di misticismo esasperato, in generale a tutto l’armamentario che l’irrazionale, l’abdicazione al mondo della “ragione” – non altrimenti immediatamente rappresentabile se non con il triviale ed inumano paradigma del profitto – mette a disposizione di un’umanità istupidita dalla grancassa del mercato e delle merci. La religione resta la grande consolatrice dell’individuo singolo, avulso dalla specie, immerso in una società in putrefazione che respinge e nega ogni forma di vera umana solidarietà.

Eclissatasi sulla scena storica la forza trainante e rigeneratrice della Rivoluzione, del Comunismo, tradita e negata la speranza in un futuro umano libero dalla schiavitù morale e materiale del salariato, riprende forza e campo il senso religioso, con tutto l’armamentario volto alla conservazione, al mantenimento dello status quo, immobilizzando ogni pulsione e volontà di distruggere l’ordine presente. La Chiesa Cattolica, le varie e diverse altre Chiese ed organizzazioni religiose sono allora uno dei più forti pilastri che sorreggono questo mondo inumano e putrescente ed è per questo che il Comunismo è non soltanto ateo, ma apertamente, dichiaratamente antireligioso, e la Rivoluzione rivendica in toto l’antico aforisma “la religione è l’oppio dei popoli”; frase che come tutte le “anticaglie” sa di intollerabile asprezza alle orecchie ruffiane di intellettuali e dialogatori.

Per il Comunismo, una “coscienza religiosa”, è assolutamente inconciliabile con la lotta rivoluzionaria per l’emancipazione, su questa terra, dell’umanità lavoratrice.

Questa è la posizione di sempre del Partito al riguardo.

Ma studiare, analizzare le ragioni materiali che hanno portato al sorgere delle religioni, coglierne la funzione progressiva e per certi versi, di avanzamento scientifico, è altrettanto necessario per definire ed afferrare tutti i termini della nostra centenaria battaglia contro le religioni, massimo quelle giunte ad un corpus teorico e dottrinario ragguardevole e sofisticato quale quella cristiana.

Anche se la nostra dottrina materialistica rende omaggio, e guarda con ammirazione alla conquista che la religione ha rappresentato per l’uomo primitivo come forma più alta della conoscenza, ed in ere più recenti alla elaborazione di forme di religioni individualistiche e paritetiche, senza vincoli di classe, per dare un fondamento teoretico alla volontà di abolire la pressione intollerabile delle classi sfruttatrici e schiaviste, contrapponendosi alle religioni politeistiche ufficiali, non di meno si attrezza nel suo lavoro di studio per demolirne i fondamenti teorici, come arma di una battaglia che avrà fine solo con la completa sparizione di ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Lo studio che segue riprende in modo chiaro, in una sintesi precisa e tagliente i temi di base della nostra critica storica e materialista alla religione in genere ed al cristianesimo in particolare, secondo un metodo che è solo del Partito di classe; e malgrado la sua stesura risalga a diversi decenni fa, è ancora adesso perfettamente utilizzabile, come nostra risposta all’incalzare subdolo e martellante delle reazionarie enunciazioni dei preti di ogni genere.

 

Cristianesimo e marxismo

Si suole considerare religione e scienza due manifestazioni dello spirito nettamente antagonistiche. Eppure un esame più approfondito ci fa concludere che questa valutazione non corrisponde a verità. Pur sotto le apparenze, attualmente così diverse, sono state originate dalle stesse cause e sostanzialmente sono il medesimo fenomeno, solo a un diverso grado di sviluppo; la religione più primitiva, la scienza più evoluta.

Se nell’uomo le conoscenze hanno potuto raggiungere l’attuale grado di elevatezza ciò è in virtù di una possibilità evolutiva del suo cervello infinitamente superiore a quella degli animali cosiddetti superiori. Questa capacità evolutiva è stimolata e azionata dalla necessità di provvedere ai propri bisogni, necessità che agisce con un meccanismo che, per usare una espressione paradossale, può essere in certo modo paragonato a quello che esercita l’uomo sugli animali quando li ammaestra. Esso riesce a produrre nella loro mente, in misura varia a seconda delle capacità delle varie specie e dei singoli individui, conoscenze che senza questo stimolante non sarebbero sorte. Quando è finalmente riuscito, in virtù di questa azione, a creare i primi mezzi tecnici per produrre il necessario per vivere, l’uomo è stato dall’uso di questi mezzi, che portano con sé la necessità della divisione del lavoro, costretto a determinati rapporti, quelli e non altri, con gli altri uomini. Le singole società umane, che solo allora si possono chiamare tali, si sono così costituite.

Non molto diversamente avviene in certe specie di animali, anche inferiori (ad esempio api e formiche), che compiono un lavoro in comune. I vari membri dell’organizzazione che questi animali creano hanno funzioni varie e rapporti gerarchici tra loro e sempre quelli. Se in questi animali lo sviluppo delle loro società non è andato oltre ciò dipende dal fatto che la loro capacità evolutiva intellettuale si è arrestata. Nell’uomo essa è continuata e continua e, stimolata dall’aumento numerico degli esseri umani e dai nuovi ed aumentati bisogni che sorgono, è indotta alla produzione di sempre nuovi e più ricchi mezzi per soddisfarli, i quali costringono a sempre nuovi e più complessi rapporti, la realizzazione dei quali non può avvenire senza che nel contempo vengano espressi sotto forma di idee.

È in questo meccanismo di sviluppo di bisogni sociali, di organizzazioni sociali, e quindi di sviluppo di conoscenze che, ad un certo punto del cammino dell’umanità, si forma ed appare, in tempo vario e in modo pressoché uguale nei vari aggruppamenti di essa, quel fenomeno intellettivo che, ad un certo grado della sua evoluzione, assume i caratteri per cui viene designato col nome di religione.

Le prime forme di organizzazione sociale stabile apparvero quando i gruppi nomadi, che vivevano di alimenti offerti dall’ambiente naturale, cominciarono a fissarsi e a coltivare la terra. Per stimolare i cicli vegetativi in modo da ottenerne maggiori prodotti le operazioni del primitivo agricoltore dovettero adattarsi a cicli stagionali e a regole che i primi capi e dirigenti delle tribù ebbero interesse a fissare, stabilire e far riconoscere generalmente. Di qui la necessità di portare l’attenzione sul giro degli astri, primo tra i quali, per i suoi effetti sul clima, il Sole, che in quasi tutte le religioni è il primo degli Dei e uno dei più forti. La espressione di queste regole, aventi forza di leggi primitive disciplinanti le comunità, non poteva che assumere forme vaghe, misteriose e fantastiche, tuttavia direttamente sorte da un bisogno reale e da un procedimento sperimentale. Non diversamente avviene nel formarsi delle prime scienze; basti pensare alle prime ricerche astronomiche degli antichi Caldei, oppure al classico esempio del sorgere dalla topografia (scienza applicata) la trigonometria (scienza teorica) sua figlia, nate per esigenza di ristabilire, dopo le fecondanti piene del Nilo e il ritiro delle acque, i precisi limiti degli appezzamenti coltivati da ciascuna famiglia.

L’insieme di tutte queste acquisizioni conduce a sistemarle nelle prime generalizzazioni, ed a tal fine la funzione che hanno in tempi più recenti la filosofia e la scienza comincia ad essere assolta dalla religione, che originariamente è una ipotesi per spiegare quanto avviene tra gli uomini e nell’universo tutto, e tale fondamento conserva pure al vertice del suo sviluppo. La sua comparsa sta ad indicare che l’essere umano è giunto a un tale punto della sua evoluzione intellettuale da stabilire il rapporto di causa ed effetto tra alcuni fenomeni cui assiste o partecipa, e tenta di formulare una teoria che possa servire a spiegare tutti i fenomeni. Se noi chiamiamo scienza quella attività dell’intelletto che ha precisamente il compito di spiegare i fenomeni, è evidente che ogni ipotesi che si propone questa finalità è un’ipotesi scientifica, anche se la si dimostri in seguito errata.

Le scienze non procedono se non costruendo nuove ipotesi che le successive osservazioni eliminano in tutto o in parte per permetterne la costruzione di nuove. Queste sono possibili, e in tanto costituiscono un passo avanti, in quanto vi sono le nozioni precedenti che le sono servite di base o di punto di appoggio, anche se in perfetta contraddizione con esse. Il passo avanti ha dei limiti di possibilità segnati dalle cognizioni già acquisite, non dalla maggiore o minore genialità di questa o di quell’altra mente umana. La nuova ipotesi, ossia la nuova dottrina, considerata più precisa, più esatta, più vera di quella ritenuta ieri la vera, non è sorta per taumaturgica virtù di un genio eccezionale e superiore agli altri; è considerata più esatta, e lo è, non perché ha raggiunto o si è avvicinata al vero assoluto, ma perché o riesce a dare una spiegazione a fenomeni fino a quel momento inspiegati, o ne dà una spiegazione più accettabile per quelle menti che, avendo acquisito le più moderne nozioni, riconoscono errate o imprecise o incomplete le spiegazioni precedenti.

