International Communist Party Sulla questione sindacale


«Al fianco del più umile gruppo di sfruttati che chiede un pezzo di pane e lo difende dall’insaziabile ingordigia padronale ma contro il meccanismo delle istituzioni presenti e contro chiunque si ponga sul loro terreno»

(Il Partito Comunista, n.9,1975 - n.25,1976)

(sintesi)




- 1. Partito rivoluzionario e “movimento rivoluzionario” - 2. Per l’influenza sul proletariato del solo ed unico PC - 3. Movimento rivoluzionario e PC nelle diverse aree geopolitiche - 4. Opposizioni allo Stato e a tutti i partiti legali - 5. Le condizioni del primo dopoguerra e le basi della tattica del Fronte Unico - 6. SdC e sindacato tricolore - 7. Il PC - 8. Fronte Unico 1921 e... 1975 - 9. Cardini della previsione del Partito nel secondo dopoguerra - 10. Lettura semplice e coerente della nostro prospettiva del 1952 - 11. Tradizione di comportamento del Partito nelle lotte operaie - 12. Lotta economica e lotta politica - 13. Descrizione della tragedia storica di cinquanta anni - 14. Culturalismo - 15. Importazione della coscienza del Partito nella classe - 16. Solenne errore e deviazione pedagogica - 17. Teoria e azione - 18. Contro la scissione dei sindacati - 19. Nel pieno della depressione - 20. Partito storico e partito formale






1. PARTITO RIVOLUZIONARIO E “MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO”

La lotta di classe del proletariato nasce su un terreno oggettivo ineliminabile: la lotta che gli operai sono costretti a condurre contro la pressione capitalistica, in difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro. Per condurre questa lotta gli operai aderiscono a una organizzazione adeguata: l’organizzazione economica, l’organizzazione sindacale, la quale riunisce gli operai appartenenti a qualsiasi partito e a nessun partito sull’unico presupposto della volontà di combattere contro la pressione capitalistica.

Il partito di classe non vede sorgere l’attacco rivoluzionario della classe dalla negazione dei moti parziali e limitati, ma dal loro fondersi in un solo grande movimento che intuisca necessario, al solo mantenimento e miglioramento delle condizioni di vita del proletariato, l’urto frontale con lo Stato del Capitale, la sua distruzione, l’instaurazione della dittatura di classe diretta dal partito.

Organizzazione economica sindacale di classe, lotta per la difesa delle condizioni materiali di vita: è su questo terreno che il partito entra in contatto e stabilisce la sua influenza sulla classe dimostrando che la difesa deve essere coerentemente condotta e che soltanto l’abbattimento del potere politico borghese può garantirne gli effetti.

Le organizzazioni economiche di classe, che i proletari creano per la difesa delle condizioni fisiche della loro vita, divengono in questo processo delle organizzazioni “rosse”, cioè influenzate dal partito, non negando la loro funzione, anzi esaltandola e svolgendola conseguentemente.

Nelle alternanze della crisi capitalistica, che periodicamente semina tra i proletari fame e disoccupazione, la lotta per il miglioramento, o semplicemente per il mantenimento delle condizioni di vita del proletariato, non può avere successo duraturo che a due condizioni:
     1) di estendersi e potenziarsi fino a coinvolgere l’intera massa proletaria, al di sopra dei limiti di fabbrica e di categoria;
     2) di rivolgersi contro il centro nevralgico del domino capitalistico – lo Stato politico – e di sostituirlo con lo Stato proletario.

Il partito comunista, organo politico, il cui compito consiste appunto nel dirigere la lotta tendente alla distruzione dello Stato borghese e alla instaurazione dello Stato proletario, è dunque il solo partito che possa spingere e guidare la massa degli operai alla difesa senza esitazioni delle loro condizioni di vita.

Più questa lotta sarà estesa ed unitaria, più sarà profonda, più saranno potenti le organizzazioni operaie adatte a condurla, più sarà inconciliabile con le esigenze di conservazione del regime capitalistico, più sarà inconsciamente portata ad assumere metodi e forme rivoluzionarie, cioè a sottoporsi alla guida cosciente del partito politico di classe.

Tutti i partiti pseudo proletari, tutti i partiti falsamente rivoluzionari hanno dunque interesse a impedire l’estensione e il potenziamento delle lotte operaie sul terreno immediato, non possono incitare il proletariato a difendere fino alle estreme conseguenze le sue condizioni di vita e di lavoro, subiscono questa difesa spontanea e cercano di sabotarla. Il partito comunista, al contrario, vede nello spingersi fino in fondo delle lotte operaie immediate la premessa reale al verificarsi dell’assalto rivoluzionario; perciò le incoraggia e le assiste indicando la strada del loro potenziamento e del loro sbocco vittorioso: la rivoluzione di classe.

