Partito Comunista Internazionale Indice studi africani


Angola
Indipendenza nazionale tra il fuoco incrociato dell’imperialismo


(Il Partito Comunista, n. 18 del 1976)


L’Angola si sta trasformando in un nuovo Viet-Nam. La tranquilla ritirata delle forze portoghesi, che avrebbe dovuto significare la fine dell’ingerenza straniera nel Paese e il raggiungimento dell’indipendenza nazionale e della pace, ha al contrario provocato l’inizio di una più feroce ed estesa guerra che vede direttamente impegnati vari Stati e “indirettamente” le due superpotenze USA e URSS.

L’Angola è in effetti una preda preziosa che fa gola alle grandi e alle piccole nazioni: «Le sue risorse (ferro, diamanti, petrolio, caffè) sono un terreno fertilissimo di investimenti e speculazioni (i principali prodotti minerali sono sfruttati da multinazionali, con preponderanza di capitali tedesco-occidentali per il ferro, di capitali belgi ed anglo-Sud-Africani per i diamanti, di capitali americani per il petrolio) (...) Due poli di particolare interesse sono Cabinda (i cui giacimenti petroliferi potrebbero farne in un prossimo futuro una specie di Kuwait africano) e la zona del Cunene ove si sta costruendo con capitali Sud-Africani una diga che dovrebbe alimentare l’industria del Sud-Africa e della Namibia» (Relazione Interna n. 26/1975).

I Paesi interessati al conflitto sono ovviamente quelli interessati alle ricchezze del Paese. A Nord lo Zaire, che non ha mai nascosto di avere delle pretese sull’enclave di Cabinda con la quale confina da tre lati; a Sud il Sud-Africa, che vorrebbe impadronirsi della zona del Cumene che, oltre ad essergli utile economicamente, gli servirebbe anche politicamente per accerchiare la Namibia (South West Africa). È questa una ex colonia tedesca che fu affidata provvisoriamente al mandato del Sud-Africa, il quale, scaduto il mandato, si è ben guardato dal rendere l’indipendenza alla Regione. Nella zona agisce attualmente un movimento di guerriglia, lo SWAPO (South African People’s Organisation), che sta dando notevoli fastidi al governo di Pretoria.

Vi sono poi i grandi mostri imperiali, i gendarmi mondiali USA e URSS che, se pur non intervengono direttamente, cioè con l’invio di uomini, nel conflitto, ne determinano però l’andamento, sia con l’invio di armi sia con le pressioni politiche sugli Stati vassalli. Le ricchezze dell’Angola hanno attirato sul posto anche i calibri ridotti dell’imperialismo, e anche Europa e Cina intrigano, sebbene più nascostamente, per avere la loro fetta di profitti. Cuba fa quel che può e in cambio delle materie prime che spera di avere domani spedisce la merce di cui essa è più ricca, la carne da cannone.

Per tentare di raggiungere i loro scopi questi Paesi si sono serviti della divisione esistente tra i movimenti di liberazione dell’Angola che sono tre: il MPLA capeggiato da Agostinho Neto, il più vecchio movimento di liberazione, è appoggiato dalla Russia e da Cuba e controlla la capitale, Luanda, e la zona centro occidentale del Paese oltre all’enclave di Cabinda; il FNLA, capeggiato da Holden Roberto, appoggiato dallo Zaire, Cina e USA, movimento che negli ultimi tempi ha subito le sconfitte più pesanti; infine UNITA, alleato con il FLNA nella lotta contro il MPLA e appoggiato da Sud Africa ed USA.