Per intendere meglio la natura di molti fenomeni, conviene sorprenderli nel momento in cui si iniziano. Giunti in seguito al massimo del loro sviluppo, molto spesso si sovraccaricano di altri elementi che ne mascherano la genuina originaria fisionomia. Per quanto riguarda le religioni è pressoché impossibile oggi riconoscerne l’origine studiandole quali sono oggi, a un alto grado di sviluppo. Bisogna riportarsi alle loro prime manifestazioni e cercare di ricostruire quali fossero le nozioni che gli uomini avevano delle cose e degli avvenimenti che servirono di base o di punto di partenza per le prime manifestazioni religiose.

Molto rudimentali dovevano essere quelle nozioni, quando, ad esempio, si cominciarono a formare le prime basi di quella che divenne la religione greco-romana, col suo corteo di dei, di dee, di semidei e via. Certo esisteva la osservazione secolare che vi erano esseri che si muovevano, che si alimentavano, si modificavano e morivano, ed esseri che si modificavano e perfino morivano, ma non si muovevano e non si alimentavano. E infine esseri o cose che non si modificavano e non si muovevano da sé e per muoversi dovevano essere trasportate o spinte da quegli esseri che avevano la facoltà di muoversi.

L’idea del moto fu tra le prime a formarsi. Fu un significativo passo nella conoscenza la formulazione dell’ipotesi che corpi come il Sole e la Luna dovessero essere spinti o trainati da esseri simili agli uomini o agli animali, anche se non visibili. Ammessa questa prima ipotesi, tentativo di spiegazione scientifica, anche se oggi non più accettabile, elucubrazioni posteriori dovettero dare a questi esseri di cui si era ammessa la esistenza le qualità necessarie per compiere le azioni che si riteneva compissero, cioè la potenza, infinitamente superiore a quella degli uomini e la eternità, ossia l’immortalità. Che ci vuole di più per affermare che l’idea della divinità si era formata?

E l’uomo, ancora primitivo, non poteva non attribuire a questi esseri le stesse qualità che egli aveva, sia pure in maniera infinitamente maggiore, o qualità che erano negazione di quelle dell’uomo. Questi esseri potenti compivano azioni che non tutte riuscivano benefiche agli uomini, i quali giudicavano e giudicano gli avvenimenti dal bene o dal male che ne ricevono. E queste loro azioni gli uomini dovevano subire, quindi essi erano anche i padroni dei destini umani. Se facevano danno, vuol dire che gli uomini li avevano indotti in collera e bisognava trovare il modo di renderli favorevoli. Già in questo momento si è lontani ormai dai primi tentativi di spiegazione dei fenomeni cui gli uomini assistono: per renderli favorevoli non ci si poteva comportare se non come era necessario comportarsi con i potenti della terra, cui si offrono doni e si rivolgono preghiere. Tutto ciò doveva essere fatto in misura anche maggiore, dato che essi erano assai più potenti anche dei maggiori potenti della terra.

 Per queste funzioni di intercessione i più adatti erano proprio quelli che queste cose coltivavano, sapevano, insegnavano. La casta dei sacerdoti si venne così creando. A costoro inoltre bisognava dare una casa per compiere le loro funzioni. E così nacquero i templi. Non manca alcuno degli elementi costitutivi di una religione. Così è sorta nel mondo greco-romano quella religione che fu chiamata paganesimo, nel cui meccanismo di produzione non ha agito solo il fattore puro e semplice dell’aumento o miglioramento della conoscenza: lo sviluppo del paganesimo ha seguito quello degli eventi umani.

Ma gli eventi non sono che le vicende delle classi e dei conflitti che sorgono fra di esse e che portarono nel mondo greco-romano alla costituzione di caste ben distinte tra loro per speciali privilegi, al di sotto delle quali esisteva la massa infinita degli schiavi, in cui l’uomo, una volta entrato, cessava di essere tale per divenire giuridicamente una cosa. Seguire gli eventi non vuol dire compiere il modesto ufficio di commentatore.

La religione pagana, come tutte in genere, ebbe il suo impulso da parte delle caste, delle classi, dei capi privilegiati che se ne servirono come strumento di dominio, di asservimento e di oppressione delle classi soggette, rientrando così la religione nei fenomeni derivati dalla lotta delle classi. Più la struttura delle classi si è accresciuta e complicata più è cresciuta la famiglia degli dei, ne sono aumentate le funzioni, e più perfezionata la gerarchia, ricalcata sulla gerarchia che si formava nella società umana. Altra gli uomini non potevano né possono concepire.

Se questa può essere stata l’origine del paganesimo, sentimento religioso nel mondo greco-romano, non così è nato il cristianesimo, che ha trovato questo sentimento già da secoli parte costituente dello spirito umano. Esso nasce nel vasto mondo della romanità nel periodo di decadenza del regime schiavistico e dell’Impero, che di quel regime è la sovrastruttura e nel contempo il sostegno. Nasce come espressione di una ribellione delle classi oppresse e dei popoli oppressi da quel regime, esprimendone le esigenze. Questo complesso ideologico fu denominato in seguito cristianesimo, perché chi lo formulò con maggior precisione fu Cristo, così come la leggenda, ossia i Vangeli, hanno tramandato.

Non ha importanza per il nostro assunto la questione se e quanto Cristo sia stato un personaggio storico. Importa il fatto che le masse oppresse, spinte dalla necessità della loro esistenza a ribellarsi, e incapaci di tradurre questa loro aspirazione se non nei termini di una immagine religiosa, iniziarono a darsi a guida e a sostegno un essere superiore agli uomini, una divinità. Bisognava combattere contro una arcipotente organizzazione sociale, che si era costituita a sua difesa anche un corteo di forze sovrannaturali, ossia di Dei. Il Dio degli oppressi non poteva appartenere a quell’Olimpo i cui Dei si occupavano solo e sempre di aiutare gli oppressori. Il Dio degli oppressi doveva essere di natura diversa da quelli, e più forte di tutti quelli insieme. Non era possibile una coesistenza di Dei, che comandassero gli uni, amici di una parte dell’umanità, e gli altri, amici dell’altra. Nacque e si imponeva la questione chi fra gli uni e l’altro fossero i veri Dei.

D’altra parte, è chiaro che una prima espressione embrionale prescientifica, all’altezza sia delle conoscenze dei capi che dell’incultura delle turbe, dell’esigenza di rovesciare il tradizionale regime teocratico, non riuscendo a tradursi in un postulato egualitario che elevasse lo schiavo all’altezza del padrone, si formulasse simbolicamente nella asserita eguaglianza di tutti gli esseri umani in una vita oltretomba, e la rivendicazione contro le angherie del ceto possidente si presentasse, ad esempio, alle folle ingenue degli oppressi come il divieto a costui del regno dei Cieli.

Questo aspetto, esterno diremo, più passionale e più comprensibile, prende il sopravvento: la lotta che termina con la scomparsa del paganesimo e la vittoria del cristianesimo, ma che è in sostanza il precipitare e il crollo del regime schiavistico, prende l’aspetto, nella storia dell’umanità, di una lotta di religione. Ma il Dio Cristiano, unico, tanto potente da dare la vittoria agli oppressi, non può essere solo il Dio di costoro senza essere nel contempo il padrone, anzi il creatore dell’Universo, di cui regola, comanda, crea e dirige ogni manifestazione.

A questo punto del suo sviluppo, l’idea cristiana, nata come espressione delle aspirazioni degli oppressi, diventa una ipotesi, una nuova ipotesi, per la spiegazione dei fenomeni umani e dell’universo, e come tale esprime nei suoi sviluppi le vicende della società di cui divenne via via la sovrastruttura ideologica. Non vogliamo qui ripercorrere il complesso cammino storico per cui la religione cristiana, nata come formulazione ideologica della rivolta delle plebi oppresse, e come tale ricca di lieviti rivoluzionari anche se non traducibili sul piano di una trasformazione radicale della società, divenne la religione, la ideologia delle classi dominanti, dell’Impero romano prima, dei regimi feudali poi, e perciò si modellasse sulle esigenze concrete e sulla struttura di queste società, pur mantenendo il postulato dell’astratta eguaglianza di tutti gli uomini di fronte a Dio (e perciò della loro fratellanza), nel contempo convalidando sulla vita terrena la ferrea divisione gerarchica delle classi cui diede anzi sanzione di inesorabile legge divina.

