Partito Comunista Internazionale

 

TEORIA E AZIONE NELLA DOTTRINA MARXISTA
Rapporto alla riunione di Roma del 1 aprile 1951

Da “Bollettino Interno”, n.1 del 10 settembre 1951


I  - Il rovesciamento della Prassi nella Teoria marxista
  DALLA RELAZIONE
PREMESSA
TAVOLE I e II - LA SUCCESSIONE DEI MODI DI PRODUZIONE
 
Tavola I  - Schema della falsa teoria della "curva discendente" dello svolgimento storico del capitalismo.


Tavola II - Interpretazione schematica dell’avvicendamento dei regimi di classe nel marxismo rivoluzionario.


Differenza fra le due concezioni
TAVOLE da III a VII - SCHEMI DELLA DINAMICA SOCIALE SECONDO LE IDEOLOGIE DELLA CLASSE DOMINANTE

 TAVOLE III e IV

  Tavola III  - Schema trascendentalista (Autoritario).


Tavola IV  - Schema demoliberale.

TAVOLE V, VI e VII


Tavola V   - Schema volontaristico-immediatistico (Proudhon, Bernstein, Sorel, Gramsci).


Tavola VI  - Schema staliniano.


Tavola VII - Schema fascista.
TAVOLA VIII - SCHEMA MARXISTA DEL ROVESCIAMENTO DELLA PRASSI.
TAVOLA IX   - SCHEMA DEL CENTRALISMO MARXISTA.
CONCLUSIONE
II - Partito rivoluzionario e Azione economica

 
 
 


I - Il rovesciamento della Prassi nella Teoria marxista
 

DALLA RELAZIONE

1. Disordine ideologico nei molti gruppi internazionali i quali condannano l’indirizzo stalinista e affermano di essere sulla linea del marxismo rivoluzionario. Incertezza di tali gruppi su ciò che essi chiamano analisi e prospettiva: svolgimento moderno della società capitalistica; possibilità di ripresa della lotta rivoluzionaria del proletariato.

2. Appare chiaro a tutti che l’interpretazione riformista del marxismo è caduta con le grandi guerre, i grandi scontri interni ed il totalitarismo borghese.

3. Frattanto, poiché all’inasprirsi della tensione sociale e politica si accompagna non la potenza ma la totale degenerazione dei partiti ex-rivoluzionari, sorge il quesito se non vi sia da fare una revisione nella prospettiva marxista ed anche in quella leninista che poneva a sbocco della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa il divampare in tutto il mondo della lotta proletaria per il potere.
 

PREMESSA

Alla Riunione di Roma del 1° aprile 1951 la relazione sul tema Il rovesciamento della prassi nella teoria marxista fu completata con la presentazione ed il commento di otto Tavole.

Le considerazioni che seguono valgano per una loro più incisiva utilizzazione. Esse espongono la raffigurazione della dinamica sociale giusta le fondamentali ideologie con cui il movimento rivoluzionario del proletariato ha fatto i conti in via definitiva sul piano teorico e che deve purtroppo farli ancora sul piano della lotta pratica.

Scrivono Marx ed Engels ne L’ideologia tedesca, 1845-1846, Vol. 1°, I:

«La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico».
«Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente; nel secondo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza».
«Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne sposta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Non appena viene rappresentato questo processo di vita attiva, la storia cessa di essere una raccolta di fatti morti, come negli empiristi che sono anch’essi astratti, o una azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti».
Il materialismo storico-dialettico, contrapponendosi alle concezione di stampo illuministico ed idealistico, non vede quindi nell’ideologia, cioè nella rappresentazione mistificata e capovolta dei rapporti reali, il frutto di un errore da correggere per aprire gli occhi ai ciechi, ma la risultanza indispensabile di un processo reale corrispondente a rapporti materiali, quelli stessi che l’ideologia proietta nella sua distorsione. Tale distorsione deriva a sua volta necessariamente dalla situazione storica delle forze sociali che nell’ideologia si esprimono e che la impongono all’insieme sociale, essendo sempre ideologia dominante quella della classe dominante. La concezione marxista respinge parimenti l’idea illuministica del «cosciente inganno» dei capi-ideologi (gli «astuti sacerdoti»), giacché la stessa rappresentazione dell’ideologia – necessariamente fantastica perché sublimazione di uno stato di cose storicamente caduco – si impone appunto come programma e sovrastruttura necessaria di fattori e trapassi sociali necessari. Così per esempio l’ideologia borghese si fonda sull’effettiva conquistata libertà dei lavoratori dai vincoli giuridici e microproprietari feudali: né la borghesia può ripudiarla, perché con ciò ripudierebbe se stessa.