Nonostante i tentativi di unificazione e il varo di una piattaforma politica comune per formare un governo di coalizione (gennaio 1975), pochi giorni prima che le ultime truppe portoghesi lasciassero l’Angola sono iniziati i combattimenti tra i tre movimenti per ottenere le migliori condizioni strategiche e per la conquista della capitale prima della proclamazione dell’indipendenza. In un primo momento le forze del MPLA, che indubbiamente godono di un vasto appoggio popolare e costituiscono il più genuino dei tre movimenti di liberazione, pur non spingendosi oltre gli obiettivi del nazionalismo rivoluzionario, hanno preso il sopravvento giungendo a controllare dopo aspri combattimenti la capitale e buona parte del Paese (12 province su 16). Gli altri due movimenti sono però subito passati alla controffensiva, il FNLA dal Nord giungendo a minacciare la stessa Luanda e UNITA, il più piccolo dei tre movimenti, dal Sud aprendo le frontiere alle truppe dell’agguerrito Sud Africa e non esitando a reclutare come mercenari ex soldati dell’armata portoghese.

La Russia ha evidentemente approfittato dell’occasione per intervenire massivamente in aiuto del MPLA, col quale era sempre stata in contatto, mandandogli ogni tanto qualche vecchio fucile per mantenere un legame che al momento giusto avrebbe dato i suoi frutti. Le ragioni dell’intervento russo sono certamente oltre che economiche e politiche anche strategiche poiché l’Angola, con le sue lunghe coste e i suoi porti sull’Oceano Atlantico, potrebbe costituire un’ottima occasione per la marina sovietica, sempre alla ricerca di nuove basi.

Siamo così arrivati alla situazione attuale in cui il MPLA, massicciamente rifornito di armi e con l’appoggio diretto di alcune migliaia di soldati cubani, è passato novamente all’offensiva ricacciando il FNLA ai confini con lo Zaire e arrestando l’avanzata delle truppe sud-africane sia sul fronte Est sia su quello Sud.

A livello diplomatico intanto, l’Organizzazione dell’Unità Africana, riunita ad Addis Abeba il 10 gennaio proprio per discutere del problema angolano, non è arrivata a nulla (come sempre accade) poiché 22 dei 46 Paesi dell’Organizzazione volevano il riconoscimento della Repubblica Popolare dell’Angola, proclamata dal MPLA, e la condanna del Sud Africa e dei due movimenti avversari del MPLA, altri 22 volevano invece l’uscita degli eserciti stranieri dal territorio angolano e una riconciliazione dei tre movimenti di liberazione; i restanti due Paesi si sono astenuti. Il convegno quindi, se non è servito ad un bel niente sul piano pratico, ha però dimostrato quanto poco valga l’unità africana di fronte all’interesse delle singole nazioni, che si sono schierate da una parte o dall’altra a seconda della provenienza dei capitali investiti sul loro territorio o delle alleanze politiche a cui sono legati: il risultato è stato di pareggio, il 50% con gli USA e il 50% con la Russia.

Anche a livello economico si svolge naturalmente la lotta e, mentre gli USA hanno fatto ritirare da Cabinda la Gulf Oil per non pagare all’MPLA le tasse e royalties della prima metà di gennaio, ammontanti a circa 110 milioni di dollari, l’ENI ha accettato l’invito del governo della Repubblica Popolare dell’Angola per sfruttare il petrolio angolano, ponendosi così in diretto contrasto con gli USA.

Il Sud Africa, che dopo gli smacchi militari subiti negli ultimi giorni e la condanna del suo intervento da parte di quasi tutti i Paesi africani sembrava propenso a ritirarsi dall’Angola, ha poi richiamato 5.000 riservisti dimostrando di avere tutt’altra intenzione che quella di ritirarsi dal conflitto. La decisione sembra sia stata dovuta a pressioni americane a seguito della decisione del Congresso USA di limitare l’invio di aiuti a movimenti rivali del MPLA. Gli aiuti dovrebbero così arrivare lo stesso ma con la copertura del Sud Africa (beatevi, adoratori della democrazia, delle commedie che si recitano nel teatrino della Casa Bianca, il potere sta da ben altra parte!). Infine lo Zaire ha diffidato il governo di Luanda a superare nuovamente con le sue truppe il confine, minacciando addirittura la sua immediata entrata in guerra.