La borghesia nascente, come lottava contro i vincoli di rapporti di produzione arginanti il suo dinamismo di classe rivoluzionaria, così lottò nel tardo Medioevo e nei primordi dell’Evo Moderno contro la rigida dogmatica impalcatura ideologica cristiana, contro e la sua visione del mondo che gelosamente giustificava e teoricamente difendeva gli antichi rapporti fra le classi e che trovava la manifestazione concreta nell’apparato gerarchico e accentrato della Chiesa. E fu la lotta della scienza moderna contro i baluardi del dogma e della Chiesa.

Eppure, compiuta dalla borghesia rivoluzionaria la distruzione della società feudale, fu la stessa classe vincitrice a far propria una religione che, nella sua secolare codificazione, ben si adattava a sancire la sottomissione inesorabile delle classi oppresse, la nuova schiavitù del lavoro salariato. Come si era riconciliata con la Chiesa, pur distruggendone tanti privilegi, così la borghesia illuminista e razionalista, la borghesia creatrice della scienza moderna, la rivoluzionatrice del mondo economico medievale come delle ideologie tomiste, fece sua la religione cristiana, appellandosi alle sue postulazioni ugualitarie e umanitarie contro le vecchie classi dominanti e alla sua costruzione gerarchica contro le classi soggette.

La scienza moderna, figlia della borghesia nascente, aveva già eliminato la necessità di ammettere la presenza di un essere superiore per spiegare i fenomeni del mondo: tuttavia, come si è visto, aveva lasciato sussistere intatta la religione col suo armamentario di dogmi apertamente contrastanti con quel principio: l’aveva lasciata sussistere perché, figlia della nuova classe dominante, ne riconosceva la necessità ai fini della conservazione sociale. Quel principio, riconosciuto sul piano delle scienze come interpretazione dei fenomeni dell’universo, non fu trasportato sul piano dei rapporti umani, ad interpretare il loro svolgersi e progredire come prodotti di forze che nascono dagli uomini in quanto produttori e agiscono tra essi e su di essi.

Questa concezione scientifica dei rapporti umani, perché diventi idea dominante e forza attiva è necessario che sia l’espressione, il pensiero di una classe che, per la necessità del suo sviluppo, della sua esistenza, e quindi della sua lotta, deve farla proprio. È la classe che soffre della nuova schiavitù del lavoro salariato che, indagando nelle sue miserie, giunge a questa conclusione: così come non è un essere sovrannaturale che governa il mondo studiato e interpretato dalla scienza naturale, nemmeno lo sono le sue condizioni ma il frutto dell’attività umana. E se è così, è la stessa attività umana che deve sanarlo. Questa classe è il proletariato.

Ma al proletariato, per la sua vita e la sua funzione di classe rivoluzionaria, non basta questo elemento ideologico negatore: esso necessita di una dottrina più complessa, distruttrice e costruttrice insieme. Tale dottrina è il marxismo. Il marxismo nasce in condizioni molto analoghe al cristianesimo, nasce infatti dalla lotta di classe e propriamente da quella odierna del proletariato contro la borghesia, ed in funzione di questa lotta. Nasce come l’espressione ideologica della classe proletaria, di cui indica la necessità del pervenire, la via e i modi di questo pervenire. Il marxismo esiste non perché un giorno sia comparso nel mondo un certo individuo che si chiamava Marx, il quale si è posto a filosofare ed ha estratto dal suo cervello la dottrina che porta il suo nome. Il marxismo esiste in quanto esiste, ed esisteva già prima, la lotta tra proletariato e borghesia. L’esperienza e la critica di questa lotta provoca necessariamente in seno alla classe attiva, e cioè rivoluzionaria, la formulazione delle idee intorno ad essa. In seno alla classe, anche se i primi formulatori della dottrina e il suo maggiore teorico non provengono da essa. È la classe che ha iniziato e compie la lotta, di cui i teorici danno la spiegazione, avendone accettato e fatto proprie le aspirazioni (vedi «Prometeo», n.12, gennaio 1949).

La dottrina marxista, come ogni altra dottrina, trova il suo fondamento nelle dottrine precedenti e nelle esperienze e condizioni storiche esistenti. Delle dottrine precedenti, una parte utilizza, altre rigetta e riconosce errate e corregge. Anch’essa non può andare oltre i limiti che queste condizioni preesistenti ed esistenti permettono. È un termine dialettico del divenire storico delle lotte di classe; vale finché le condizioni che l’hanno fatta nascere non si sono modificate al punto da generare altri sviluppi. Essa accompagna, guida e dirige il proletariato nella sua lotta rivoluzionaria finché questo avrà espletato quanto è costretto a fare dalla necessità del suo sviluppo, e cioè distruggere la società attuale, la società borghese, per creare attraverso la fase della sua dittatura la società senza classi.

L’indagine critica marxista decifra il perché dell’insorgere e costituirsi della società borghese, e dell’antagonismo che in essa esiste fra la classe proletaria oppressa e la borghesia dominante. Essa mostra come dallo sviluppo stesso della società borghese, per virtù di questo antagonismo, si vengano a creare le condizioni per cui il proletariato dovrà distruggerla. La spiegazione data dal marxismo ai fenomeni umani è un’ipotesi scientifica in quanto è una spiegazione di essi, ed è la sola ipotesi che oggi possa essere formulata in base alle acquisizioni dottrinali che l’umanità possiede. Dall’esame critico dell’epoca borghese dell’umanità, la teoria si estende all’interpretazione del divenire di tutte le società umane, la cui successione è sempre frutto della lotta delle classi antagoniste, create per necessità derivanti dai modi di produzione.

Ma da questa ipotesi esplicativa dei fenomeni umani la concezione marxista si allarga. Il balzo innanzi nella decifrazione del meccanismo sociale e del volgere storico si è ottenuto superando le concezioni tradizionali scolastiche ed astratte di società, di individuo, di giustizia e sostituendo a questo metodo, che Marx chiamò metafisico, l’indagine dei contrasti di interessi e delle guerre di classe. Parimenti, le scienze della natura avevano progredito in modo formidabile liberandosi dalla immobilità aristotelica e tomistica dei Cieli, dai concetti assoluti di materia e di spirito, per ricercare l’infinito gioco delle forze e delle influenze attrattive e repulsive in tutti i campi dei fenomeni fisici, chimici, biologici.

Di qui il vigore generale della dialettica, che vale come distruzione rivoluzionaria di tutti i concetti superati e fossilizzati, difesi dalle forze dell’autorità e della conservazione. Di qui la minaccia al mondo moderno, al mondo borghese, fermatosi nell’applicazione della critica filosofica al campo delle scienze della natura, di estendere la critica al campo della economia politica e vincere le sue resistenze di classe con la critica delle armi rivoluzionarie.

La formazione della concezione marxista presenta alcune analogie con la formazione di quella cristiana, sia per le cause che l’hanno prodotto sia per il suo evolversi fino a divenire una spiegazione generale dei fenomeni dell’universo. Ma il contenuto delle due concezione non è solo diverso, è antitetico. Il cristianesimo è stato la dottrina di quel certo periodo storico, ossia del trapasso rivoluzionario che determinò il crollo della economia schiavistica e per cui si sono venute a creare le basi della società che dura ancora, malgrado le immense trasformazioni successive. Esso si fondava sulla esistenza di forze sovrannaturali.

La concezione marxista, sorta in periodo di vastissimo sviluppo delle conoscenze, che, nella fase di investigazione e di quella di divulgazione escludono il ricorso all’intervento di forze sovrannaturali, è chiamata ad accompagnare quell’azione rivoluzionaria del proletariato che deve condurre a distruggere proprio la società che il cristianesimo ha contribuito a formare.