Ma come il ruolo delle classi, così quello dell’ideologia subisce la dialettica trasformazione antiformismo-riformismo-conformismo illustrata nel nostro Tracciato d’impostazione. Unica classe (ed ultima), il proletariato ha il ruolo storico di eliminare sé stesso con tutte le altre classi. La sua non è pertanto ideologia che possa assumere carattere riformistico e conformistico, dando luogo ad una fissazione sovrastorica del suo dominio – ma scienza rivoluzionaria ed anzi già scienza di specie, non solo perché il proletariato (come in passato altre classi) rappresenta l’avvenire, ma perché questo avvenire non potrà non dar luogo ad una società di specie, priva di classi e dei relativi conflitti – salto di qualità dalla preistoria classista alla piena storia umana.

La contrapposizione del marxismo alle ideologie che si sono succedute nel passato e che oggi ancora in varia misura tengono il campo è, quindi, rigorosamente storica e dialettica, il che non esclude, ed al contrario implica, che la scienza globale con cui esso si identifica possa essa solo ricostruire i reali processi sottostanti all’incastellatura ideologica, svelando come l’ideologia mistifichi la realtà sussistente a prescindere da ogni «conoscenza» individuale e collettiva.

Detto questo molto sommariamente, passiamo ad illustrare il senso ed il corretto modo di impiego degli otto Schemi.
 
 

TAVOLE I e II
LA SUCCESSIONE DEI MODI DI PRODUZIONE

Tavola I

COMMENTO ALLA TAVOLA I

1. Alla situazione di dissesto dell’ideologia, dell’organizzazione e dell’azione rivoluzionaria è falso rimedio fare assegnamento sull’inevitabile progressiva discesa del capitalismo che sarebbe già iniziata e in fondo alla quale attende la rivoluzione proletaria. La curva del capitalismo non ha ramo discendente (Sommario, 1).

4. Una teoria del tutto errata è quella della curva discendente del capitalismo che porta a domandarsi falsamente come mai, mentre il capitalismo declina, la rivoluzione non avanza. La teoria della curva discendente paragona lo svolgersi storico ad una sinusoide: ogni regime, come quello borghese, inizia una fase di salita, tocca un massimo, poi comincia a declinare fino ad un minimo; dopo il quale un altro regime risale. Tale visione è quella del riformismo gradualista: non vi sono sbalzi, scosse o salti (Relazione, 4).

L’abituale affermazione che il capitalismo è nel ramo discendente e non può risalire contiene due errori: quello fatalista e quello gradualista.
Il primo è l’illusione che, finito il capitalismo di scendere, il socialismo verrà di per sé, senza agitazioni, lotte e scontri armati, senza preparazione di partito.
Il secondo, espresso dal fatto che la direzione del movimento si flette insensibilmente, equivale ad ammettere che elementi di socialismo compenetrino progressivamente il tessuto capitalistico.
 

Tavola II

COMMENTO ALLA TAVOLA II

La visione marxista può raffigurarsi (a fine di chiarezza e brevità) in tanti rami di curve sempre ascendenti fino a quei vertici (in geometria punti singolari o cuspidi) a cui segue una brusca caduta quasi verticale e, dal basso, un nuovo regime sociale, un altro ramo storico di ascensione (Relazione, 5).

Marx non ha prospettato un salire e poi un declinare del capitalismo, ma invece il contemporaneo e dialettico esaltarsi della massa di forze produttive che il capitalismo controlla, della loro accumulazione e concentrazione illimitata, e al tempo stesso della reazione antagonistica, costituita da quella delle forze dominate che è la classe proletaria. Il potenziale produttivo ed economico generale sale sempre finché l’equilibrio non è rotto, e si ha una fase esplosiva rivoluzionaria, nella quale in un brevissimo periodo precipitoso, col rompersi delle forme di produzione antiche, le forze di produzione ricadono per darsi un nuovo assetto e riprendere una più potente ascesa.

Conformemente a questa, che è la sola visione marxista, fin da un secolo sono perfettamente scontati tutti i fenomeni dell’attuale fase imperialistica: in economia trust, monopoli, dirigismo statale, nazionalizzazione; in politica stretti regimi di polizia, strapotenza militare, ecc  (Relazione, 6).

Non meno chiara è la posizione per cui il partito proletario non deve contrapporre rivendicazioni gradualiste e di ripristino e rinascita delle forme liberali e tolleranti in questa moderna situazione.
L’errore opposto del movimento proletario e soprattutto della Terza Internazionale ha determinato un mancato contrapporsi all’altissimo potenziale capitalistico di una comparabile tensione rivoluzionaria.
La spiegazione di questo secondo crollo del movimento di classe, più grave di quello del socialpatriottismo 1914, conduce alle difficili questioni del rapporto tra spinte economiche e lotta rivoluzionaria, tra le masse e il partito che deve guidarle  (Relazione, 7).