È questa la chiave per comprendere la tattica del fronte unico sindacale realizzata dalla Sinistra. In determinate fasi dello svolgimento della lotta di classe in cui questa non è ancora sufficientemente sviluppata ed estesa può verificarsi il fatto mille volte sperimentato che forze politiche non comuniste, ma presentantisi come tali e “rivoluzionarie”, riescano a trascinare sul loro terreno parte del proletariato. In questi periodi sembra che «movimento rivoluzionario e partito rivoluzionario non coincidano perfettamente». Ma questa situazione – in cui il partito non si presenta alle masse come l’unica forza dirigente soltanto perché è ancora possibile a forze falsamente rivoluzionarie, a false sinistre, illudere il proletariato – evolve nel corso del processo di estensione ed approfondimento delle lotte operaie immediate. Queste, ponendo gli operai nella necessità di usare metodi di fatto rivoluzionari, dimostrano loro che l’unica forza capace e abilitata a usare tali metodi è il partito comunista, caratterizzato dal suo inflessibile indirizzo politico, dalla sua dottrina, che gli permette di leggere l’esperienza storica, e perciò di preservare il proletariato dai mille trabocchetti delle classi dominanti.

Al culmine di questo processo, movimento rivoluzionario e partito rivoluzionario devono coincidere perfettamente, o viene negata la funzione stessa del partito. Al culmine di questo processo, che è il processo materiale della lotta di classe, si ha l’unificazione in un unico fronte delle lotte operaie immediate (i sindacati sono uniti) e alla testa di questo fronte operaio c’è l’unico partito comunista, essendosi perdute e smascherate per strada, nella pratica, tutte le correnti politiche non comuniste, anche se sedicenti rivoluzionarie, cioè tutte le correnti e le forze politiche che stanno contro il moto rivoluzionario, non attrezzate alla lotta rivoluzionaria (perché teoria, visione corretta del processo storico, inflessibile indirizzo politico sono armi, attrezzature che solo il partito comunista marxista possiede).

Ecco la chiave del fronte unico sindacale contrapposto al fronte unico politico. Il partito comunista dimostra costantemente la necessità, per la stessa difesa delle condizioni immediate di vita degli operai, della massima estensione e generalizzazione delle lotte operaie. Attraverso i suoi militanti nei sindacati ne dirige e ne incoraggia tutte le manifestazioni, anche limitate, anche parziali, anche apparentemente più lontane dalla battaglia rivoluzionaria, ben sapendo che su questo terreno materiale nascerà la necessità reale e immediata dell’attacco rivoluzionario. A questo potenziamento, estensione, generalizzazione gli operai comunisti chiamano all’unione tutti gli operai, qualunque sia la loro fede politica, religiosa, ecc.

Lo scopo primo è raggiunto: unione di tutte le forze operaie sul terreno delle lotte e delle rivendicazioni immediate; lotta contro tutti coloro che sabotano questa unione e le organizzazioni che vi corrispondono.

Contemporaneamente il partito, attraverso lo stesso processo pratico, raggiunge un altro determinante obbiettivo: la dimostrazione, nel fuoco della lotta, alla massa del proletariato che, se anche mille raggruppamenti parlano di rivoluzione, di violenza, di conquista insurrezionale del potere, perfino di dittatura proletaria, uno solo è l’organo realmente attrezzato per realizzare questi compiti che la lotta stessa dimostrerà necessari alle più grandi masse.

Questa dimostrazione è possibile darla soltanto se il partito è capace, prima di tutto, di mantenere questa rigorosa nozione di sé e non cede ad opportunistiche dichiarazioni pubbliche, disarmando così il proletariato, il quale intenderebbe che si può essere rivoluzionari anche stando al di fuori del partito.

In secondo luogo, ogni atto della battaglia pratica serve al partito per dimostrare alle masse la falsità e la inconsistenza dei propositi rivoluzionari degli altri raggruppamenti politici, tanto più quanto sembrano vicini al partito comunista. Guai se il partito permette che si formi nel proletariato la illusione che possano essere rivoluzionarie anche forze politiche che non accettano il patrimonio marxista, le lezioni della esperienza proletaria mondiale e l’indirizzo politico unico e necessario che da quella deriva. Lo sono apparentemente, e tutta l’azione del partito deve essere tesa a dissipare questo inganno, a dimostrare appunto alle masse che «movimento rivoluzionario e partito rivoluzionario devono coincidere perfettamente».