Come la società in cui prevarrà il proletariato è destinata a distruggere quella attuale, così la ipotesi o la dottrina marxista è destinata a far giustizia di quelle precedenti e in particolare del cristianesimo, nello stesso modo come questo fece a sua volta con la religione pagana. Del cristianesimo resterà il ricordo storico, il ricordo di un fatto passato così come è oggi ricordo storico la religione pagana, con questa profonda differenza: che, in rapporto al paganesimo, il cristianesimo è stato un puro e semplice superamento, sia perché come ipotesi esplicativa dei fenomeni non esce dallo stesso concetto della necessità dell’intervento della idea divina sia perché, come azione sociale, se ha contribuito all’eliminazione della schiavitù nel senso classico della parola, non ha fatto che contribuire alla sostituzione di questa con nuove e più raffinate forme di schiavitù. Se, prima di esso, si comprava lo schiavo, comprandosene di fatto la capacità lavorativa, e gli si dava lo stretto necessario per vivere, nella società borghese tuttora richiamantesi al cristianesimo, è il lavoratore che al mercato non vende più sé stesso ma le sue capacità lavorative, e il capitalista che le compra gli dà in compenso lo stretto necessario perché possa vivere, ossia mantenere efficiente la sua capacità lavorativa. Questa è la forma di schiavitù che il cristianesimo ha contribuito a creare e che si chiama oggi salariato. Al lavoratore zelante il cristianesimo offre l’illusione infrenatrice di una ricompensa dopo la morte, il regno dei cieli, in premio della sua rassegnazione ad accettare la tristezza della miseria presente.

Il marxismo, invece, mirando a distruggere proprio questa forma di schiavitù con la eliminazione del salariato, mira a demolire il pilastro fondamentale su cui poggia tutta la società moderna, a creare una società senza classi e perciò senza ideologie che alla divisione in classi e alla sua proiezione in tutti i campi del sapere si richiamino.

La dottrina e la pratica della lotta di classe sono al centro del marxismo, ma non possono essere proposte separandole dalla riduzione dei fatti politici e storici alla sottostruttura economica in cui si determinano i bisogni e si urtano gli interessi. Non vi è marxismo se non s’indaga per la stessa via sulla origine di tutti i fatti di natura morale e conoscitiva. In questa indagine, come abbiamo rammentato, trova il suo posto l’origine storica delle concezioni religiose come di quelle scientifiche trattate come processi analoghi non rispondenti a sfere diverse né interpretabili fuori dal campo dei rapporti materiali e naturali.

Nulla resterebbe della descrizione marxista sul successivo contrapporsi storico delle classi sociali in lotta, se si volessero trattare come mondi separati quelli della fisica, dell’economia, del diritto, dell’ideologia.

Alla posizione dei padroni di schiavi che avevano costruita una teologia vietata ai loro servi oppressi, utilmente si oppose una mistica più evoluta che, fingendo per ogni individuo la stessa attesa di una vita d’oltretomba e di un giudizio sulle proprie azioni, ben si prestava a condurre la lotta egualitaria.

Quando l’ideologia cristiana fu adoperata a difendere la monarchia di diritto divino e l’assolutismo politico, convenne alla borghesia sospinta dalle sue esigenze economiche svolgere la critica di ogni presupposto soprannaturale. Divenuta classe dominante, essa non mancò di arrestarsi nella sua opera distruttiva dinanzi al pericolo del crollo di ogni barriera giuridica ed etica, di tutti questi sistemi che mutano sì, ma restano indispensabili per i regimi fondati su privilegi di classe. È quindi soltanto con la lotta del proletariato per abbattere il capitalismo che può venire spinta a fondo una critica scientifica radicale atta a rimuovere tutte le incrostazioni ideologiche tramandate dai successivi sistemi di classe.

Volere accettare il determinismo economico marxista come chiave degli urti sociali nel mondo presente, e quindi anche nella storia passata, voler prendere parte alla lotta dal lato della classe operaia e con un programma anticapitalistico, non è lontanamente ammissibile ove si pretenda che tale posizione ed azione si limitino ad un campo ristretto ed estraneo a quello della conoscenza scientifica, della professione di idee filosofiche o della confessione religiosa.

Così facendo, infatti, si rende impossibile considerare e sviluppare il contrasto tra le nuove forze produttive, primissima la classe che lotta per emanciparsi, e i vigenti rapporti e forme di produzione che sono per Marx nello stesso tempo il sistema sociale, il diritto vigente, lo Stato, l’etica, le idee tradizionali rispondenti alla giustificazione del dominio della classe al potere, e le ideologie costituenti l’avanzo della difesa di sistemi sociali ancora più antichi.

Non può esservi dunque maggiore mostruosità che l’assunzione di un processo spirituale indipendente e superiore di natura religiosa o anche filosofica a cui si possa partecipare con manifestazioni di opinione e perfino con atti di professato culto e la contemporanea adesione e partecipazione alla lotta proletaria di classe.

Una simile adesione al marxismo è doppiamente contraddittoria. Dapprima perché annienta la dipendenza e derivazione dei processi intellettivi ed emotivi dalle condizioni materiali ed economiche in cui vive l’individuo e la classe. In secondo luogo perché distrugge la successione storica delle classi sociali in lotta. Rende impossibile il comprendere come esse abbiano impiegato nell’offesa e nella difesa anche le loro proprie armi ideologiche e propagandistiche, riflesso dei loro interessi. La formazione dell’arma teorica della lotta operaia, arma in cui noi vediamo una forza altrettanto concreta di quelle economiche e militari, è il marxismo stesso; come il marxismo altro non può essere che quest’arma rivoluzionaria. Quindi non può consentirsi la sua professione ai conformisti di ogni genere, ai credenti nelle menzogne della civiltà borghese o addirittura negli avanzi di un paradiso che la stessa borghesia aveva già considerato in frantumi.

 

 

 


 


Appunti per la Storia della Sinistra

La battaglia contro la distruzione del Partito

(continua dal numero 28)

La Frazione, fin dal suo sorgere, si pose il problema dei rapporti con gli altri gruppi di opposizione alla politica ufficiale dell’Internazionale. Nel primo numero di “Prometeo” si leggeva:

    «Nessun gruppo rappresenta ancora la base per l’organizzazione di tutte le forze sane che (...) esistono per il raddrizzamento del partito. Nessun gruppo, sulle questioni fondamentali come il “fronte unico”, “partito e masse”, “governo operaio e contadino”, ha una posizione soddisfacente. Questo fatto è molto significativo. Per una parte tutto andava bene fino al IV congresso mondiale, per altri invece, la degenerazione ha cominciato dopo il V congresso, e via di seguito. La verità sta nel fatto che questi diversi gruppi furono liquidati dalla bolscevizzazione in epoche diverse, ed ognuno è disposto a far coincidere la propria liquidazione con l’inizio della degenerazione. Il tutto per essi si risolverebbe con il ritorno al IV o al V congresso. Per noi il problema è molto più complesso e si ricollega direttamente al disparere del compagno Bordiga sul processo di costituzione della III Internazionale.

     Il corso degli avvenimenti ha dimostrato che il compagno Bordiga aveva ragione. L’Internazionale comunista non è riuscita, nella sua attività, ad eliminare dal suo seno l’opportunismo. Come sempre il germe opportunista nel seno del proletariato si nasconde dietro frasi rumoreggianti e solamente in periodi di depressione o in momenti decisivi per la conquista del potere da parte del proletariato, esso manifesta tutti i suoi lati negativi con delle conseguenze disastrose per il movimento proletario. Ottobre tedesco, Aventino in Italia, Comitato Anglo-Russo, blocco delle 4 classi in Cina, teoria del socialismo in un solo paese in Russia».

D’altra parte, anche se l’elaborazione teorica dei gruppi di opposizione era del tutto insoddisfacente, se non addirittura nulla, la Frazione non poteva fare a meno di riconoscere che, bene o male, questi gruppi rappresentavano un tentativo di opposizione alla degenerazione controrivoluzionaria ed influenzavano degli strati proletari sani. La Frazione si proponeva quindi «di svolgere con mezzi adeguati un serio lavoro di assimilazione di questi strati orientandoli su di un terreno di sinistra mettendo a nudo le insufficienze delle loro posizioni», e non certo di aderire a pateracchi organizzativi per poter contare qualche cosa di più.

Il 2 giugno 1928 il gruppo francese “Contre le Courant” inviò a tutti i gruppi di opposizione esistenti in Francia una lettera aperta nella quale si diceva:

     «La prospettiva prossima di una politica molto aggressiva contro il proletariato impone a dei comunisti dei compiti e dei doveri sempre più importanti. Nella incapacità e carenza del partito, spetta dunque ai comunisti di opposizione, ridotti al silenzio nel partito o esclusi per aver lottato contro l’opportunismo e la sua corruzione, di fornire uno sforzo più vigoroso e più coerente, adottando delle nuove modalità di azione». Rilevata l’esistenza di molti gruppi di opposizione e gli inconvenienti di questa dispersione, la lettera precisava che, anche se non si poteva pensare ad una immediata fusione, tuttavia proponeva la creazione di un «organo unico che sarebbe l’organo politico e dottrinale del blocco dei comunisti di opposizione (...) L’organo comune – diceva la lettera aperta – sarà all’inizio, in una certa misura, una giusta opposizione delle diverse tendenze»

Concludeva invitando tutti ad una conferenza internazionale dell’opposizione.