DIFFERENZA FRA LE DUE CONCEZIONI

La differenza fra le due concezioni, di cui alle Tavole I e II, nel linguaggio dei geometri si esprime così: la prima curva o curva degli opportunisti (revisionisti tipo Bernstein, stalinisti emulativisti, intellettuali rivoluzionari pseudomarxisti) è una curva continua che in tutti i punti «ammette una tangente», ossia praticamente procede per variazioni impercettibili di intensità e di direzione. La seconda curva, con cui si è voluta dare una immagine semplificatrice della tanto deprecata «teoria delle catastrofi», presenta ad ogni epoca delle punte che in geometria si chiamano «cuspidi» o «punti singolari». In tali punti la continuità geometrica, e dunque la gradualità storica, sparisce, la curva «non ha tangente» o, anche, «ammette tutte le tangenti» – come nella settimana che Lenin non volle lasciar passare.

Occorre appena notare che il senso generale ascendente non vuole legarsi a visioni idealistiche sull’indefinito progresso umano, ma al dato storico del continuo ingigantirsi della massa materiale delle forze produttive, nel succedersi delle grandi crisi storiche rivoluzionarie.
 
 

TAVOLE da III a VII
SCHEMI DELLA DINAMICA SOCIALE SECONDO LE IDEOLOGIE DELLA CLASSE DOMINANTE

Sono riprodotti qui di seguito gli Schemi di raffigurazione della dinamica sociale giusta le fondamentali ideologie (Tavole III a VII) con cui il movimento rivoluzionario del proletariato ha dovuto e deve, su piani diversi, fare i conti (secondo quanto esposto nella Premessa), per poi contrapporre ad essi lo Schema marxista del Capovolgimento della Prassi (Tavola VIII)

In una Nota alla Relazione è precisata la distinzione tra gli Schemi di concezioni in netta antitesi con il marxismo (Tavole III e IV) e, peggio, aberranti rispetto al marxismo per l’equivoca pretesa di richiamarsi non a tutti, ma solo ad una parte od a qualcuno dei suoi postulati di base (Tavole V, VI e VII).
 

TAVOLE III e IV

Le Tavole III e IV, pur nella loro diversità, si riconducono a comuni denominatori.

Per gli Schemi trascendentalista e demoliberale, pur andando nell’uno il senso dell’Autorità dallo Stato verso il Singolo, mentre nell’altro il senso della Libertà va dal Singolo alla Società e allo Stato, per entrambi è l’idea (nell’uno promanante dalla Divinità, nell’altro diffusa in tutti i singoli componenti la collettività umana) che condiziona e determina le azioni umane. In entrambi si va logicamente dalla Coscienza (intesa nel primo come Fede, nel secondo come Razionalità) alla Volontà (per entrambi intesa come Eticità), all’Attività, Economia e Vita fisica.

Tavola III

COMMENTO ALLA TAVOLA III

Lo Schema trascendentalista (autoritario) è tipico delle religioni rivelate, del feudalesimo e dell’assolutismo teocratico; fatto proprio anche dalla moderna società capitalistica. Questa concezione fa appello ad una Divinità che nell’atto stesso della creazione ha infuso negli uomini uno spirito, che, ritrovandosi in ogni singolo, assicura l’uguaglianza «davanti a Dio» – e quindi per lo meno nel mondo ultraterreno – e garantisce un comportamento ispirato a comuni principi di origine divina. Lo Stato a sua volta, controllando Coscienza ed Attività dei singoli, permette l’esplicarsi della vita spirituale e fisica nel suo ordine gerarchico, che rispecchia il piano «divino» rivelato nelle sacre scritture.
 


 

COMMENTO ALLA TAVOLA IV

Lo Schema demoliberale è comune ad espressioni ideologiche assai differenziate quali l’illuminismo con le sue varie sfumature (empirismo, sensismo, materialismo meccanicistico), il criticismo kantiano, l’idealismo oggettivo e dialettico di Hegel, il positivismo, il neoidealismo, l’immediatismo libertario (Stirner, Bakunin) e riformistico. Si tratta della più pura assolutizzazione del «principio democratico», basato sull’Io, che, sia come singolo individuo, sia come «spirito di popolo», «volontà collettiva», ecc., possiede in sé, nel suo profondo, le norme del suo comportamento (ciò può condurre, come negli anarchici, a negare lo Stato, come non-rappresentativo della volontà collettiva, ed a sostituirlo con la «opinione sociale» o simili astrazioni che hanno la stessa funzione dello Stato «etico» nel pensiero borghese classico, di cui sono, d’altra parte, dirette filiazioni). Vita etica, Vita economica, Volontà di agire nell’ambiente esterno, sono l’esplicazione delle forze di Coscienza e Razionalità proprie allo «spirito umano» presente in tutti i Singoli («uguaglianza di fronte alla legge»). Lo Stato, e l’organizzazione sociale in genere, è quindi concepito quale proiezione ed al contempo quale garanzia della libertà dei singoli, «è la realtà etica dell’Idea».
 