La situazione, come si vede, non è rosea per il popolo angolano e soprattutto per le masse povere, per i proletari, per i contadini angolani che, dopo aver subito per secoli la dominazione coloniale, dopo aver dato le loro migliori energie nella lunga guerriglia antiportoghese, si sono trovati, raggiunta l’indipendenza, a dover sostenere una guerra che, grazie alle armi sempre più perfezionate adesso consegnate ai vari eserciti in campo dai potenti Stati imperialistici, ha già provocato decine di migliaia di morti, ma non risponde certo ai loro interessi.

A chi giova infatti questa guerra? Essa giova certamente agli USA, alla Russia, alla Cina, a Cuba, che aiutano i diversi contendenti in cambio di ipoteche sulle ricchezze del Paese e dell’influenza politica su di esso; giova allo Zaire e al Sud Africa che sperano di ingrandire i loro territori a spese dello sfortunato vicino, giova al capitalismo internazionale che vede in una nazione debole e divisa una più accessibile terra di rapina. Essa non giova però alle masse sfruttate dell’Angola che oltre a fornire la carne da cannone non hanno da aspettarsi niente dalla guerra se non uno straccio d’indipendenza nazionale, che, se le strapperà dall’arcaica arretratezza di rapporti di produzione in buona parte precapitalistici, le getterà nel girone d’inferno del capitalismo facendole schiave delle Compagnie internazionali, dei Trusts, che certamente considerano tra le grosse ricchezze di quella terra anche il basso costo delle braccia dei suoi abitanti.

Sulla pelle di queste classi si basa la politica del MPLA che, rivendicando l’unità e l’indipendenza nazionale a qualsiasi costo e il rifiuto di un accordo con i rappresentanti dell’imperialismo in Angola (FNLA e UNITA) – vedi intervista di Neto a “Le Monde Diplomatique” / “Il Manifesto” del 26 dicembre – non fa altro che rivendicare i futuri diritti di partecipazione della borghesia nazionale angolana allo sfruttamento di queste stesse masse che oggi dice di rappresentare e difendere.

D’altra parte il MPLA ha già dimostrato la sua natura antiproletaria quando, a un passo dall’indipendenza, anziché spingere fino in fondo la lotta rivoluzionaria anticolonialista, timoroso delle persecuzioni sociali che una vittoria con le armi in pugno avrebbe potuto provocare tra il proletariato delle città e delle bidonvilles che aveva già dato segni di irrequietezza, come tra i contadini poveri bramosi di terra, venne a un compromesso con le forze portoghesi, d’accordo anche con gli altri due movimenti di liberazione, dando, proprio con questa azione, il tempo all’imperialismo per prepararsi a sostituire il debole e squalificato Portogallo nello sfruttamento del ricco Paese.

Il MPLA, infatti, indipendentemente dalla sua composizione sociale, che certamente sarà in prevalenza proletaria e contadina, rappresenta gli interessi della borghesia e della piccola borghesia nazionaliste, pronte a lottare con le armi in pugno contro l’oppressione coloniale per rivendicare i loro interessi nazionali, ma pronte altresì, appena si profila la vittoria, ad egemonizzare quel potere per cui anche altre classi hanno combattuto costituendo anzi la gran parte del movimento.

Sono i borghesi ad attribuire una matrice comunista al MPLA basandosi sul fatto che esso è appoggiato dalla Russia, ma per noi marxisti, che sappiamo come la Russia non sia meno capitalista e borghese degli USA, il programma del MPLA, che mette al primo posto l’indipendenza nazionale e non solo non parla di dittatura del proletariato o cose simili, ma non prevede neppure una radicale riforma agraria, è ben altro che un programma comunista. Gli stessi dirigenti del movimento, tra l’altro, ammettono che esso non è un movimento comunista: Neto, in un’intervista concessa a “Tricontinental” numero 11-12 del 1969 dichiarava: «Sebbene il nostro movimento sia molto ampio, esso non possiede attualmente le caratteristiche di un partito e non è un movimento comunista, come sospetta una parte della popolazione».