La risposta della Frazione fu un categorico rifiuto. “Prometeo” rispondeva che, secondo il pensiero della Sinistra, dovere dei rivoluzionari non era quello di «adottare nuove modalità di azione», come proponeva “Contre le Courant”, ma di trarre dalle esperienze del proletariato le dovute lezioni ad agire in modo che «il processo di degenerazione dell’Internazionale si risolva in una reale rigenerazione del marxismo rivoluzionario di sinistra, per rimettere l’avanguardia proletaria alla testa dei combattimenti decisivi (...) È inconcepibile che tutti gli avvenimenti che abbiamo vissuti possano rinchiudersi nell’anti-stalinismo ed è certo che questa base – l’anti-stalinismo – non fornisce nessuna garanzia per la riorganizzazione del movimento rivoluzionario».

Riguardo poi all’argomento secondo cui l’esistenza di molti gruppi di opposizione provocasse l’inconveniente della dispersione delle forze, la Frazione precisava:

     «Vi sono molte opposizioni. È un male, ma non vi è altro rimedio che il confronto delle loro ideologie (...) Se esistono molte opposizioni significa che vi sono molte ideologie che devono manifestarsi nelle loro sostanza e non incontrarsi in una semplice discussione in un organo comune. La nostra parola d’ordine è di andare in profondità senza lasciarsi guidare dalla suggestione di un risultato che non sarebbe in realtà che un nuovo insuccesso».

La Frazione invitava quindi i vari gruppi ad elaborare una piattaforma di azione e sulla base di quella vedere, poi, le possibilità di incontro.

Nella sua risposta la Frazione si rifaceva sostanzialmente ai concetti espressi nei 5 punti sviluppati nella lettera a Korsch.

Un atteggiamento del tutto differente era invece quello da tenere nei confronti dell’Opposizione Russa, l’unica che, oltre la Sinistra italiana, avesse elaborato delle direttive sistematiche di azione e che non si fosse mai discostata, nelle questioni centrali, dalla politica di Lenin. La solidarietà della Sinistra nei confronti dell’Opposizione russa era stata espressa in modo chiaro fino dal primo numero di “Prometeo”, innanzi tutto con la ripubblicazione dell’articolo “La Questione Trotski”, poi con prese di posizione a favore dei compagni di sinistra russi e con la pubblicazione di lettere ed articoli di Trotski.

Nel 5° numero del giornale (settembre 1928) nel resoconto del congresso della Frazione, tenuto nel luglio in Belgio, si diceva: «Si passa a trattare quindi dei rapporti con le altre opposizioni ed il Congresso approva la linea di assoluta intransigenza verso tutti i gruppi tenendo presente la riserva fatta dal compagno Bordiga verso il gruppo Trotski che ha presentato una piattaforma soddisfacente dal punto di vista dei principi».

In seguito il C.C. della Frazione aveva votato una risoluzione che, benché affermasse che «le differenze di posizione politica fra la Frazione di sinistra ed il gruppo di Opposizione capeggiato dal compagno Trotski sussistono malgrado l’adesione data dalla Sinistra e dal compagno Bordiga alle critiche da questo gruppo formulate nei confronti della politica statale del partito russo», malgrado queste differenze la Frazione «proclama(va) la sua solidarietà con l’attività svolta da questo gruppo nell’ottobre 1927 per la difesa dei principi del vittorioso ottobre 1917, Rivoluzione proletaria e comunista». Quindi, quando Trotski chiese di conoscere le posizioni della Frazione, quest’ultima fu ben lieta di allacciare dei contatti con l’Opposizione russa.

Nell’agosto del 1929 furono mandati a Trotski una serie di documenti caratterizzanti le posizioni della Sinistra italiana ed una lunga lettera dove, oltre a ripercorrere le tappe della formazione della Frazione all’estero, veniva espresso il punto di vista dei compagni italiani sia sulla natura dello Stato russo, sia sulla politica dell’Internazionale e non venivano nemmeno taciuti i punti sui quali la Frazione non concordava con l’Opposizione russa.

La risposta di Trotski, scritta il 25 settembre 1929, non poteva essere più incoraggiante. Riferendosi al materiale che i compagni italiani gli avevano fatto pervenire, Trotski diceva:

     «Questi documenti, come pure la lettura di articoli e discorsi del compagno Bordiga, oltre al fatto che lo conosco personalmente, mi permettono, in una certa misura, di giudicare le vostre idee essenziali ed il grado di solidarietà che ci unisce (...) La “Piattaforma di Sinistra” (1926) mi ha prodotto una grande impressione. Io credo che essa sia uno dei migliori documenti emanati dall’opposizione internazionale, e che sotto molti rapporti, essa conserva ancora oggi tutta la sua importanza. È una cosa molto importante, soprattutto per la Francia, che la piattaforma metta in primo piano la politica rivoluzionaria del proletariato, la questione della natura del partito, i principi essenziali della sua strategia e della sua tattica.

    In questi ultimi tempi noi abbiamo visto in Francia come per molti rivoluzionari in vista l’opposizione ha servito semplicemente di tappa nell’evoluzione dal marxismo al sindacalismo, al tradunionismo, o semplicemente allo scetticismo. Quasi tutti hanno tentennato sulla questione del partito. Voi conoscete certamente l’opuscolo di Loriot dove questi dà prova di una incomprensione assoluta della natura del partito, della sua funzione storica dal punto di vista dei rapporti di classe e scivola nella teoria della passività tradeunionista che non ha niente di comune con le idee della rivoluzione proletaria».

Passando poi a parlare del gruppo di Monatte, Trotski dice:

     «Arrivato dal 1917 al 1923 sulla soglia del marxismo e del bolscevismo questo gruppo ha fatto, da allora, molti passi indietro nel senso del sindacalismo, ma non si tratta più del sindacalismo combattivo dei principi del secolo, il quale costituiva un passo in avanti del movimento operaio francese, si tratta invece di un sindacalismo relativamente tardivo, passivo e negativo che cade, il più delle volte, in un tradunionismo schietto (...) Souverine lottando contro la burocrazia e la slealtà dell’apparato dell’Internazionale comunista è giunto ugualmente alla negazione dell’azione politica del partito stesso (...)

    Queste sono le ragioni per cui io do tanta importanza alla solidarietà che esiste tra noi sulla questione del partito, del suo compito storico, della continuità della sua azione, della sua lotta necessaria per far prevalere la sua influenza in tutti gli aspetti, qualunque essi siano del movimento operaio. In questa questione un bolscevico, cioè un rivoluzionario marxista, passato per la scuola di Lenin non può fare concessioni. Per molte altre questioni la piattaforma del 1926 dà delle eccellenti definizioni (...) è così che essa dichiara con una nettezza assoluta, che i partiti contadini detti “autonomi” cadono fatalmente sotto la influenza della controrivoluzione. Si può dire arditamente che nell’epoca attuale non può esservi e non ci sono eccezioni a questa regola. Laddove la classe contadina non marcia dietro il proletariato, essa marcia dietro la borghesia contro il proletariato (...) La vostra piattaforma sottolinea con giusta ragione, in connessione della lotta dei popoli oppressi, la necessità dell’indipendenza assoluta del partito comunista, la dimenticanza di questa regola essenziale giunge alle conseguenze le più funeste, come ce l’ha mostrato l’esperienza criminale della subordinazione del partito comunista cinese al Kuomintang».

Trotski chiudeva, infine, la sua lunga lettera con un apprezzamento sul capo del centrismo italiano:

     «Per ciò che concerne la direzione ufficiale del partito italiano io non ho avuto la possibilità di osservarla che all’Esecutivo dell’Internazionale, nella persona di Ercoli. Dotato di uno spirito opportunista e di una buona parlantina, Ercoli è adatto – non si potrebbe dire meglio – per i discorsi di un procuratore o di un avvocato su di un soggetto ad ordinazione, ed in modo generale, per eseguire gli ordini. La casistica sterile dei suoi discorsi, sempre tendenti in definitiva verso la difesa dell’opportunismo, è l’opposto, molto netto, del pensiero rivoluzionario vivente, muscoloso, abbondante di Amadeo Bordiga (...) Avendo così su un fianco dei centristi tipo Ercoli e sull’altro dei confusionisti ultra sinistri, voi siete chiamati, compagni, a difendere, sotto le dure condizioni della dittatura fascista, gli interessi storici del proletariato italiano e del proletariato internazionale. Con tutto il cuore io vi auguro buona fortuna e successo. Vostro Leo Trotski» (Costantinopoli, 25 settembre 1929).