TAVOLE V, VI e VII

Anche queste, nonostante le loro diversità, presentano caratteristiche similari.

Per gli Schemi volontaristico-immediatista, gramsciano-staliniano e fascista le spinte Fisiche ed Economiche sono alla base della loro costruzione; ed in questo carattere comune si contrappongono ai due precedenti Schemi idealistici. Ma hanno in comune con essi la precedenza e preminenza che la Volontà ha sull’Attività per quanto riguarda il Singolo e la Classe (per il Fascismo il Popolo o la Nazione). Altro carattere comune a questi tre Schemi volontaristici (quello condiviso da Proudhon, Sorel, Bernstein, Gramsci, ecc. anche individualistico; e in ciò è deteriore rispetto agli altri due) è la la successione parallela di Spinte economiche, Volontà, Attività e Coscienza che si riscontra, tra il Partito e lo Stato (l’Organizzazione per il gramscismo) da una parte e il Singolo e la Classe (il Singolo e il Popolo-Nazione per il Fascismo) dall’altra, che comporta l’impossibilità per il Partito di una teoria scientifica dei fenomeni sociali.

Tavola V

COMMENTO ALLA TAVOLA V

Schema volontaristico-immediatistico, tipico della visione corporativa piccolo-borghese, quindi di forme opportunistiche (proudhonismo, anarcosindacalismo, operaismo, ordinovismo, socialismo dei Consigli) e riformistiche (laburismo, ecc.); evidentemente si inserisce entro la concezione liberale di cui rappresenta una variante. Qui l’Individuo, sempre alla base del processo, prende coscienza delle spinte Fisiche ed Economiche che sono sostrato della sua esistenza: tale presa di Coscienza condiziona la Volontà, e questa a sua volta l’Azione. L’Organizzazione economica e politica risulta dal confluire delle singole prese di coscienza: la Classe è a sua volta risultato dell’assommarsi e connettersi in rete di Organizzazioni immediate (è quindi nozione avulsa da ogni senso di indirizzo storico – non mai di classe in sé e per sé nel senso marxistico della espressione).
 

Tavola VI
 

COMMENTO ALLA TAVOLA VI

Lo Schema staliniano rappresenta l’ideologia conseguente alla controrivoluzione staliniana. Anche per essa è il Singolo (individuo) che giunge alla Coscienza, dopo però che la sua azione (Attività) è stata determinata da libera «scelta», decisione (Volontà). È caratteristica l’assimilazione Partito-Stato: ma poiché le Spinte (interessi) economiche pervengono, dal Singolo attraverso la Classe, allo Stato-Partito e sono utilizzati da questo pseudo «binomio» per i compiti di decisione e di guida (Volontà) al fine di determinare orientamenti pratici (Attività) ed indirizzi teorici (Coscienza), è chiaro che di fatto nel «binomio» il Partito vien meno, e sussiste solo a «giustificazione dello Stato».
 

Tavola VII

COMMENTO ALLA TAVOLA VII

Il fascismo è per definizione eclettico, non ha una dottrina propria. Tuttavia esprime ideologicamente il suo ruolo di unificazione delle forze capitalistiche (imperialistiche), di realizzazione del programma riformista e di mobilitazione delle «mezze classi» in una concezione non a caso analoga a quella dello stalinismo. Come lo stalinismo, il fascismo non può abbandonare alcuni postulati ideologici borghesi essenziali, quali l’equivalenza giuridica degli individui, la «volontà del popolo», il carattere «popolare» del suo dominio. Al soggetto individuo come punto di partenza è però sostituita la «Nazione», il «Popolo» ed anche la «Razza», che recepisce le motivazioni fisiche in prima istanza (vedasi la concezione nazional-socialistica del «sangue e suolo») e si esprime nello Stato. Il Singolo è concepito come «passivo recettore» di Spinte etiche dal Popolo-Nazione, di impulsi volontaristici ed attivistici dallo Stato-Partito.
 
 

TAVOLA VIII
SCHEMA DEL ROVESCIAMENTO DELLA PRASSI

Tavola VIII

COMMENTO ALLA TAVOLA VIII

La giusta prassi marxista afferma che la coscienza del singolo e anche della massa segue l’azione, e che l’azione segue la spinta dell’interesse economico. Solo nel partito di classe la coscienza e, in date fasi, la decisione di azione precede lo scontro di classe. Ma tale possibilità è inseparabile organicamente dal gioco molecolare delle spinte iniziali fisiche ed economiche (Sommario, 3).