Se il MPLA rappresenta almeno un genuino movimento nazionalista rivoluzionario, gli altri due movimenti di liberazione, FNLA e UNITA, non sono neppure questo, ma si rivelano sempre più come semplici strumenti dell’imperialismo americano. Fondati su base tribale, e quindi a-nazionale, ben più deboli del MPLA nella lotta contro il Portogallo, non hanno esitato, al raggiungimento dell’indipendenza, ad allearsi con lo Zaire e il Sud Africa, mostrandosi disposti, per far prevalere i loro fini di movimento, anche ad accettare una spartizione dell’Angola. Questa loro politica ha così in un certo modo costretto il MPLA a ricorrere tanto largamente all’aiuto russo determinando poi l’ingerenza sempre più consistente dell’imperialismo nel Paese.

Sembra addirittura che Savimbi, il capo di UNITA, (come risulta da alcuni documenti forniti alla rivista “Afrique-Asie” da alcuni ufficiali dell’esercito portoghese) fosse già prima dell’indipendenza in contatto col Comando dell’esercito coloniale portoghese per combattere il MPLA. Fatto sta che questa organizzazione non si è minimamente opposta all’invasione delle truppe sudafricane, unendosi anzi in un unico esercito con esse e dando loro la possibilità di dare la caccia ai guerriglieri della SWAPO che si erano rifugiati in Angola credendosi al sicuro. Abbiamo già ricordato inoltre come a fianco di UNITA combattono anche mercenari ex soldati dell’Armata portoghese. Il FNLA, dal canto suo, riceve aiuto dallo Zaire del quale sono note le pretese annessioniste su Cabinda e che ha minacciato addirittura l’entrata in guerra contro la R.P.d.A e solo pochi giorni fa il suo capo, Holden Roberto, in una intervista a “News Week” ha lanciato addirittura un appello all’Occidente perché salvi l’Africa dal “Comunismo”!

Non è certo quindi da questi movimenti che le masse sfruttate dell’Angola possono attendersi la difesa dei loro interessi, infatti, se per la borghesia indigena l’indipendenza nazionale e la lotta contro l’imperialismo significano la possibilità di sfruttare in proprio la classe operaia e i contadini poveri della sua nazione, queste classi, al contrario, si attendono dall’indipendenza nazionale e dalla lotta contro l’imperialismo la fine di ogni sfruttamento, la riforma agraria, lo schiacciamento delle classi ricche. Se queste cose la borghesia può prometterle non può certo concederle. Da qui la necessità per le masse sfruttate di questi Paesi di organizzarsi in un Partito distinto da quelli borghesi in modo da partecipare sì con essi alla lotta armata contro l’imperialismo, ma in modo da potere anche, una volta raggiunta l’indipendenza, separare i propri interessi da quelli borghesi e imporre i propri obiettivi di classe continuando la lotta contro gli alleati di ieri. Questa nostra prospettiva, la prospettiva marxista di sempre, è ben chiarita da Lenin nel suo scritto “Sul diritto di autodecisione delle nazioni” (1914).

Lenin, dopo aver spiegato nei paragrafi precedenti come la costituzione di Stati nazionali indipendenti, che sono la forma di Stato meglio rispondente alle esigenze del capitalismo moderno, sia interesse prettamente borghese, al paragrafo 4 scrive: «La borghesia che interviene naturalmente come egemone (dirigente) all’inizio di ogni movimento nazionale, chiama all’appoggio a tutte le rivendicazioni nazionali. Ma nella questione nazionale (come del resto in tutte le altre questioni) la politica del proletariato appoggia la borghesia solo in una direzione determinata senza mai confondersi con la politica della borghesia. La classe operaia sostiene la borghesia solamente nell’interesse della pace nazionale, nell’interesse dell’uguaglianza civile e per produrre le condizioni migliori per la lotta di classe (…) La borghesia pone sempre in primo piano le sue rivendicazioni nazionali. Le pone incondizionatamente. Il proletariato le subordina agli interessi della lotta delle classi».