Il partito comunista, unico e nettamente delimitato nella sua organizzazione, proprio perché unico e distinto dagli altri in teoria programma e tattica, può dichiarare la sua solidarietà a lavoratori militanti politici non comunisti colpiti da persecuzioni ad opera delle forze borghesi, e realizzarla in pratica. Ma questa solidarietà pratica, che concedevamo ad anarchici e massimalisti, come a operai di qualsiasi tendenza colpiti dalla reazione statale o fascista, non va mai disgiunta dalla denuncia aperta, netta e chiara che le corrispondenti forze politiche sono inconsistenti e devianti dal punto di vista rivoluzionario, come dimostra tutta la loro prassi e la loro ideologia, e dalla dichiarazione che per la realizzazione del processo rivoluzionario è necessaria la loro scomparsa, cioè la scomparsa della loro influenza sul proletariato. Anche contro gli attacchi della reazione il partito negherà sempre di far parte di un fronte di forze “rivoluzionarie” generiche: affermerà sempre di essere esso l’unica reale forza rivoluzionaria, l’organo unico della rivoluzione. Il suo compito tattico primordiale sarà appunto quello di approfittare di ogni azione pratica, di ogni lotta anche limitata, per indicare e far comprendere alle masse che esiste un solo organo capace di condurre la lotta rivoluzionaria: il partito comunista.

Nelle aree di rivoluzione univoca come una sola è la classe rivoluzionaria, così uno solo è il partito della rivoluzione: la rivoluzione comunista è uniclassista ed unipartitica. È su questa base che abbiamo sempre escluso in queste aree i fronti unici fra forze e partiti politici, anche sedicentemente rivoluzionari; è sbandando su questo che l’Internazionale ha imboccato la strada della sua rovina.


2. PER L’INFLUENZA SUL PROLETARIATO DEL SOLO ED UNICO PARTITO COMUNISTA

Ecco come nell’articolo intitolato “Il fronte unico”, su “Il Comunista” del 28 ottobre 1921, la Sinistra esponeva la sua concezione del fronte unico.