Come sono da scartare le posizioni di quei gruppi che svalutano il compito e la necessità del partito nella rivoluzione e ricadono in posizioni operaiste o, peggio, hanno esitazioni sull’impiego del potere di Stato nella rivoluzione, così devono ritenersi fuori strada quelli che considerano il partito come il raggruppamento degli elementi coscienti e non ne scorgono i necessari legami con la lotta di classe fisica, ed il carattere di prodotto della storia, come di suo fattore, che il partito presenta (Relazione, 8).

Tale questione conduce a ristabilire l’interpretazione del determinismo marxista quale è stata costruita dalla prima enunciazione, ponendo al loro posto il comportarsi del singolo individuo sotto l’azione degli stimoli economici e la funzione dei corpi collettivi come la classe e il partito (Relazione, 9).

Anche qui è utile delineare uno Schema che spiega il marxistico rovesciamento della prassi. Nel singolo si va dal bisogno fisico all’interesse economico, all’azione quasi automatica per soddisfarla; soltanto dopo, ad atti di volontà ed all’estremo alla coscienza e conoscenza teorica. Nella classe sociale il processo è lo stesso: solo che si esaltano enormemente tutte le forze di direzione concomitante. Nel partito, mentre dal basso vi confluiscono tutte le influenze individuali e di classe, si forma dal loro apporto una possibilità e facoltà di visione critica e teorica e di volontà d’azione, che permette di trasfondere ai singoli militanti e proletari la spiegazione di situazioni e processi storici e anche le decisioni di azione e di combattimento Relazione, 10).

Quindi, mentre il determinismo esclude per il singolo possibilità di volontà e coscienza premesse all’azione, il rovesciamento della prassi le ammette unicamente nel partito come il risultato di una generale elaborazione storica. Se dunque vanno attribuite al partito volontà e coscienza, deve negarsi che esso si formi dal concorso di coscienza e volontà di individui di un gruppo; e che tale gruppo possa minimamente considerarsi al di fuori delle determinanti fisiche, economiche e sociali in tutta l’estensione della classe (Relazione, 11).

È quindi priva di senso la pretesa analisi secondo cui vi sono tutte le condizioni rivoluzionarie ma manca una direzione rivoluzionaria. È esatto dire che l’organo di direzione è indispensabile, ma il suo sorgere dipende dalle stesse condizioni generali di lotta, mai dalla genialità o dal valore di un capo o di una avanguardia. Tale chiarificazione di rapporti tra fatto economico-sociale e politico deve servire di base ad illustrare il problema dei rapporti fra partito rivoluzionario e azione economica e sindacale (Relazione, 12).

Solo nello Schema Marxista la successione di Attività Volontà e Coscienza del Singolo e della Classe trovasi completamente rovesciata nel Partito, la cui conoscenza dei fatti sociali investe passato presente e futuro, elevandosi al livello di teoria scientifica, con possibilità quindi di esercitare una Volontà ed un’Azione.

Lo scopo dello Schema è soltanto di semplificare i concetti del determinismo economico. Nel Singolo individuo (e quindi anche nel singolo proletario) non è la Coscienza teorica a determinare la Volontà di agire sull’ambiente esterno, ma avviene l’opposto, come mostra lo Schema con frecce dirette dal basso verso l’alto: la Spinta del bisogno fisico determina, attraverso l’Interesse economico, un’Azione non cosciente, e solo molto dopo l’azione ne avviene la critica e la Teoria per intervento di altri fattori.

L’insieme dei singoli, posti nelle stesse condizioni economiche, si comporta analogamente (come mostra lo Schema con frecce dirette dal basso verso l’alto), ma la concomitanza di stimoli e di reazioni crea la premessa per una più chiara Volontà e poi Coscienza. Queste si precisano soltanto nel partito di classe, che raccoglie una parte dei componenti di questa ma elabora, analizza e potenzia l’esperienza vastissima di tutte le spinte, stimoli e reazioni. È solo il partito che riesce a capovolgere il senso della prassi. Esso possiede una Teoria ed ha quindi conoscenza dello sviluppo degli eventi: entro dati limiti, secondo le situazioni e i rapporti di forza, il partito può esercitare Decisioni ed iniziative e influire sull’andamento della lotta (come mostra lo Schema con frecce dirette dall’alto verso il basso).

Con frecce dirette da sinistra a destra si sono volute rappresentare le influenze dell’ordine tradizionale (forme di produzione); e con frecce dirette da destra a sinistra le influenze antagonistiche rivoluzionarie.

Il rapporto dialettico sta nel fatto che in tanto il partito rivoluzionario è un fattore cosciente e volontario degli eventi, in quanto è anche un risultato di essi e del conflitto che essi contengono fra antiche forme di produzione e nuove forze produttive. Tale funzione teorica ed attiva del partito cadrebbe però se si troncassero i suoi legami materiali con l’apporto dell’ambiente sociale, della primordiale, materiale e fisica lotta di classe.
 