Riferito all’Angola questo significa che se il proletariato angolano non costituisce un proprio partito, distinto da quello borghese, con un proprio programma marxista rivoluzionario e non si pone già da ora il problema della lotta contro la propria borghesia una volta cacciati gli imperialisti, esso sarà soggiogato al carro della borghesia e i suoi interessi di classe saranno sottomessi all’interesse nazionale.

Ma vogliamo risalire alle origini, secondo il nostro metodo, andando a vedere cos’ha da dire il vecchio Marx sulla questione.

Nell’Indirizzo del Comitato Centrale della Lega dei Comunisti (1850), riferendosi alle lotte per l’indipendenza nazionale in quel tempo ancora in corso in Europa, Marx dice: «Invece di abbassarsi di nuovo a servire da coro plaudente ai democratici borghesi, gli operai, e soprattutto la Lega [come si chiamava allora il Partito Comunista], debbono adoperarsi per costituire, accanto ai democratici ufficiali, una organizzazione indipendente, segreta e pubblica, del Partito operaio e per fare di ogni comunità della Lega il punto centrale e il nucleo di associazioni operaie nelle quali gli interessi e la posizione del proletariato siano discussi indipendentemente da influenze borghesi (…) Nel caso di una battaglia contro il nemico comune non c’è bisogno di nessuna unione speciale. Appena si deve combattere direttamente tale nemico gli interessi dei due partiti coincidono momentaneamente, e com’è avvenuto sinora, così per l’avvenire, questo collegamento, calcolato soltanto per quel momento, si ristabilirà spontaneamente (…) Durante e dopo la lotta gli operai, accanto alle rivendicazioni dei democratici borghesi, debbono presentare in ogni occasione le loro proprie rivendicazioni. Essi debbono esigere garanzie per gli operai, non appena i borghesi democratici si preparino a prendere il potere nelle loro mani (…) In una parola, dal primo momento della vittoria la diffidenza non deve più rivolgersi verso il vinto partito reazionario, ma contro i propri alleati di ieri, contro il partito che vorrà sfruttare da solo la vittoria comune (…) Essi stessi [gli operai] debbono fare l’essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a sé stessi i loro propri interessi di classe, assumendo il più presto possibile una posizione indipendente di Partito e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccolo borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dalla organizzazione indipendente del Partito del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere: LA RIVOLUZIONE IN PERMANENZA» (Londra 1850). Rifatevi gli occhi, adoratori della rivoluzione per tappe marca Stalin!

È questa prospettiva, ribadita più volte da Lenin e dall’Internazionale Comunista (Tesi al II Congresso, 1920), che manca oggi al proletariato e alle masse sfruttate di Occidente e d’Oriente, dell’Asia come dell’Africa. In tutto il ciclo di lotte per l’indipendenza nazionale che si è aperto alla fine del secondo conflitto mondiale e che ha visto decine di popoli porsi in lotta contro l’imperialismo, rappresentando gli unici movimenti rivoluzionari, sebbene in senso nazionalista borghese, dell’ultimo mezzo secolo, non in uno solo di questi Stati il proletariato ha avuto la forza di costituirsi in partito indipendente da quello borghese, di non “abbassarsi a servire da coro plaudente ai democratici borghesi”. E ciò non è successo per caso se è vera la nostra analisi della controrivoluzione staliniana che, prendendo origine proprio dal seno del primo Stato socialista, la Russia, ha avuto ripercussioni enormi sull’intero movimento proletario mondiale giungendo a schiacciarlo ancora oggi, dopo cinquant’anni, sotto la sua cappa di piombo.