«Il partito comunista sostiene in questo momento, nella difficile situazione in cui si trova il proletariato italiano, la necessità della “unità proletaria” e la proposta del “fronte unico proletario” per l’azione contro l’offensiva economica e politica della classe padronale...».
     «Per bene intendere la questione senza cadere in semplicistiche e dannose interpretazioni e attitudini, basta rifarsi ai
fondamenti del nostro concetto e del nostro metodo di azione proletaria. Il comunismo rivoluzionano si basa sulla unità della lotta di emancipazione di tutti gli sfruttati e nello stesso tempo si basa sulla organizzazione ben definita in partito politico di quella parte dei lavoratori che hanno migliore coscienza delle condizioni della lotta e maggiore decisione di lottare per la sua ultima finalità rivoluzionaria, costituendo quindi l’avanguardia della classe operaia.
     «Dimostrerebbe di nulla avere inteso del programma nostro chi trovasse una contraddizione fra l’invocazione all’unione di tutti i lavoratori e il fatto di staccare una parte di essi dagli altri, organizzandoli in partito
con metodi che differiscono da tutti quelli degli altri partiti ed anche di quelli che si richiamano al proletariato e si dicono rivoluzionari, poiché in verità quei due concetti non hanno che la stessissima origine.
     «Le prime lotte che i lavoratori conducono contro la classe borghese dominante sono lotte di gruppi più o meno numerosi per finalità parziali ed immediate. Il Comunismo proclama la necessità di unificare queste lotte, nel loro sviluppo, in modo da dare ad esse un obbiettivo e un metodo comune e parla per questo di unità al di sopra delle singole categorie professionali, al di sopra delle situazioni locali, delle frontiere nazionali o di razza.
     «Questa unità non è una somma materiale di individui, ma si consegue attraverso uno spostamento dell’indirizzo dell’azione di tutti gli individui e gruppi, quando questi sentono di costituire una classe, ossia di avere uno scopo e un programma comune. Se dunque nel partito vi è solo una parte dei lavoratori, tuttavia in esso vi è l’unità del proletariato, in quanto lavoratori di diverso mestiere, di diverse località e nazionalità, vi partecipano sullo stesso piano, colle stesse finalità e la stessa regola di organizzazione…
     «Tuttavia i comunisti affermano che la organizzazione sindacale, primo stadio della coscienza e della pratica associativa degli operai che li pone contro i padroni, sia pure localmente e parzialmente, appunto perché soltanto uno stadio ulteriore di coscienza e di organizzazione delle masse le può condurre sul terreno della lotta centrale contro il regime presente, appunto in ragione del fatto che raccoglie gli operai per la loro comune condizione di sfruttamento economico e col loro riavvicinamento a quelli di altre località e categorie sindacali, li avvia a formarsi la coscienza di classe; la organizzazione sindacale deve essere unica ed è assurdo scinderla sulla base di diverse concezioni del programma di azione generale proletaria. È assurdo chiedere al lavoratore che si organizza per la difesa dei suoi interessi quale sia la sua visione generale della lotta proletaria, quale sia la sua opinione politica; egli può non averne nessuna o una errata, ciò non lo rende incompatibile con l’azione del sindacato, da cui trarrà gli elementi del suo ulteriore orientamento.
     «Per questo i comunisti, come sono contro alla scissione dei sindacati, quando la maggioranza degli aderenti o le furberie dei capi opportunisti danno loro una direttiva poco rivoluzionaria; così lavorano per la unificazione delle organizzazioni sindacali oggi divise, e tendono ad avere in ogni paese un’unica centrale sindacate nazionale. Qualunque possa essere l’influenza dei capi opportunisti, la unità sindacale è un coefficiente favorevole alla diffusione della ideologia e della organizzazione rivoluzionaria politica e il partito di classe fa nel seno del sindacato unico il suo migliore reclutamento e la migliore sua campagna contro i metodi errati di lotta che da altre parti si prospettano al proletariato…
     «Mentre, sullo stesso piano della Internazionale Sindacale Rossa, i comunisti italiani lavorano per la unificazione degli organismi sindacali del proletariato italiano, essi sostengono altrettanto energicamente, anche prima di raggiungere questa unità organizzativa, a cui non poche difficoltà si frappongono, la necessità dell’azione d’insieme di tutto il proletariato, oggi che i suoi problemi parziali economici dinanzi all’offensiva dei padroni si fondono in uno solo: in quello della comune difesa. Ancora una volta i comunisti sono convinti che mostrando alle masse che unico è il postulato ed unica deve essere la tattica per poter fronteggiare la minacciata riduzione dei salari, la disoccupazione e tutte le altre manifestazioni di offensiva antioperaia, si renderà più agevole il compito di dimostrare che il proletariato deve avere un programma unico di offensiva rivoluzionaria contro il regime capitalistico e che questo programma è quello tracciato dalla Internazionale Comunista: lotta condotta dal partito politico di classe contro lo Stato borghese per la dittatura del proletariato.
Dal fronte unico del proletariato sindacalmente organizzato contro la offensiva borghese sorgerà il fronte unico del proletariato sul programma politico del Partito Comunista, dimostrandosi nell’azione e nell’incessante critica di essa insufficiente ogni altro programma…
     «Unità sindacate e fronte unico proletario il partito comunista li sostiene appunto per far trionfare
il suo programma ben differenziato da tutti gli altri che vengono prospettati al proletariato, per mettere in evidenza maggiore la sua critica ai tradimenti della socialdemocrazia ed anche agli errori sindacalisti ed anarchici.
     «Grossolano equivoco è scambiare la formula dell’unificazione sindacale e del fronte unico con quella di un blocco di partiti proletari, o della direzione dell’azione delle masse, in casi contingenti o in movimenti generali, da parte di comitati sorti da un compromesso tra vari partiti e correnti politiche – immaginare che esse comportino una tregua da parte dei comunisti alla rampogna contro i socialdemocratici e alla critica di ogni altro metodo di azione che faccia smarrire al proletariato la chiara visione del processo rivoluzionario…
     «Unità sindacale e fronte unico sono il logico sviluppo e non una forma coperta di pentimento dell’opera dei comunisti italiani nel costituire e nel rafforzare l’arma della lotta rivoluzionaria, il loro partito severamente definito e delimitato nella dottrina, nei metodi, nella disciplina organizzativa e volto nell’interesse della unificazione rivoluzionaria della lotta del proletariato
contro tutte le deviazioni e tutti gli errori».

Fronte unico sindacale, appello alla unificazione delle lotte operaie immediate non significa dunque che il partito addiviene ad accordi, anche sul terreno di azioni contingenti con altre forze politiche che si richiamano al proletariato; significa, al contrario, che il partito si serve delle azioni contingenti e delle esperienze che ne derivano alle masse per svergognare gli altri metodi politici, per affermare come unico abilitato alla guida politica della classe il suo metodo, il suo programma, la sua organizzazione.

Di conseguenza, mentre il partito spinge alla massima unificazione delle lotte operaie immediate ed è per l’unità delle organizzazioni operaie sul terreno economico, esso mantiene contemporaneamente un atteggiamento di rifiuto al riconoscimento di qualsiasi validità rivoluzionaria ad altre forze politiche, lotta per strappare ad esse ogni influenza sulla classe, per togliere loro gli aderenti proletari, e lo fa dimostrando praticamente, nel corso delle lotte, che solo esso è in grado di condurle. Di fronte alle altre forze politiche anche sedicentemente rivoluzionarie che possono esistere nel campo operaio il partito è dunque scissionista ed opposto ad esse in ogni occasione e su tutti i fronti. Non si lanciano appelli all’unità di azione anche sul terreno immediato ad altre forze politiche, se ne dimostra la inconsistenza e il disfattismo incitando gli operai ad intraprendere le lotte per la difesa delle loro condizioni di vita nella maniera più ampia e più profonda possibile.