Quasi contemporaneamente si costituì in Francia il gruppo de “La Verité” formato dall’incontro di spezzoni di altri gruppi molto eterogenei tra loro. Vi era una frazione di “Révolution Prolétarienne” aggregatasi alla “Lutte de Classe” e ad elementi facenti parte di “Contre le Courant” e del “Bulletin Communiste”. Questo gruppo lanciò immediatamente la proposta di organizzare una rivista internazionale di studi dell’opposizione. Era praticamente una riedizione dell’iniziativa presa, l’anno precedente, dal gruppo di “Contre le Courant”, solo che questa volta l’iniziativa trovò l’adesione dei gruppi di opposizione del Belgio, Austria, Germania, Polonia e del gruppo di Canon in America. Questa adesione generale dipese certamente dal fatto che Trotski aveva appoggiato l’iniziativa.

Inutile dire che la proposta venne estesa anche alla Frazione della Sinistra italiana. Nella sua risposta, pubblicata nel n. 23 di “Prometeo” (15 ottobre 1929), la Frazione cercò soprattutto di fare chiarezza su alcune questioni. Innanzi tutto il fatto della pubblicazione di una rivista internazionale redatta da elementi responsabili di gruppi differenti, dei quali non era ancora possibile misurare le comunanze e le discordanze, avrebbe potuto rappresentare il pericolo di aumentare la confusione e produrre uno scoraggiamento di cui i proletari non avevano certamente bisogno. Lungi quindi dal facilitare il corso della rigenerazione del comunismo l’avrebbe potuta compromettere gravemente fornendo all’opportunismo nuovi punti di appoggio.

     «È certo – scriveva “Prometeo” – che l’andamento della crisi centrista, e la disgregazione dei partiti comunisti, pone condizioni obiettive per i primi sforzi di contatto su scala internazionale fra i gruppi che sono passati alla lotta contro l’opportunismo mantenendosi nelle direttive che portarono alla fondazione dell’Internazionale Comunista. Ma, come troppo spesso avviene, anche quando le condizioni obiettive esistono, quelle soggettive, e cioè la preparazione dei militanti e dei gruppi, sono invece in ritardo. Quello che è chiaro per i marxisti è che allorquando le condizioni obiettive si presentano spetta ai proletari comunisti di fare tutto il possibile per rispondere al loro dovere. Ma nel campo dell’iniziativa tendente a rispondere alle necessità della situazione, una parte estremamente importante spetta al metodo con cui si inizia un lavoro, con cui si fanno i primi passi che condizionano anche i successivi».

La Frazione insisteva sul fatto che ogni gruppo avrebbe dovuto, in primo luogo, elaborare una propria piattaforma che delimitasse i contorni fondamentali politici per i quali il proletariato sarebbe stato chiamato a dare il suo appoggio alla nuova organizzazione.

Questo modo di impostare il problema fu alla base, lo vedremo meglio in seguito, delle prime dissonanze e della rottura, poi, con Trotski. Secondo Trotski, invece, l’esperienza francese provava che sulla linea di una preventiva formulazione di una piattaforma si sarebbe andati verso il nullismo o verso sterili elucubrazioni, mentre il tempo urgeva e bisognava porre la prima condizione per redigere la piattaforma; cioè creare un primo movimento.

Può sembrare strano che Trotski dapprima scriva alla nostra Frazione che al primo posto deve essere messa «la politica rivoluzionaria del proletariato, la questione della natura del partito, i principi essenziali della sua strategia e della sua tattica», e allo stesso tempo si imbarchi in tentativi di organizzazioni spurie costituite sulla base di nessuna omogeneità. L’unica spiegazione plausibile è che Trotski avesse in mente di raggruppare i vari gruppi di opposizione e poi fonderli omogeneamente al fuoco della lotta di classe, come era stato nelle intenzioni di Lenin nella fondazione della Terza Internazionale.

A parte le riserve sempre espresse dalla Sinistra italiana nei confronti di questo metodo, dobbiamo però dire che se Lenin giocò una ardita scommessa con la storia, il cui esito non fu positivo, non bisogna però dimenticare che ci trovavamo al culmine dell’ondata rivoluzionaria, che in Russia il proletariato aveva preso il potere, che era di una importanza vitale il fatto che la rivoluzione vincesse in altri paesi, possibilmente industrializzati, e non era nemmeno da escludersi che anche dei partiti marxisti non al 100%, in condizioni di estrema crisi della classe borghese, avrebbero potuto, sorretti dall’Internazionale, guidare il proletariato alla vittoria. Al contrario, alla fine degli anni venti, il capitalismo si era assestato ed era passato all’attacco a livello internazionale. La classe operaia, anche se non del tutto piegata, era impossibilitata di condurre la lotta ad uno sbocco rivoluzionario. La presa del potere non era più all’ordine del giorno; compito dei comunisti rivoluzionari era quello di attestarsi su posizioni di estrema chiarezza teorica per salvare quanto era salvabile del grande naufragio occorso alla Terza Internazionale.

Tornando alla proposta di un collegamento internazionale delle opposizioni avanzata da “La Verité”, la Frazione espresse il parere che questi contatti fossero necessari in vista della riorganizzazione rivoluzionaria del proletariato a scala internazionale, ma mise in guardia dai pericoli che avrebbero potuto derivare al movimento qualora si fosse voluto, per fretta di partire, lavorare senza la dovuta chiarezza. In conclusione si diceva:

     «In ogni modo la nostra frazione ha deciso di non imbarcarsi qualora questo metodo non verrà sostituito dall’altro che ha fatto troppa buona prova nel nostro campo perché noi non troviamo in questa nostra esperienza un argomento di più per insistere su di una nostra vecchia rivendicazione».

La Conferenza Internazionale delle Opposizioni si tenne a Parigi nell’aprile del 1930 e si concluse con la costituzione di un Segretariato Internazionale composto da Kurt Landau per la Germania, Alfred Rosmer per la Francia e da Markin (ossia il figlio di Trotski, Leone Sedov) per la Russia.

La lettera di convocazione per la riunione, a causa di disguidi non chiariti, comunque non intenzionali, arrivò ai compagni della Frazione italiana quando ormai non si era più a tempo perché venisse rimesso ai compagni riuniti un documento precisante le posizioni della Frazione. Questo documento (che ripubblichiamo integralmente nell’”Archivio della Sinistra”) facendo una dettagliata analisi della situazione dell’Internazionale e dei partiti comunisti; della ripresa spontanea del proletariato in opposizione alle deviazioni dai principi sui quali l’Internazionale era stata fondata; degli avvenimenti in campo internazionale che denunciavano la ripresa dell’offensiva capitalistica; riconoscendo la necessità di una organizzazione internazionale delle forze rimaste fedeli al marxismo rivoluzionario, chiedeva nuovamente ai compagni dei vari gruppi di non volere forzare le tappe di una organizzazione unitaria preventiva ad una chiarezza sui contenuti politici e tattici.

La Frazione, per il motivo ricordato, non fu in grado di presentare il suo documento alla Conferenza delle Opposizioni e nemmeno di intervenire. L’assenza della Frazione italiana fece andare su tutte le furie Trotski che inviò ai compagni di “Prometeo” una lettera molto secca in cui, tra l’altro, si diceva:

     «Per aderire alla sinistra internazionale non si ha affatto bisogno di un falso “monolitismo”, come nello spirito della burocrazia staliniana. È necessaria una solidarietà reale sulle questioni principali della strategia rivoluzionaria internazionale verificata dall’esperienza degli ultimi anni. Delle divergenze particolari di tattica sono completamente inevitabili, ma non possono essere di ostacolo alla collaborazione stretta nei quadri dell’organizzazione internazionale».

Trotski accusava inoltre i compagni della Frazione di essere degli «elementi indefiniti» e poneva loro dei quesiti che, francamente, non ci saremmo aspettati che potessero venire fuori da un Trotski. Chiedeva: 1) «Ammettete voi che il comunismo possa avere un carattere nazionale? (...) Vi considerate voi come un movimento nazionale o come una parte del movimento internazionale?» (...) 2) «Attualmente vi sono tre correnti del comunismo internazionale: il centro, la destra e la sinistra (leninista) (...) a quale tendenza appartenete voi? (...) 3) «In che consistono le vostre divergenze con l’Opposizione di Sinistra? Sono esse di carattere di principio o episodico? (...) 4) «(Se) delle divergenze di carattere di principio vi separano dalla opposizione di sinistra (...) perché non pensate voi alla creazione di una frazione internazionale della vostra tendenza?».