 

TAVOLA IX
SCHEMA DEL CENTRALISMO MARXISTA

    Alla Riunione n. 2 di Napoli del 1° settembre 1951 nel richiamare le otto Tavole della Riunione n. 1 di Roma e dopo averne ribadito i temi fondamentali, fu presentata la Tavola IX sullo «Schema del Centralismo Marxista» corredata di uno scarno, ma sufficiente commento sia sul suo meccanismo che sul significato che assume nei suoi confronti la netta posizione della Sinistra Comunista.

Tavola IX

COMMENTO ALLA TAVOLA IX

1. Gli individui che compongono la classe sono spinti ad agire in direzioni discordanti. Alcuni, se consultati e liberi di decidere, lo farebbero nel senso dell’interesse della classe opposta, dominante.

2. Gli organizzati sindacali tendono ad agire in direzione contraria all’interesse padronale, ma in senso immediato e senza capacità di convergere ad azione unica e scopo unico.

3. I militanti nel partito politico, risultando dal lavoro nel seno della classe e delle associazioni, sono preparati ad agire sulla risultante unica rivoluzionaria.

4. Gli organi di dirigenza del partito, emanati dalla base, agiscono nella direzione rivoluzionaria nella continuità della teoria, dell’organizzazione e dei metodi tattici.

La posizione della Sinistra consiste nella simultanea lotta contro le due deviazioni:
1. La base basta a decidere l’azione del centro, se consultata democraticamente (operaismo, laburismo, socialdemocratismo).
2. Il centro supremo (comitato politico o capo del partito) basta a decidere l’azione del partito e della massa (stalinismo, cominformismo), con diritto a scoprire «nuove forme» e «nuovi corsi».

Entrambe le deviazioni conducono allo stesso risultato: la base non è più la classe proletaria, ma il popolo o la nazione. Giusta Marx e Lenin, ne scaturisce la direzione nell’interesse della classe dominante borghese.
 
 

CONCLUSIONE

Le posizioni che abbiamo evidenziate sotto la forma di nove Tavole corrispondono, nella forma di testi scritti, alle Tesi di Roma del 1922 e alle Tesi di Lione del 1926. Esse sono posizioni invariabili del marxismo rivoluzionario, non abiti che si cambiano ad ogni mutar di stagione. Esse non esprimono convinzioni personali né apportano innovazioni ad una teoria che appartiene alla classe operaia ed è nata completa con essa. Non siamo in presenza di documenti di persone, ma di testi di Partito.
 
 
 
 
 
 


II - Partito rivoluzionario e Azione economica


DAL SOMMARIO

2. La seconda crisi storica internazionale opportunista col crollo della Terza Internazionale risale all’intermedismo, per cui si sono voluti porre scopi politici generali transitori tra la dittatura borghese e quella proletaria. È nozione sbagliata quella che per evitare l’intermedismo rinuncia alle rivendicazioni economiche particolari dei gruppi proletari.

4. Secondo tutte le tradizioni del marxismo e della Sinistra italiana e internazionale, il lavoro e la lotta nel seno delle associazioni economiche proletarie è una delle condizioni indispensabili per il successo della lotta rivoluzionaria, insieme alla pressione delle forze produttive contro i rapporti di produzione e alla giusta continuità teorica, organizzativa e tattica del partito politico.

5. Se nelle varie fasi del corso borghese: rivoluzionaria, riformista, antirivoluzionaria, la dinamica dell’azione sindacale ha subito variazioni profonde (divieto, tolleranza, assoggettamento), questo non toglie che è indispensabile organicamente avere tra la massa proletaria e la minoranza inquadrata nel partito un altro strato di organizzazioni per principio neutre politicamente ma costituzionalmente accessibili a soli operai, e che organismi di questo genere devono risorgere nella fase di avvicinamento della rivoluzione.
 

Conviene ricordare quale sia stato l’atteggiamento della Sinistra comunista italiana a proposito delle questioni sindacali, passando quindi ad esaminare quanto vi è di mutato nel campo sindacale dopo le guerre e i totalitarismi.

1. Allorché il partito italiano non era stato ancora costituito, al secondo Congresso dell’Internazionale del 1920, furono dibattute due grandi questioni di tattica: azione parlamentare e azione sindacale. Ora, i rappresentanti della corrente antielezionista si schierarono contro la cosiddetta sinistra che propugnava la scissione sindacale e la rinunzia a conquistare i sindacati diretti da opportunisti. Queste correnti in fondo ponevano nel sindacato e non nel partito il centro dell’azione rivoluzionaria e lo volevano puro da influenze borghesi (Tribunisti olandesi, KAPD tedesco, Sindacalisti americani, scozzesi, ecc.).