Perché il proletariato sarà in grado di attaccare la fortezza politica del suo nemico di classe solo quando l’unificazione sul piano economico immediato delle lotte operaie avrà potuto produrre l’unificazione del proletariato intorno all’unico partito comunista, cioè quando la pratica e lo stesso svolgimento delle lotte avranno dimostrate vere le critiche costanti che il partito rivolge alle altre forze politiche aventi un seguito nel proletariato.

«Siamo disposti a sederci allo stesso tavolo con chiunque, sul terreno sindacale» dicemmo al congresso di Roma del PCI d’Italia nel 1922.

Agli operai anarchici, agli operai sindacalisti e massimalisti organizzati nei sindacati gli operai comunisti rivolsero nel settembre 1922 l’appello che sopra abbiamo riportato perché unissero le loro forze alle nostre in difesa delle organizzazioni sindacali contro il predominio e la prassi riformista. Non affermammo mai che le organizzazioni anarchiche sindacaliste e massimaliste erano organismi politici a noi affini; intendevamo dimostrare in pratica ai loro aderenti proprio il contrario: che cioè, quando fosse stata intrapresa un’azione visibilmente e chiaramente necessaria a tutti i proletari per la loro difesa e per la difesa delle loro organizzazioni immediate, i metodi e le prospettive di, sindacalisti, anarchici e massimalisti avrebbero dimostrato nella pratica la loro inconsistenza. Intendevamo strappare gli operai ai massimalisti e agli anarchici dimostrando loro in pratica che le posizioni e i metodi politici a cui essi aderivano erano falsi e illusori agli effetti anche della difesa immediata, come noi avevamo costantemente e chiaramente affermato.


3. MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO E PARTITO COMUNISTA NELLE DIVERSE AREE GEOPOLITICHE

L’impostazione della Sinistra per la tattica del Fronte unico proletario è perfettamente coerente alla soluzione data dal secondo Congresso dell’Internazionale alla concezione dei rapporti fra partito e classe e fra partito e organismi di classe nelle Tesi sindacali. Queste sancivano l’obbligo per i partiti comunisti non solo di intervenire costantemente nelle lotte immediate del proletariato, ma di lavorare in maniera organizzata all’interno delle organizzazioni economiche di classe per conquistarle all’influenza del partito. Fare dei sindacati la “cinghia di trasmissione” del partito politico è la posizione di Lenin e dell’Internazionale. Questa posizione non esprime una opportunità o una manovra tattica legata a situazioni particolari, ma un compito fondamentale e perenne del partito di classe, perché è una condizione del processo rivoluzionario.

Le situazioni contingenti dettano al partito i modi e gli strumenti attraverso i quali questo legame deve essere stabilito, ma senza la sua realizzazione non si può pensare alla conduzione della lotta rivoluzionaria. La Sinistra lo ha sempre ricordato e ha avviato a chiare lettere in questa attività il partito risorto nel secondo dopoguerra. La tattica del fronte unico sindacale era il modo, lo strumento che la situazione dettava per assolvere questo compito, coerente, l’unico per accelerare la conquista alla influenza del partito comunista delle organizzazioni economiche del proletariato. La tattica del fronte unico sindacale costituiva dunque una manovra che teneva conto della situazione reale in cui il proletariato si trovava a battersi rimanendo nello stesso tempo aderente ai principi ed alle finalità del partito.

La tattica del fronte unico politico invece si dimostrò errata e disfattista in quanto trasportava nella situazione storica e politica dei paesi a vecchio e stabile dominio capitalistico una manovra che era stata possibile e proficua in una situazione come quella russa, di doppia rivoluzione, nella quale esistevano diversi partiti rivoluzionari. Nelle aree di doppia rivoluzione più classi e, di conseguenza, più partiti sono rivoluzionari, cioè sono rivolti contro le istituzioni presenti, contro la macchina statale; nelle aree di rivoluzione univoca, al contrario, esiste un solo partito rivoluzionario: il partito comunista.

Essere rivoluzionari significa tutt’altro che una proclamazione verbale o una intenzione. Ed è ancor meno indicativo invocare l’uso della violenza: la socialdemocrazia prima e i partiti stalinisti poi ci hanno dato esempi clamorosi e tragici di uso della violenza al fine di conservare la “legalità democratica”, cioè al fine della conservazione sociale. Gli Arditi del Popolo del 1921-22, pur propugnando la lotta armata contro il fascismo e pur arruolando i loro membri fra i proletari e fra i militanti di partiti di sinistra, non erano un movimento rivoluzionario, ma rivolto alla conservazione, cioè antirivoluzionario. Lo stesso deve dirsi, e il partito l’ha sempre affermato, per quanto riguarda la lotta armata contro il fascismo in Spagna per “la difesa delle istituzioni democratiche e repubblicane”. Infine un movimento armato che ha coinvolto e mobilitato proletari in difesa dell’ordine costituito è stato la cosiddetta resistenza antifascista. Movimenti tutti in cui la violenza e la lotta armata e illegale sono serviti alla conservazione della macchina statale, cioè movimenti non rivoluzionari. Il partito rivoluzionario è quello che propugna la distruzione con metodi violenti e illegali delle istituzioni statali della classe dominante per sostituirle con nuove istituzioni statali, espressione della vittoria della classe operaia.