La risposta della Frazione a Trotski fu netta e franca:

     «La vostra lettera in data 22 aprile 1930 (...) è completamente in contrasto con il contenuto della risposta che avete fatto alla nostra prima lettera aperta (...) Non ci siamo per nulla separati da questa piattaforma che voi avete giudicato come uno dei migliori documenti dell’Opposizione internazionale. Che cosa è successo nel frattempo? (...) In sostanza voi ci invitate a dichiararvi se ci affermiamo o no dei comunisti. Alle prime due questioni la risposta si trova nella vostra lettera aperta ove affermate: “io non dubito che voi vi consideriate internazionalisti”. Ci mancava altro (...) Noi vi facciamo marcare che fin dall’ottobre 1929, cioè molto tempo prima della Conferenza preliminare di Parigi, noi abbiamo pubblicato sul n. 21 di “Prometeo” che l’andamento della crisi centrista poneva le condizioni obiettive per i primi sforzi su scala internazionale (...) Noi non pensiamo di creare una frazione internazionale della nostra tendenza perché crediamo di avere appreso dal marxismo che l’organizzazione internazionale del proletariato non è l’agglomerato artificiale di gruppi o di personalità di tutti i paesi attorno ad un dato gruppo. Per contro, noi crediamo che questa organizzazione deve ben essere il risultato dell’esperienza del proletariato di tutti i paesi. Noi non ci spaventiamo per nulla all’idea che un gruppo – nella specie la sinistra russa – possa dare impulso a questa organizzazione, ma alla condizione che questo impulso si appoggi su reali formazioni proletarie, le quali hanno già compiuto un serio sforzo ideologico».

Non si mancava poi di rilevare che nemmeno le posizioni della sinistra russa potevano essere accettate in blocco: «Nei confronti dei documenti della sinistra russa noi abbiamo già avuto l’occasione di sottolineare la nostra solidarietà sulle questioni di principio ed il nostro disaccordo sulle questioni di tattica quali quelle del fronte unico che sdrucciola nel governo operaio e contadino, nel comitato anglo-russo, nel Kuomintang, nei comitati proletari antifascisti ecc.». Ed infatti furono queste le spiagge dove approdò, anche molto prima del previsto, l’opposizione di sinistra internazionale trozkista.

La Frazione sollevava infine un altro problema molto delicato che dimostrava come l’Opposizione di sinistra non si fosse affatto liberata da certi metodi... “bolscevichi”, quali il manovrismo, che ebbero tanta parte nel processo degenerativo dell’Internazionale e che mai sono stati di qualche aiuto ai fini rivoluzionari. Nella lettera a Korsch del 1926 era stato detto in modo esplicito che non ci convinceva quella tattica elastica tendente, con le manovre, a spingere più a destra od a sinistra un gruppo, pena la denuncia di opportunismo o simili cose. Dicemmo che non avremmo mai basato la nostra linea di condotta sul politicantismo e sulla diplomazia; indispensabile, al contrario, era «un lavoro pregiudiziale di elaborazione di una ideologia politica di sinistra internazionale, basata sulle esperienze eloquenti traversate dal Comintern. Essendo molto indietro su questo punto ogni iniziativa internazionale riesce difficile» (Lettera a Korsch, 1926). L’opposizione internazionale, al contrario, non si pose mai il problema di ripudiare, come aveva fatto la Sinistra italiana, quel metodo e se ne servì sempre in modo disinvolto.

Il fatto che la Conferenza Internazionale avesse avuto luogo all’insaputa degli organismi dirigenti della Frazione fu dovuto senza dubbio ad un disguido, ma non fu certamente un disguido il fatto che il Segretariato Internazionale all’insaputa della Frazione fosse entrato in rapporto con un gruppo di ex funzionari del PCI che non aveva nessuna base politica capace di far pensare che rappresentasse una reazione orientata verso sinistra. Questo gruppo, capeggiato da Leonetti, Ravazzoli e Tresso, aveva condiviso tutte le responsabilità della direzione del PCI fino alla “svolta” del 1929. È vero che questa “svolta a sinistra” non fu che uno dei tanti zig-zag della politica del Comintern, ma è altrettanto vero che la precedente politica di destra era stata totalmente accettata da questi signori.

In connessione con gli avvenimenti internazionali e con le vicende disastrose in tutti i paesi, l’apparato direttivo del centrismo italiano si trovò a dover fare una brusca sterzata di 180° e, per mantenere le redini dell’organizzazione, era passato ad una lotta contro la politica di destra scaricando su Tasca, capro espiatorio di turno, le responsabilità condivise da tutta quanta la direzione. Solo allora venne fuori questo gruppo di opposizione e non quando tutta la politica del partito era stata basata sull’”antifascismo”, sulla “rivoluzione popolare”, sui “comitati operai e contadini”, sulle agitazioni nel nome del “pane e libertà”, tutte formule che affidavano al proletariato non il compito di guida della rivoluzione ma una funzione di sinistra nell’ambito delle forze antifasciste con l’obiettivo controrivoluzionario di salvare il regime capitalista in Italia.

Per dare una dimostrazione della serietà di questo gruppo basti pensare che nella riunione del C.C. del marzo 1930 Leonetti aveva portato un attacco a fondo contro Pasquini (Silone) e contemporaneamente teneva rapporti segreti con lui per mettere in minoranza Togliatti. Quando, in seguito all’espulsione dei 3, Silone negò di avere avuto contatti con Leonetti e soci, questi pubblicarono nel loro bollettino delle lettere che Silone gli aveva mandato e che provavano la tresca ai danni di Togliatti. Quando infine, grazie a questa azione delatoria, Silone venne a sua volta espulso, il gruppo dei tre, fiero dell’azione compiuta scrisse: «Se l’Opposizione (cioè loro stessi, n.d.r.) non avesse denunciato questo compromesso, Pasquini (Silone, n.d.r.) avrebbe potuto continuare a nidificare nelle file dell’Internazionale» (Bollettino n. 3, 15 giugno 1931).

Ma questa non fu che una delle carognate minori della Nuova Opposizione Italiana (N.O.I). Dopo la svolta a sinistra del X Plenum dell’Internazionale la direzione del PCI, per mezzo di Tresso, tentò di aprire un dialogo con la Frazione nel tentativo di riassorbirla. È inutile dire che per i centristi si trattò solo di tempo sprecato. Fallito l’approccio con i “bordighisti”, i centristi vollero tentare direttamente con Bordiga. Spriano, nella “Storia del PCI” riporta la seguente dichiarazione di Amendola: «Avvicinai Bordiga nel 1930, per incarico del centro del partito, per fargli la proposta di espatriare legalmente. Il partito avrebbe assicurato i necessari mezzi tecnici e finanziari (...) Bordiga respinse, col consueto linguaggio “pesante” l’offerta che gli avevo trasmesso».

Fallito questo tentativo, Togliatti, al C.C. del marzo 1930, propose l’espulsione di Bordiga dal partito. L’espulsione fu votata all’unanimità, cioè anche da Leonetti e Tresso. Uno dei capi di accusa per l’espulsione era il seguente: «Amadeo Bordiga ha sostenuto, difese e fatte proprie le posizioni della opposizione trotskista ed è l’esponente di una corrente che fa a capo a questa opposizione». Dunque i dirigenti della N.O.I. votarono l’espulsione di Bordiga per trotskismo ed immediatamente dopo si recarono dai trotskisti Rosmer e Naville per prendere contatti con la loro organizzazione. Presi questi contatti, i tre inviarono a Trotski un documento politico in cui, in ultimo, si legge: «Possiamo dirvi che la motivazione data alla sua espulsione (stanno parlando di Bordiga, n.d.r.) è completamente calunniosa. Essa non è che una nuova manifestazione del vero brigantaggio politico che regna anche in seno alla sezione italiana dell’I.C.».

Non ci sentiamo di fare nessun commento di fronte ad un atteggiamento che riuscì a fare schifo perfino alla polizia. Un informatore, in un suo rapporto, riferendosi alla posizione assunta dal gruppo dei tre sulla vicenda dell’espulsione di Bordiga, scriveva: hanno «una faccia cornea veramente straordinaria, se si pensa che son trascorse 10 o 12 settimane da quando essi stessi avevano votato contro Bordiga» (“Trotski ed il Comunismo italiano” di S. Corvisieri).

