Partito Comunista Internazionale "Dall’Archivio della Sinistra"

Bilan n. 39 gennaio-febbraio 1937
 

LENIN-LUXEMBURG-LIEBKNECHT

 

Confrontare la realtà presente con il lavoro di coloro che sono stati i nostri maestri, è riannodare i fili dell’evoluzione storica che i loro detrattori, coloro che hanno mummificato i loro corpi e i loro principi, sperano di aver spezzato per sempre in nome della sopravvivenza del mondo capitalista. Ogni anno i marxisti, i comunisti che hanno mantenuto la bandiera della rivoluzione proletaria contro l’ondata montante della controrivoluzione centrista, hanno commemorato quei grandi capi, Lenin, Rosa, Liebknecht, con la costante preoccupazione di verificare il proprio impegno in quanto continuatori storici dell’era eroica in cui hanno vissuto.

Oggi siamo più che mai soli in questo lavoro di verifica e siamo consapevoli delle pesanti responsabilità che ci conferisce la nostra solitudine sulla cammino del marxismo.

Tutta l’opera di Lenin si innalza contro la Russia Sovietica del centrismo, contro i partiti comunisti, agenti della borghesia. Tutta la sua opera è la negazione del macello imperialista di Spagna e della Union Sacrée antifascista che vi si è realizzata.

Lenin è la selezione dei quadri – tramite l’estrema selezione delle principi programmatici – in vista della formazione di un “partito di classe”. È la lotta a tutto campo contro l’opportunismo, la ricerca delle forme più marcate di lotta di classe. Lenin è anche “Stato e Rivoluzione”, dove sono registrati tutti gli insegnamenti storici sulla natura dello Stato, gli atteggiamenti proletari verso Stato durante la rivoluzione. Lenin è il fondatore della Terza Internazionale, che nel 1919-1920 fece tremare il vecchio mondo e riempire di speranze tutti gli sfruttati.

Oggi si rimane fedeli all’opera di Lenin combattendo sul cammino che lui ci ha tracciato per forgiare il partito. È falso, arci-falso, pretendere che il partito centralizzato, rigorosamente selezionato nei suoi quadri e nelle sue idee, contenga la causa di una inevitabile degenerazione, portando alla dittatura “sul” proletariato. Più la centralizzazione risulta dall’estrema selezione del partito ed è indice di perfezionamento nella necessità di esporre le sue posizioni, più deve perfezionare l’organo del suo pensiero: la collettività che rappresenta il partito.

Il partito degenera quando non è più espressione fedele dell’evoluzione del proletariato, e questo scostamento non è determinato dal partito ma dalla modifica dei rapporti tra le classi. Prima ci renderemo conto di questi cambiamenti, prima potremo ripulire il partito di classe e consentire al proletariato di continuare la sua marcia in avanti.

Se il partito bolscevico è diventato quello che è oggi, un’arma di repressione contro i lavoratori rivoluzionari di Russia, è perché l’estensione dei problemi ai quali si sono trovati davanti i bolscevichi, chiamati a risolvere per la prima volta il problema della gestione di uno Stato proletario, li ha gettati in una via senza uscita che alla fine li avrebbe tagliati dal proletariato russo e internazionale. Ciò che non si vuol capire è la contraddizione tra l’affermazione “senza il partito bolscevico la rivoluzione di Ottobre sarebbe stata impossibile” e l’affermazione: “La concezione di Lenin sul partito portava inevitabilmente alla degenerazione”. Dovremmo quindi accettare Lenin fino alla rivoluzione, rivederlo dopo di questa, o si dovrebbe espungere dall’esperienza russa i dati della gestione dello Stato proletario come un settore subordinato alla lotta e all’evoluzione del proletariato internazionale? Con la concezione del partito come formulata da Lenin e realizzata in Russia (non come proseguì nei vari paesi dopo il 1917) siamo e restiamo solidali ed è al suo sviluppo e agli insegnamenti della Rivoluzione russa che noi ci teniamo vincolati.