Nelle aree di doppia rivoluzione le istituzioni legali dello Stato sono rappresentate dal potere precapitalistico, che deve essere violentemente sostituito da un nuovo potere, da una nuova macchina statale. In queste aree la macchina statale rivoluzionaria non è necessariamente costituita dalla dittatura del proletariato diretta dal suo unico partito; può essere rappresentata da uno Stato democratico al cui governo partecipino diversi partiti rivoluzionari. Uno Stato del genere è in grado di assolvere i compiti della rivoluzione: rovesciamento e distruzione del vecchio potere, conquista della moderna democrazia politica, distruzione degli ostacoli che si frappongono sul terreno economico e sociale allo sviluppo delle moderne forze produttive. Diverse classi e diversi partiti concorrono dunque al processo rivoluzionario, sono realmente, non a parole, classi e partiti rivoluzionari, in quanto nulla nei loro programmi e nei loro metodi si oppone alla realizzazione delle condizioni materiali che permetteranno alla rivoluzione di riportare la vittoria e di instaurare il proprio ordine.

Lo “sdoppiamento” della “rivoluzione doppia”, previsto da Marx per la Germania del 1848 e da Lenin per la Russia del 1917, si verifica quando una classe del fronte rivoluzionario antifeudale, il proletariato, scende in combattimento contro le altre classi, non più rivoluzionarie, per abbattere con la violenza quelle istituzioni che tutte le altri classi difendono e per sostituirle con la dittatura della sola sua classe e del solo suo partito. Nelle situazioni e nelle aree in cui il proletariato è storicamente maturo per ingaggiare questa lotta – l’unica ormai rivoluzionaria – questa è diretta contro tutte le altre classi sociali, perciò contro tutti gli altri partiti i quali, in modi e forme diverse, si pongono invece sul terreno delle istituzioni legali. Nella situazione in cui è all’ordine del giorno l’abbattimento del potere borghese è rivoluzionario solo quell’indirizzo politico, e perciò quel partito, che propugna la distruzione violenta dello Stato democratico parlamentare e la sua sostituzione con una macchina statale uniclassista e unipartitica.

Di fronte a questa chiara e semplice enunciazione di scopi, che è l’unica rivoluzionaria, si declassano non solo i partiti legalitari, che sono per principio contro l’uso della violenza e adottano solo azioni pacifiche e legali, ma anche i partiti che propugnano l’uso della violenza, e anche coloro, come anarchici e libertari di ogni risma, che sono per l’uso della violenza contro le istituzioni democratiche borghesi, in quanto nessuno di questi movimenti è mai arrivato né arriverà mai ad ammettere la condizione sine qua non della vittoria e del mantenimento dell’ordine rivoluzionario: la dittatura di un solo partito, la subordinazione a un solo indirizzo politico di tutte le organizzazioni di classe del proletariato.

L’ultima trincea della difesa controrivoluzionaria, ammoniva Engels, sarà la bandiera della “democrazia pura”. In Russia nel 1921 la bandiera della controrivoluzione arrivò ad essere quella della difesa della “democrazia sovietica” della “democrazia proletaria” contro la dittatura del partito bolscevico: “i soviet senza i bolscevichi!”. Sotto questa insegna si ritrovarono tutti i partiti non rivoluzionari, compresi gli anarchici.

4. OPPOSIZIONE ALLO STATO E A TUTTI I PARTITI LEGALI

Da queste considerazioni discende ciò che affermammo nel 1921 e 1922 difendendo la posizione «di opposizione nei confronti dello Stato e di tutti i partiti legali» che deve essere in ogni situazione la bandiera del partito comunista sotto pena di venir meno ai suoi compiti rivoluzionari: «Un partito che si chiude volontariamente nei confini della legalità, ossia non concepisce altra azione politica che quella che si può esplicare senza uso di violenza civile nelle istituzioni della costituzione democratica borghese, non è un partito proletario ma un partito borghese, e, in un certo senso, basta per dare questo giudizio negativo il solo fatto che un movimento politico (come quello sindacalista o anarchico), pur ponendosi fuori dei limiti della legalità, rifiuta di accettare il concetto della organizzazione statale della forza rivoluzionaria proletaria, ossia della dittatura» (“L’Ordine Nuovo”, 24 gennaio 1922).