Nella già citata lettera a Korsch, la Sinistra aveva detto: «Sarebbe in ogni caso inammissibile una solidarietà ed una comunanza di dichiarazioni politiche con elementi (...) che (...) abbiano recenti responsabilità di dirigenza di partito secondo l’indirizzo destro e centrista ed il cui passaggio all’opposizione abbia conciso con l’impossibilità di conservare la direzione di un partito d’accordo con il centro internazionale, e con critiche fatte dall’internazionale al suo operato. Questo sarebbe incompatibile con la difesa del nuovo metodo e nuovo corso del lavoro internazionale comunista, che deve succedere a quello della manovra a tipo parlamentare-funzionaristico». Quale possibilità di lavoro comune avrebbe potuto esistere con elementi del tipo Leonetti, Ravazzoli, Tresso a meno di non volere adottare il sistema della manovra a tipo parlamentare-funzionaristico?

Evidentemente il Segretariato Internazionale (trotskista) non era del nostro avviso: non solo accettava il gruppo dei tre ma nemmeno dava risposta alle domande di spiegazione della Frazione. E ciò non poteva non significare che si stava tentando di creare una nuova opposizione da contrapporre alla Frazione all’interno del proletariato italiano, con il rischio di disperdere quelle forze che avrebbero, al contrario, dovuto essere orientate verso sinistra. Questa manovra veniva compiuta nel momento in cui si chiedeva alla Frazione di aderire alla sinistra internazionale; adesione che la Frazione aveva dato rifiutando però «di partecipare alla direzione del Segretariato, fino a quando non ci troveremo in presenza di un documento programmatico e di un sistema di lavoro il quale garantisca il movimento proletario dalle manovre che contribuiscono al trionfo dell’opportunismo nell’I.C.». Ma, dato l’andazzo, la Frazione era costretta anche a dichiarare che qualora si fosse continuato a marciare sulla strada intrapresa, non solo avrebbe mantenuto il suo rifiuto di far parte della direzione del Segretariato internazionale, ma sarebbe stata costretta a separare le proprie responsabilità da quelle dell’opposizione internazionale.

Era lampante che il gruppo che prese il nome di Nuova Opposizione Italiana, composto da un esile numero di ex dirigenti del PCI messi alla porta, fosse dedito esclusivamente ad un politicantismo privo di principi e di scrupoli.

La Frazione, malgrado questo, per non dover rompere immediatamente con l’opposizione internazionale, dovette anche ingoiare il rospo di far finta di credere alla buona fede di simili elementi e svolse nei loro confronti tutta l’opera di chiarificazione e di collaborazione possibile mettendo a loro disposizione perfino le colonne di “Prometeo”. Ma, per non sembrare di voler forzare in qualche modo la realtà vediamo quello che in proposito fu scritto nel n. 3 del Bollettino della N.O.I. (15 agosto 1931):  

     «Ci vennero offerte le colonne di “Prometeo” ove poterono essere pubblicati diversi documenti che la stampa ufficiale tiene ancora nascosti ai compagni di partito; furono organizzate diverse riunioni dove furono trattate, senza insolenza e senza personalismi, le questioni divergenti; venne persino elaborata la proposta della pubblicazione di un bollettino comune per trattare i problemi che la direzione ufficiale impediva di discutere nei ranghi del partito».

La Frazione, quindi, quando si opponeva all’accettazione della N.O.I. nella Opposizione Internazionale non lo faceva per difendere un suo diritto di primogenitura ma, molto più semplicemente, perché riteneva indispensabile che ogni adesione dovesse essere valutata sulla base della tradizione di comportamento e sulla scorta di una elaborazione teorica soddisfacente, oltre al fatto che, secondo quanto stabilito dai 21 punti di Mosca, per ogni paese poteva esserci un solo partito aderente all’organizzazione internazionale. Queste avrebbero dovuto essere le basi di valutazione e non delle dichiarazioni estemporanee di sinistrismo, anche se fatte in buona fede.

Ciò premesso la Frazione poneva, in modo intransigente delle condizioni irrinunciabili, la prima delle quali era il netto rifiuto di quel metodo politico del tipo parlamentare- diplomatico. Nel n. 33 di “Prometeo” (15 luglio 1930) venivano subito messe le carte in tavola per fugare futuri equivoci:

     «Nella politica parlamentare la regola è il trasformismo, e tanto meglio si piazzano uomini e partiti per quanto meglio essi riescono nel gioco di avanzare attraverso tutte le capriole imposte dal fluttuare delle situazioni politiche. Senza il menomo scrupolo si lascia un bagaglio di programmi politici per caricarne un altro, e sotto l’etichetta dello stesso partito, di altre formazioni politiche, si prosegue nell’azione di difesa della classe che domina attraverso il parlamento. Ed il gioco di equilibrio non domanda altro che la malleabilità dell’attore il quale tanto meglio si piazza in quanto più è capace di sostituire alle vecchie posizioni le nuove come le più indicate alla difesa dei “sacri principi” della maschera dell’oppressione capitalista. Nel campo proletario la regola deve essere la contraria. Il trasformismo è la peggiore sventura del movimento».

Anche nel caso dell’atteggiamento da tenere nei confronti della N.O.I., 

     «anche in questo caso, il peggiore servizio che si possa rendere a questi militanti è proprio quello di lasciarli nella convinzione che basti un’adesione formale per giungere sia pure alla prima tappa della faticosa chiarificazione (...) Per quanto concerne i nostri rapporti (...) con questi compagni è evidente che la soluzione deve essere trovata al di fuori dei metodi impiegati dai centristi di tutte le colorazioni (...) imponendo le solite dichiarazioni formali con cui si “riconoscono gli errori” e ci si impegna per la nuova conclamata via cosiddetta giusta (...)

     Per quanto enormi possano essere le responsabilità dei compagni della nuova opposizione nei confronti del passato di lotte combattute contro la sinistra di tutti i paesi, non è sul terreno del formalismo che si risolve la questione. È sull’altro terreno di chiarificazione politica risultante da un riesame di tutto il passato, delle cause di questo passato che tale problema può avere una soluzione. Ed allora, non avviliti da stupide affermazioni che annientano le capacità rivoluzionarie del militante, ma fortificati da un esame cosciente e leale, i nuovi oppositori potranno riprendere, a fronte alta, il loro posto di combattimento per il proletariato e la rivoluzione (...) Sin dal primo momento della presa di contatto con i compagni della Nuova Opposizione, la Frazione ha manifestato la sua opinione di vederli all’opera per redigere un documento che dia una risposta non solo alle questioni attuali, ma anche a quelle passate (...) Noi riteniamo che la Nuova Opposizione dovrà darsi per compito immediato quello della ricerca delle cause che li hanno trascinati fin’ora nel campo dell’opportunismo sotto la direzione della destra prima, degli avventurieri politici poi (...) La Nuova Opposizione, attraverso una analisi del passato, e del suo passato, arriverà a stabilire che le cause sono proprio le stesse da noi sostenute? (...)

     Quello che è in gioco da anni, e che è in gioco ancor oggi, è la sorte del movimento proletario italiano che il centrismo si prepara – attraverso le trappole del socialfascismo – a consegnare al capitalismo. Per una tale posta occorre prepararsi con la decisa volontà di fare fin da oggi quanto non si può rinviare, e non con la volontà di rinviare a domani quanto oggi deve essere fatto. La nostra Frazione con alto senso di responsabilità indica quindi ai compagni della Nuova Opposizione il cammino che essa stessa si è dichiarata pronta a percorrere. E non appena il documento politico potrà essere sottomesso ad un esame dei compagni della Frazione, la risposta sarà data senza prevenzioni, con lealtà, con franchezza, nella prospettiva di accrescere le energie del proletariato. Ma in questa direttiva la Frazione non commetterà l’errore nefasto di perdere queste energie e di offuscare la visione della realtà di fronte agli operai che sentiranno da noi che un passo in avanti è stato fatto solo quando si avrà la garanzia che non si presenteranno delle fallaci istantanee fotografiche, ma si presenteranno agli operai delle vigorose figure di militanti che sanno per quale via e con quali sistemi gli sfruttati troveranno nel proletariato la guida della loro lotta liberatrice dalla schiavitù del capitalismo».

(continua)

 

 

 

 

 


Dall’Archivio della Sinistra

Lettera della Frazione al Segretariato Internazionale

[ È qui ]