L’Angola non può certo sfuggire a questa regola, che non è da aspettarsi possa essere spezzata in questi Paesi. È il proletariato occidentale, vecchio di lotte e d’esperienze, che dovrà risalire la china e reimpugnare le sue armi teoriche e pratiche, rilanciando ai popoli di colore il giuramento che si levò al Congresso dei popoli d’Oriente a Bakù, nel 1921: PROLETARIATO D’OCCIDENTE E POPOLI D’ORIENTE UNITI NELLA GUERRA SANTA CONTRO L’IMPERIALISMO MONDIALE!

Il proletariato occidentale, al contrario, benché tutti i Paesi imperialistici siano scossi dai prodromi della più grave crisi che abbia mai investito il regime capitalistico, benché le loro condizioni di vita peggiorino ogni giorno e l’avvenire divenga sempre più incerto sotto la minaccia della dilagante disoccupazione, si sente forte dei privilegi che indubbiamente ancora possiede nei confronti delle masse affamate d’Asia, d’Africa, d’America Latina e collabora con la propria borghesia nazionale allo sfruttamento dei Paesi poveri. Sarà questa crisi, approfondendosi e dilatandosi, con conseguenze terribili per una gran parte del proletariato, a riportarlo sul terreno della lotta di classe in un unico blocco con le masse sfruttate dei popoli di colore.

In Angola, quindi, a dire l’ultima parola sarà l’imperialismo. Prevarrà la linea morbida del Congresso o la linea dura di Ford a seconda se si potrà trovare o meno un accordo tra le due superpotenze su come dividersi i proventi che deriveranno dallo sfruttamento delle masse e del territorio angolano. Non è affatto esclusa la “balcanizzazione” di questo Stato e sarebbe la soluzione peggiore, LA MENO FAVOREVOLE ALLO SVILUPPO DELLA LOTTA DI CLASSE. Ma il dato più importante, comunque vada a finire in Angola, è che il proletariato occidentale starà a vedere lo svolgersi degli avvenimenti senza muovere un dito così come ha fatto di fronte alla tragedia algerina, congolese o vietnamita, limitandosi a inviare qualche telegramma di solidarietà o a richiedere ai rispettivi governi borghesi di “riconoscere” la Repubblica Popolare d’Angola. Non è in Angola che si decide la sorte di questa nazione, ma a New York, a Chicago, a Mosca, a Berlino, a Parigi e il proletariato occidentale sarà veramente solidale con i popoli delle nazioni più misere e sfruttate dall’imperialismo quando getterà a mare ogni sua pretesa funzione nazionale, quando spezzerà ogni più piccolo interesse che lo leghi alla propria borghesia e attaccherà i punti nevralgici del sistema capitalistico facendolo crollare.

Interessante è anche la posizione presa nella guerra dai due pretesi Paesi socialisti URSS e Cina e di conseguenza dal coro belante dei loro ammiratori. Nel conflitto i due sono uno contro l’altro, armati, perché la Russia rifornisce il MPLA e la Cina appoggia il FNLA, trovandosi così dalla stessa parte degli USA e del Sud Africa. Sul piano diplomatico la Russia pretende che sia il solo MPLA ad andare al potere in Angola, in modo da poter mettere a frutto finalmente i capitali investiti fino ad ora nel Paese; la Cina, vista la debolezza del suo protetto e la sua minore influenza politica, oltre al fatto che deve salvare un minimo di faccia come Stato terzomondista, chiede il ritiro di tutte le forze straniere dal territorio e auspica l’unità dei tre movimenti di liberazione.

Nessuno dei due Paesi si preoccupa di spingere e indirizzare le masse sfruttate angolane a fare l’unico passo veramente importante per la loro definitiva emancipazione: il costituirsi di nuclei comunisti rivoluzionari che, legandosi alla tradizione formidabile della III Internazionale Comunista, costituiscano il Partito Comunista in Angola partecipando, poi organizzati sul proprio terreno di classe, alla guerra di liberazione antimperialista prima, alla rivoluzione comunista antiborghese poi. In effetti, pur se coprono le loro azioni sotto un mare di parole apparentemente rivoluzionarie e comuniste, la politica di questi due Stati, pretesi socialisti, è imperialistica al pari di quella degli USA.