2. La sinistra da allora combatté aspramente quei movimenti analoghi a quello torinese de «L’Ordine Nuovo», che facevano consistere il compito rivoluzionario nello svuotare i sindacati a vantaggio del movimento dei consigli di fabbrica, intendendoli come trama degli organi economici e statali della rivoluzione proletaria iniziata in pieno capitalismo, confondendo gravemente fra i momenti e gli strumenti del processo rivoluzionario.

3. Stanno su ben diverso piano le questioni parlamentare e sindacale. È pacifico che il parlamento è l’organo dello Stato borghese in cui si pretende siano rappresentate tutte le classi della società, e tutti i marxisti rivoluzionari convengono che su di esso non si possa fondare altro potere che quello della borghesia. La questione è se la utilizzazione dei mandati parlamentari possa servire ai fini della propaganda e dell’agitazione per l’insurrezione e la dittatura. Gli oppositori sostenevano che anche a questo solo fine è producente di opposto effetto la partecipazione di nostri rappresentanti in un organismo comune a quelli borghesi.

4. I sindacati, da chiunque diretti, essendo associazioni economiche di professione, raccolgono sempre elementi di una medesima classe. È ben possibile che gli organizzati proletari eleggano rappresentanti di tendenze non solo moderate ma addirittura borghesi, e che la direzione del sindacato cada sotto l’influenza capitalista. Resta tuttavia il fatto che i sindacati sono composti esclusivamente di lavoratori e quindi non sarà mai possibile dire di essi quello che si dice del parlamento, ossia che sono suscettibili solo di una direzione borghese.

5. In Italia, prima della formazione del Partito Comunista, i socialisti escludevano di lavorare nei sindacati bianchi dei cattolici e in quelli gialli dei repubblicani. I comunisti poi, in presenza della grande Confederazione diretta prevalentemente da riformisti e dell’Unione Sindacale, diretta da anarchici, senza alcuna esitazione e unanimi stabilirono di non fondare nuovi sindacati e lavorare per conquistare dall’interno quelli ora detti, tendendo anzi alla loro unificazione. Nel campo internazionale, il partito italiano unanime sostenne non solo il lavoro in tutti i sindacati nazionali socialdemocratici, ma anche l’esistenza della Internazionale Sindacale Rossa (Profintern), la quale riteneva ente non conquistabile la Centrale di Amsterdam perché collegata alla borghese Società delle Nazioni attraverso l’Ufficio Internazionale del Lavoro. La Sinistra italiana si oppose violentemente alla proposta di liquidare il Profintern per costituire una Internazionale Sindacale unica, sostenendo sempre il principio dell’unità e della conquista interna per i sindacati e le confederazioni nazionali.

6. a) L’attività sindacale proletaria ha determinato una molto diversa politica dei poteri borghesi nelle successive fasi storiche. Poiché le prime borghesie rivoluzionarie vietarono ogni associazione economica come tentativo di ricostituire le corporazioni illiberali del Medioevo, e poiché ogni sciopero fu violentemente represso, tutti i primi moti sindacali presero aspetti rivoluzionari. Fin da allora il Manifesto avvertiva che ogni movimento economico e sociale conduce a un movimento politico e ha importanza grandissima in quanto estende l’associazione e la coalizione proletaria, mentre le sue conquiste puramente economiche sono precarie e non intaccano lo sfruttamento di classe.

b) Nella successiva epoca, la borghesia avendo compreso che le era indispensabile accettare che si ponesse la questione sociale, appunto per scongiurare la soluzione rivoluzionaria tollerò e legalizzò i sindacati riconoscendo la loro azione e le loro rivendicazioni; ciò in tutto il periodo privo di guerre e relativamente di progressivo benessere che si svolse sino al 1914.
     Durante tutto questo periodo, il lavoro nei sindacati fu elemento principalissimo per la formazione dei forti partiti socialisti operai e fu palese che questi potevano determinare grandi movimenti soprattutto col maneggio delle leve sindacali.
     Il crollo della Seconda Internazionale dimostrò che la borghesia si era procurata influenze decisive su una gran parte della classe operaia attraverso i suoi rapporti e compromessi con i capi sindacali e parlamentari, i quali quasi dappertutto dominavano l’apparato dei partiti.