E spiegammo ancor meglio la nostra tesi marxista in un articolo intitolato “Sui compromessi’” su “Il Comunista” dell’11 settembre 1921: «Accordi con l’obbiettivo di accelerare il momento dell’attacco rivoluzionario allo Stato costituito, ecco ciò che Lenin ammette. Nel regime normale e consolidato della democrazia parlamentare borghese, e nel periodo di preparazione ideologica, quando non sono prevedibili a breve scadenza spostamenti radicali dell’asse del potere costituito, Lenin non può che essere con la tattica sostenuta da tanti anni da noi e da Lazzari: intransigenza assoluta (…) La tattica della intransigenza marxista nel periodo della propaganda a quale tattica dà luogo nel periodo della azione? Rincula essa sulla ammissione dei compromessi, così senz’altro? Lenin non è pazzo e ciò non ha mai detto. Ma questa tattica – secondo lui – vede sotto nuova luce la eventualità di certi accordi, sol perché si è portata con un grande passo innanzi su un nuovo terreno di manovra delle forze proletarie: quello dell’attacco appunto, rivoluzionario, violento, illegale al potere borghese e costituito. Allora il partito rivoluzionario di classe si guarda attorno e se trova un altro partito che è contro la legalità tratta con lui. Di qui il compromesso… alla Lenin. Per conto nostro pensiamo che nella situazione ben delineata dei nostri paesi a regime parlamentare questo sguardo circolare non può che constatare l’assenza di ogni possibile alleato».

Non distingueremo dunque fra partiti e forze politiche che propugnano solo la azione legalitaria e pacifica e quelle forze che, pur non aderendo al programma comunista e ai metodi comunisti, propugnano l’uso di metodi violenti di lotta, a volte perfino contro le istituzioni presenti? Una distinzione si impone: i primi li denominiamo traditori e controrivoluzionari; i secondi li chiamiamo pseudo rivoluzionari, intendendo che il loro rivoluzionarismo è falso e destinato a deviare il proletariato dalla visione del reale processo rivoluzionario. Ma una cosa è certa ed inequivocabile: nel corso del processo rivoluzionario, nel crescere e nell’approfondirsi della lotta rivoluzionaria dobbiamo tendere a liberare il proletariato dall’influenza degli uni come degli altri, perché questa è condizione essenziale della vittoria che si avrà soltanto quando il partito comunista, inconfondibile nella sua dottrina, tradizione, metodi, organizzazione, sarà rimasto il solo a dirigere il proletariato organizzato.


5. LE CONDIZIONI DEL PRIMO DOPOGUERRA E LE BASI DELLA TATTICA DEL FRONTE UNICO

Rifacendoci agli articoli precedenti nei quali abbiamo trattato il problema del Fronte unico sindacale e del Fronte unico politico, dobbiamo ora cercare di descrivere il quadro sociale e politico nel quale quella linea tattica si inseriva, allo scopo di valutarne l’evoluzione successiva fino ad oggi e di tracciare su questa base la corretta impostazione dell’azione presente e futura del partito comunista nell’assolvimento del difficile compito della conquista della sua influenza sulle masse proletarie. Non andremo ad elucubrazioni estemporanee, ma seguiremo l’analisi marxista degli avvenimenti di 50 anni svolta dal partito e chiaramente leggibile in tutti i suoi testi di base.

Nell’agosto 1914 i partiti socialdemocratici e socialisti della Seconda Internazionale aderiscono, sui rispettivi fronti, alla difesa della patria in guerra. I sindacati, diretti da questi partiti, diventano nel periodo di guerra veri sostegni dello sforzo bellico dei rispettivi paesi. Non migliore prova danno, in generale, nei vari paesi le formazioni anarchiche e anarco-sindacaliste. In generale perciò, in tutti i paesi, i primi due anni di guerra sono caratterizzati dalla assenza di lotte proletarie, dalla pace sociale fra le classi. Ma le condizioni di vita create al proletariato dalla guerra, le sofferenze, i massacri e le privazioni, rimettono ben presto in moto il proletariato. Si hanno le prime manifestazioni contro la guerra, per la pace, per il pane, al fronte come nelle retrovie. La ragione di questa immediata ripresa delle lotte proletarie è semplice. Alla pressione delle condizioni economiche si accompagna la vivacità di una tradizione recente di lotta di classe che il tradimento della socialdemocrazia ha potuto offuscare ma non spegnere.