Proprio come Lenin, nei limiti storici della sua epoca, si aggrappò alle forme più vigorose della lotta delle classi, così i marxisti ai nostri giorni avrebbero il dovere di non ripetere formule o catechismo, ma di seguire la locomotiva della storia. Se apparentemente si può trovare una opposizione tra alcune posizioni di Lenin e le nostre, lo è solo nella forma se prendiamo in considerazione lo sviluppo storico. Lenin potrebbe essere per il diritto all’autodeterminazione dei popoli (anche se, su questo punto, Rosa vide più giusto di lui) (1), perché credeva che questa posizione peculiare alle rivoluzioni borghesi potesse ancora, in alcuni paesi, conciliarsi con la lotta per la rivoluzione proletaria. Dopo l’esperienza cinese (2) il problema è fondamentalmente risolto e noi continuiamo Lenin rettificando la sua esperienza alla luce dell’esperienza.

Lenin, con la sua opera e la sua vita, è l’opposto della “riconciliazione dei francesi”, dell’”amore per la patria sovietica”, della difesa della democrazia, della Società delle Nazioni (che chiamava la Società dei Briganti), e, soprattutto, non ha più nulla in comune con uno Stato operaio che soffoca il proletariato russo, massacra i suoi migliori militanti, perseguita gli internazionalisti, ma benedice il signor Laval, quando fa votare i crediti di guerra. Lenin non ha niente a che fare con i partiti comunisti che hanno passato la barricata, difendono la “loro” patria, le “loro” colonie e fanno cantare agli sfruttati l’inno degli sfruttatori.

Se il centrismo detiene la mummia di Lenin, noi ereditiamo la sua opera, il suo pensiero e lo continuiamo quando gridiamo: “lavoratori, abbandonate i partiti comunisti, traditori e patriottici”. Noi lo perseguiamo quando diciamo: “nessuna difesa dell’URSS, affossatore del proletariato russo, strumento del capitalismo mondiale nell’opera di repressione contro i lavoratori”. L’URSS, avendo rotto con il proletariato internazionale per passare dall’altra parte della barricata e massacrando oggi la vecchia guardia bolscevica, il proletariato le toglie la bandiera della lotta per la rivoluzione col fine di distruggere dalle sue fondamenta la dittatura centrista, espressione della vittoria internazionale del capitalismo.

Lenin, un internazionalista e disfattista nel 1914, non è adattabile alla Union Sacrée antifascista di Spagna, all’interventismo ad ogni costo nella guerra imperialista. Lenin non era per la tregua della lotta di classe durante la guerra, come il Poum e gli anarchici che entrano nello Stato capitalista catalano. Non avrebbe aspettato di essere cacciato vergognosamente dai ministeri per ricordare che dobbiamo anche combattere contro lo Stato capitalista. Contro corrente, sostenne la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile che era per lui la sola forma estrema che doveva inevitabilmente assumere la lotta di classe durante la guerra.

Ma accanto a questa brillante figura di capo proletario, le figure di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht si sono rivelate altrettanto imponenti. Prodotti di una lotta internazionale contro il revisionismo e l’opportunismo, espressione della volontà rivoluzionaria del proletariato tedesco, essi appartengono a noi e non a coloro che vogliono fare di Rosa la bandiera dell’anti-Lenin e anti-partito; Liebknecht, la bandiera di un antimilitarismo che si esprime di fatto con il voto dei crediti di guerra nei diversi paesi “democratici”.

