Partito Comunista Internazionale Sulla questione sindacale


Lotta entro il sindacato operaio in difesa dei principi del comunismo rivoluzionario

(Il Programma Comunista, n. 8, 18 aprile 1964)

Pubblichiamo qui la dichiarazione con la quale il comp. Settimo Balbi di Trieste ha motivato l’impossibilità di accettare cariche direttive in un organismo misto sorto al termine del III congresso provinciale della FIOM sulla base di una piattaforma di azione contrastante coi più elementari principi di classe e con l’azione da lui svolta nel sindacato e a stretto contatto con gli operai e le loro lotte rivendicative e politiche.

Essa è pienamente conforme tanto alla critica da noi costantemente rivolta alla politica della CGIL (e a maggior ragione della CISL e dell’UIL, che consideriamo organizzazione dichiaratamente padronali), quanto alla posizione generale nostra che non solo non esclude ma postula la conquista e l’esercizio della direzione del sindacato operaio, purchè esse siano il frutto di un’azione di propaganda e di battaglia svolta nelle sue file e avente per effetto la dichiarata adesione di una corrente di proletari ai principi di lotta operaia di classe da noi sostenuti, mai il risultato di combinazioni, manovre e patteggiamenti che questi princìpi snaturerebbero, agli occhi degli stessi lavoratori.

La nostra prospettiva e la nostra linea rimangono dunque: lotta entro il sindacato operaio in difesa dei principi del comunismo rivoluzionario e in vista della formazione di una corrente di proletari schierati su di essi; conquista delle leve di comando non appena i rapporti di forza consentano a tale corrente di affermarsi su una piattaforma inequivocabile e nella più ferma aderenza ai postulati marxisti.


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La “mozione conclusiva” presentata dalla FIOM al III Congresso provinciale di Trieste rappresenta una piattaforma programmatica inconciliabile con la natura e le finalità del sindacato di classe.

L’organizzazione sindacale ha il compito di unificare le forze sparpagliate degli operai nella lotta in difesa dei loro interessi immediati contro il Capitale, e in vista di quella lotta generale politica che il proletariato dovrà inevitabilmente condurre, sotto la guida del partito politico rivoluzionario, per lo abbattimento del potere borghese e l’instaurazione della dittatura comunista.

A questa finalità contraddicono tutti i punti della mozione conclusiva della FIOM al congresso provinciale, che d’altronde rispecchia la generale impostazione politica oggi data dalla Confederazione Generale del Lavoro.

1) Alla prospettiva di una lotta finale e violenta per l’abbattimento del potere capitalista e quindi del suo Stato, è qui sostituita la prospettiva del tutto riformista e socialdemocratica della «partecipazione e dell’apporto decisivi dei lavoratori» alla cosiddetta programmazione governativa;

2) Agli interessi proletari e alla loro difesa sono sostituiti gli «interessi del paese» (quindi del Capitale che governa il Paese, in veste democratica non meno che in veste fascista) o addirittura «della città»;

3) Alla visione grandiosa della trasformazione rivoluzionaria della società in nome del proletariato e nell’interesse di un’umanità infine liberata dal giogo della divisione in classi, è sostituito un piano meschino e pantofolaio di «riforme necessarie al nostro paese» (perchè non dire addirittura «dell’amata Patria»?);

4) Sul piano strettamente sindacale, la mozione non accenna neppure, o solo vagamente, ai due problemi-cardine del radicale aumento del salario-base e della radicale diminuzione della giornata di lavoro, mentre invoca la «contrattazione» o «regolamentazione» di quei premi di produzione, cottimi, incentivi, divisioni di qualifiche sempre più distanziate le une dalle altre, che il sindacato dovrebbe invece sempre proporsi di abolire;

5) Mette al centro di tutte le questioni il riconoscimento della contrattazione aziendale, che separa gli operai di un complesso produttivo da quelli di un’altro, crea differenziazioni economiche nella stessa categoria, lega i proletari al carro della galera aziendale in cui si consuma la loro vita;

6) Capovolge il principio secondo il quale gli interessi degli operai sono unici al disopra di qualunque spezzettamento in aziende, settori, qualificazioni e vanno difesi su scala generale ed unitaria, andando dal sindacato di tutta la categoria verso l’azienda, non dalla sezione di azienda verso il sindacato;

7) Favorisce quindi quella tattica di articolazione, o meglio di spezzettamento, delle lotte proletarie, alla quale si devono non i vantati successi dei lavoratori, ma i loro reali e fallimentari insuccessi ben rappresentati da un contratto che non si riesce nemmeno a far rispettare, addirittura a far riconoscere, dopo lunghe e spesso violente battaglie;

8) Si fa paladina delle industrie di Stato e loro protettrice, come se lo Stato non fosse, finché vige il sistema capitalista, il «comitato amministrativo della borghesia» e non ne avesse dato ampie prove nel modo di trattare gli operai, del tutto uguale a quello delle aziende private;

9) Infine, per colmo di imbastardimento, propugna «la formazione nell’ambito della FIOM di un sindacato impiegati», quando un secolo di lotte operaie, gloriose e anche sanguinose, insegna ché le categorie impiegatizie o combattono insieme agli operai e nel quadro e sotto la disciplina di un’organizzazione unica di lavoratori, o vanno alla deriva lasciandosi trascinare dalla corrente di pregiudizi piccolo-borghesi, o addirittura diventano i sabotatori e i crumiri dell’azione proletaria. Il compito del sindacato di classe è di ispirare agli impiegati il senso e la coscienza che i loro interessi possono essere difesi solo nel quadro della difesa degli interessi di tutti gli sfruttati del capitale, non è mai quello di isolarli in una organizzazione autonoma e concorrente.

Come si vede, non si tratta qui di divergenze di dettaglio, ma di inconciliabili contrasti di principio: o di quà o di là da una barricata che la “mozione conclusiva” ha il merito di aver tracciato senza scrupoli e senza peli sulla lingua.

Non potendo condividere la responsabilità dell’esecuzione di una simile linea politica e della sua propaganda in mezzo agli operai ed essendo convinto che quella linea è contro i veri interessi dei lavoratori, sono anche nell’impossibilità di accettare cariche direttive sindacali, che assumerò invece con entusiasmo il giorno in cui un gruppo di operai, coscientemente schieratisi sulla piattaforma politica e rivendicativa del Partito Comunista Internazionalista da me propagandata in seno al sindacato, daranno il loro pieno appoggio ad essa, non ispirandosi a simpatie personali o a considerazioni momentanee, ma ad una matura convinzione, e in diretto contrasto con la politica sopra descritta.

Viva Spartaco! Viva il Partito Comunista Internazionale!