Partito Comunista Internazionale
Come la mettiamo, ora, con la violenza?

(Il Programma Comunista, n. 13, 1960)


La caratteristica degli opportunisti e traditori nella causa rivoluzionaria non è già il rifiuto della violenza ma il suo impiego per fini che non hanno nulla in comune con gli interessi immediati e gli obiettivi storici della classe operaia.

Essi vanno ripetendo che al socialismo si arriverà, anzi si deve arrivare, per via pacifica, con l'arma della persuasione, della riforma e della scheda; denunciano gli scoppi di violenza proletaria quando avvengono, se per disgrazia non riescono a prevenirli, e si sforzano di limitarne la portata, di isolarli nello spazio, di farli ”riassorbire”; aggiungono, per convincere i sordi, o che la forza usata dagli operai, negli scioperi nelle grandi agitazioni politiche, ”fa il gioco dell'avversario” o che, nelle condizioni attuali di sviluppo della tecnica repressiva e della difesa dello Stato, l'operaio inerme è per legge storica destinato a soccombere. Sono quindi – come siano in gioco interessi proletari di classe – per la legalità e rispetto geloso del “libero gioco Democratico”.

Ma rovesciate la situazione, ammettete che la patria sia in pericolo, che le istituzioni parlamentari rischiano di sfasciarsi, che il dolce idillio fra padroni e lavoratori sia turbato da “forze retrive”, e allora li vedete correre alle armi e benedire la violenza spicciola e diffusa, la sassaiola, la barricata e, conclusione suprema, la guerra.

La patria è in pericolo: tutti sotto le armi! Scoppia un conflitto: niente sciopero generale! La democrazia langue: imbracciate il fucile! Gli operai non ne possono più: brandite il pezzo di carta della scheda! Li affamano, li bastonano, li spediscono al fronte: protestino ma con dignità e nel rispetto delle leggi!

Questo continuo capovolgimento di fronte – per cui ai proletari è lecito, anzi doveroso, offrire la propria vita per “cause” cosiddette comuni a tutti i cittadini, ed è invece obbligatorio offrire l'altra guancia se si tratta di affermare il proprio diritto di singoli e di componenti di una classe, di uomini d'oggi e uomini di domani – è veramente il simbolo e il marchio di infamia dei partiti e degli uomini che hanno fatto per sempre gettito nel bagaglio marxista. Essi, i teneri, i raffinati, i solleciti dei valori morali e civili, rifuggono dagli eccessi, piangono sul sangue che scorre, inorridiscono al pensiero della legge violata, soltanto se tutto questo avviene o può avvenire per infrangere le catene del dominio capitalista e delle sue istituzioni democratiche. Mai se si tratta di ribadirle. non solo si gettano come avvoltoi sugli episodi di imperiosa violenza operaia, per metterli a frutto in nome dell'antisocialismo e dell'anticomunismo.

I proletari di Genova scendono in piazza: ciò è bene, sia per Saragat che per Nenni e Togliatti, perché “hanno detto no al fascismo”. Ma i primi due deplorano la rivoluzione di Ottobre e, rivoluzione a parte, hanno sempre teorizzato l'arrivo al socialismo con la persuasione e con la scheda, e il terzo considera l'Ottobre di un passato preistorico e, per il presente, non ha che la pacifica via delle “riforme di struttura” e del disarmo universale. Fate l'ipotesi che gli operai genovesi avessero attaccato non solo il Msi, ma le sedi dei partiti democratico-borghesi e i tempi dorati della famiglia dell’affarismo industriale finanziario e mercantile di cui la Superba va tanto superba, e state tranquilli che i “capi della Resistenza” non si sarebbero mossi o, meglio, sarebbero corsi affannosamente a prevenire – se potevano – l'opera di... agenti provocatori. Ora tirano il fiato: gli operai ce l'avevano proprio soltanto con il Msi; danzando sui lastricati divelti, sui tavolini rovesciati, sui resti di camionette capovolte, i rappresentanti delle “sinistre” si abbracciano con tutti i petali della margherita risorgimentale-liberare-democratica-partigiana.

Storicamente, la violenza è oggi buona e santa se esprime la confusione per cui i lavoratori, mentre sono più e giustamente schifati dalle grinte dei nostalgici dello squadrismo nero (nostalgici, fra parentesi, entrati solennemente a far parte del gioco democratico e ben decisi a non uscirne), non si accorgono che la grinta fascista sta dietro a tutti i partiti della legalità democratica e dell'unità repubblicana, non solo e non tanto perché, quando fa loro comodo per fini di bottega, corrono ad allearsi con missini e supermissini, non solo e non tanto perché hanno convissuto e convivono con loro in parlamento, non solo e non tanto perché da essi partirono l'amnistia ai fascisti e la parola d'ordine della riconciliazione nazionale, ma perché il fascismo è nella vita quotidiana di tutta la società capitalistica, nel funzionamento dello Stato democratico, nella realtà della vita economica italiana e mondiale; perché la democrazia nata dalla guerra “liberatrice” e mille volte più accentratrice, totalitaria, statolatra, poliziesca, sfacciatamente borghese, conservatrice e codina, dello stesso fascismo ufficiale.

Ѐ questo fascismo non dichiarato ma in atto che si tratta – per i partiti del tradimento – di proteggere e sviluppare. In tale operazione il Msi può costituire un concorrente e, pendendo le elezioni, gli si dà addosso; può diventare un alleato e, come già in uno ieri recente e molto spesso nell'oggi, e gli si lustran gli stivali.

In ogni caso, per la costituzione, per le “libertà democratiche”, per il diritto di ruffianeggiare nelle corsie ministeriali e negli angiporti montecitoriani, la violenza è santa. Non solo, ma guarda caso, non solo non fa “il gioco dell'avversario”, ma vince con eccezionale prontezza, a smentita delle torve previsioni sull'apocalisse che si abbatterebbe sui proletari ove osassero ricorrervi per affermare le proprie ragioni di vita e solo esse. Armati di sassi, i proletari di Palermo fronteggiano e respingono le cariche di polizia: perfino la barricata è ancora valida, malgrado i... progressi dell'arte repressiva e militare! A Genova scendono in piazza gli operai; e una grande città cade in paralisi!

Come la mettiamo, dunque? La violenza degli oppressi è forse, come pretendevate, votata necessariamente alla sconfitta, antidiluviana, non più “concreta”, non più “consona ai tempi”? Ѐ forse vittoriosa perché è benedetta dalla “cultura” e fa comodo per ridar verginità a una democrazia dalle molte vite? Eh, cari signori, la “cultura” se ne stava tappata in casa: essa benedice sempre chi ha vinto!