c) Nella ripresa del movimento dopo la rivoluzione russa e la fine della guerra imperialista, si trattò appunto di fare il bilancio del disastroso fallimento dell’inquadratura sindacale e politica, e si tentò di portare il proletariato mondiale sul terreno rivoluzionario eliminando con le scissioni dei partiti i capi politici e parlamentari traditori, e procurando che i nuovi partiti comunisti nelle file delle più larghe organizzazioni proletarie pervenissero a buttare fuori gli agenti della borghesia. Dinanzi ai primi vigorosi successi in molti paesi, il capitalismo si trovò nella necessità, per impedire l’avanzata rivoluzionaria, di colpire con la violenza e porre fuori legge non solo i partiti ma anche i sindacati in cui questi lavoravano. Tuttavia, nelle complesse vicende di questi totalitarismi borghesi, non fu mai adottata l’abolizione del movimento sindacale. All’opposto, fu propugnata e realizzata la costituzione di una nuova rete sindacale pienamente controllata dal partito controrivoluzionario, e, nell’una o nell’altra forma, affermata unica e unitaria, e resa strettamente aderente all’ingranaggio amministrativo e statale.
     Anche dove, dopo la seconda guerra, per la formulazione politica corrente, il totalitarismo capitalista sembra essere stato rimpiazzato dal liberalismo democratico, la dinamica sindacale seguita ininterrottamente a svolgersi nel pieno senso del controllo statale e della inserzione negli organismi amministrativi ufficiali. Il fascismo, realizzatore dialettico delle vecchie istanze riformiste, ha svolto quella del riconoscimento giuridico del sindacato in modo che potesse essere titolare di contratti collettivi col padronato fino all’effettivo imprigionamento di tutto l’inquadramento sindacale nelle articolazioni del potere borghese di classe.
Questo risultato è fondamentale per la difesa e la conservazione del regime capitalista appunto perché l’influenza e l’impiego di inquadrature associazioniste sindacali è stadio indispensabile per ogni movimento rivoluzionario diretto dal partito comunista.

7. Queste radicali modificazioni del rapporto sindacale ovviamente non risalgono solo alla strategia politica delle classi in contrasto e dei loro partiti e governi, ma sono anche in rapporto profondo al mutato carattere della relazione economica che passa fra datore di lavoro e operaio salariato.
     Nelle prime lotte sindacali, con cui i lavoratori cercavano di opporre al monopolio dei mezzi di produzione quello della forza di lavoro, l’asprezza del contrasto derivava dal fatto che il proletariato, spogliato da tempo di ogni riserva di consumo, non aveva assolutamente altra risorsa che il quotidiano salario, ed ogni lotta contingente lo conduceva ad un conflitto per la vita e per la morte.
     È indubitabile che, mentre la teoria marxista della crescente miseria si conferma per il continuo aumento numerico dei puri proletari e per l’incalzante espropriazione delle ultime riserve di strati sociali proletari e medi, centuplicata da guerre, distruzioni, inflazione monetaria, ecc., e mentre in molti paesi raggiunge cifre enormi la disoccupazione e lo stesso massacro dei proletari, laddove la produzione industriale fiorisce, per gli operai occupati tutta la gamma delle misure riformiste di assistenza e previdenza per il salariato crea un nuovo tipo di riserva economica che rappresenta una piccola garanzia patrimoniale da perdere, in certo senso analoga a quella dell’artigiano e del piccolo contadino; il salariato ha dunque qualche cosa da rischiare, e questo (fenomeno d’altra parte già visto da Marx, Engels e Lenin per le cosiddette aristocrazie operaie) lo rende esitante ed anche opportunista al momento della lotta sindacale e peggio dello sciopero e della rivolta.

8. Al di sopra del problema contingente in questo o quel paese di partecipare al lavoro in dati tipi di sindacato ovvero di tenersene fuori da parte del partito comunista rivoluzionario, gli elementi della questione fin qui riassunta conducono alla conclusione che in ogni prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale non possono non essere presenti questi fondamentali fattori: 1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda una imponente parte del proletariato; 3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori ma al quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese.
     I fattori che hanno condotto a stabilire la necessità di ciascuna e di tutte queste tre condizioni, dalla utile combinazione delle quali dipenderà l’esito della lotta, sono stati dati: dalla giusta impostazione della teoria del materialismo storico che collega il primitivo bisogno economico del singolo alla dinamica delle grandi rivoluzioni sociali; dalla giusta prospettiva della rivoluzione proletaria in rapporto ai problemi dell’economia e della politica e dello Stato; dagli insegnamenti della storia di tutti i movimenti associativi della classe operaia così nel loro grandeggiare e nelle loro vittorie che nei corrompimenti e nelle disfatte.
     Le linee generali della svolta prospettiva non escludono che si possano avere le congiunture più svariate nel modificarsi, dissolversi, ricostituirsi di associazioni a tipo sindacale; di tutte quelle associazioni che ci si presentano nei vari paesi sia collegate alle organizzazioni tradizionali che dichiaravano fondarsi sul metodo della lotta di classe, sia più o meno collegate ai più diversi metodi e indirizzi sociali anche conservatori.