Rosa Luxemburg non espresse una particolare concezione del partito, ma reagì sia alla concezione introdotta dagli opportunisti sia alla concezione marxista di Lenin. La creazione del partito spartachista, un po’ prima della fine della guerra, ci permette quanto meno di capire che gli eventi spingevano Rosa sul percorso seguito dai bolscevichi e che le sue precedenti concezioni erano semplicemente il prodotto di una non maturazione delle condizioni storiche della Germania per l’emergere di una concezione cristallizzata della natura e del ruolo del partito d’avanguardia. La morte ha tagliato netto lo sviluppo del pensiero di Rosa Luxemburg, ed è per questo che gli opportunisti preferiscono costruire le loro sporche speculazioni su aspetti del pensiero della grande attivista che fanno parte di un passato per sempre finito. È solo il suo divenire che esprime l’importanza dell’opera di Rosa. Questo divenire, come prova il discorso al Congresso degli Spartachisti, sarebbe stato coerente con il percorso seguito sino ad allora da Rosa che si stava orientando verso le posizioni e le forme più accentuate dalla lotta di classe in Germania.

Questo spiega la necessità per la borghesia di assassinarla al momento dell’irruzione degli operai armati nell’arena politica. “A morte Spartakus” era il grido del capitalismo davanti a un’organizzazione guidata da Rosa e Liebknecht, che i nemici della dittatura del proletariato vogliono oggi fare la bandiera della democrazia pura. Ma niente di Luxemburg, Liebknecht può ormai essere rivendicato da coloro che difendono la loro patria imperialista, mobilitano gli operai attorno a posizioni scioviniste, riconciliano le classi in una fraterna Union Sacrée e sono irriducibili nella guerra capitalista della Spagna.

Crudele ironia delle cose vedere gli ultra-nazionalisti farsi belli con un uomo che si è lanciato da solo nel Reichstag prussiano, con un NO che gli avrebbe fatto conoscere le prigioni, ma che ne doveva fare la guida delle masse nella grande tempesta imperialista del 1914. Gli stessi che lo celebrano votano miliardi e miliardi per la difesa nazionale e si limitano a chiedere al signor Daladier di migliorare il menu dei soldati nelle caserme.

Noi restiamo quindi fedeli a Liebknecht lanciando, da soli contro tutti, il suo NO simbolico in un momento in cui tutti mandano i proletari a farsi massacrare in Spagna in nome del capitalismo. Noi gli restiamo fedeli innalzando la bandiera della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile.

Oggi Lenin, Luxemburg, Liebknecht si trovano nelle frazioni della sinistra comunista internazionale che ne sono le legittime eredi, loro continuatori a cui la storia ha affidato il difficile compito di marciare in avanti, sempre avanti. Proprio come i loro maestri, i comunisti internazionalisti si stanno muovendo verso le posizioni e le forme di lotta più accentuate che l’evoluzione della lotta di classe richiede nella fase di profonda decadenza del sistema capitalista. È in questo senso che hanno combattuto e combatteranno tutti i tentativi di riportare le loro posizioni e la loro attività al catechismo demolito da Lenin o da Rosa, perché è il mezzo per falsificare la loro opera e impiegarli non per la vittoria, ma per la sconfitta proletaria. I principi che ci hanno lasciato e che sono il frutto dell’esperienza storica, rimangono la nostra eredità, ma proprio come la lotta di classe non si ferma alla loro morte, il nostro lavoro ideologico e di elaborazione programmatica deve continuare progressivamente al fine di preparare la classe operaia per le ore decisive in cui lancerà il suo assalto rivoluzionario e getterà le basi per una nuova società in cui il lavoro di coloro che hanno spianato la strada per l’emancipazione del proletariato non sarà mummificato, ma riceverà infine, il suo vero significato.



1. - Come le ragioni della degenerazione di Mosca non erano del tutto chiare alla nostra corrente, lo stesso era per la questione nazionale e coloniale. Queste due questioni fondamentali saranno affrontate in modo approfondito dal nostro partito negli anni ’50 e porteranno alla pubblicazione di “Struttura economica e sociale della Russia di oggi” e di “Fattori di razza e nazione”.

2. - La questione cinese sarà meglio esaminata in numerosi successivi studi del partito.