Il 1917 in Russia rafforza e stimola enormemente le lotte del proletariato in Europa occidentale, rafforza altresì le ali rivoluzionarie all’interno dei vecchi partiti. Nell’ultimo periodo e alla fine della guerra lo slancio del proletariato europeo è enorme e le lotte non si fermano alla difesa economica ma raggiungono il culmine di organizzazione e di lotta armata contro lo Stato. In Germania, alla fine del 1918, il movimento dei Soviet e le insurrezioni si succedono senza incontrarsi con un partito politico coerentemente rivoluzionario e comunista e si spezzano nel gennaio 1919 in una sanguinosa sconfitta.

Passata la guerra, negli anni 1919-20, è immediata la risposta proletaria alla crisi economica. La necessità di difendere il pane quotidiano fa affluire gli operai nei tradizionali sindacati rossi. La burocrazia opportunista deve usare tutti gli stratagemmi possibili per tenere gli operai fuori dai sindacati, per impedire l’ingresso in essi dei peggio pagati, dei semi-occupati, ecc. Contemporaneamente le necessità della lotta immediata provocano il sorgere di altri organismi economici sui posti di lavoro e nelle officine: sono i consigli di fabbrica la cui rete, in Italia e in Germania, si dimostrerà molto estesa.

Di fronte a questa situazione si pongono le tesi che l’Internazionale dettò al suo secondo Congresso nel 1920 “Sui sindacati e sui consigli di fabbrica”. Due visioni deformi sono in esse battute, come anche in scritti contemporanei di Lenin (Estremismo). La visione per cui sarebbe possibile procedere sulla via della rivoluzione staccando dal resto del proletariato organizzato sul terreno economico quella parte che ha preso coscienza almeno di alcune fondamentali verità (Kapedeismo). La nostra tesi è opposta ed è quella della più stretta unione fra l’avanguardia cosciente e le masse spinte a muoversi dalle loro condizioni materiali. L’altra deviazione, ancora più deforme, vedeva nei consigli di fabbrica la nascita di una forma nuova, sostitutiva del vecchio sindacato, forma superiore, più adatta alla rivoluzione.

Le tesi stabiliscono che i comunisti hanno il compito di penetrare all’interno delle organizzazioni operaie economiche per organizzarsi nel loro seno e trasformarle, tramite l’influenza del partito, in organi della lotta rivoluzionaria di classe. Ma gli organismi economici mantengono la loro caratteristica di organismi aperti a tutti gli operai che si trovano nella stessa categoria o sullo stesso posto di lavoro. L’influenza del partito si manifesta nel prevalere del suo indirizzo politico sull’organismo che raccoglie tutti proletari.

Non si tratta dunque di separare dalla massa degli operai organizzati quelli comunisti o coloro che accettano certi presupposti teorici (la necessità della rivoluzione, ad esempio). Questa visione è contraria al marxismo in quanto tende alla formazione di organismi operai “coscienti”, forma intermedia fra sindacato e partito. In questa visione la coscienza degli operai si eleva esprimendosi in forme sempre superiori sotto la spinta delle lotte spontanee. È una visione spontaneista che vede il partito come risultato della coscienza acquisita dagli operai nelle lotte immediate.

La nostra visione, e quella delle tesi, è opposta: gli operai si organizzano per condurre le loro lotte immediate negli organismi economici di classe, sulla base cioè della loro posizione nella produzione; il partito deve conquistare al suo indirizzo politico questi organismi, non scinderli sulla base di presupposti di coscienza, che essi non hanno ma sono soltanto del partito.

I termini dell’azione rivoluzionaria di classe sono due: le organizzazioni operaie spontanee per la lotta economica immediata da una parte, il partito dall’altra. Non esistono forme intermedie della coscienza operaia. Esiste la conquista all’indirizzo del partito di questi organismi la cui funzione economica e, di conseguenza, di apertura a tutti i lavoratori permane prima, durante e dopo la rivoluzione. Anzi il partito ha interesse a che questi organi operai siano il più estesi possibile e abbraccino il maggior numero di operai sulla sola base della volontà di combattere in difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro.

Nella realtà il proletariato europeo subito dopo la guerra seppe esprimere uno slancio di lotta per la sua difesa immediata che si concretizzò nell’unica maniera realmente possibile: nell’afflusso massiccio di proletari negli organismi economici esistenti che avevano una tradizione di battaglia di classe; nel sorgere spontaneo, determinato dall’evolvere della lotta stessa, di altri organismi economici sui posti di lavoro.

Nello stesso tempo la tendenza di sinistra internazionalmente montante affrettava la separazione delle ali marxiste rivoluzionarie dai partiti opportunisti. Ne uscirono difettose e deboli, per molteplici aspetti, ma non come piccoli nuclei isolati dal movimento proletario. In Italia, in Francia, in Germania, perfino nell’arretrata e corporativa Inghilterra il comunismo contava i suoi aderenti a decine di migliaia e la sua influenza sulle masse a centinaia di migliaia, a volte a milioni. A queste forze organizzate di notevole portata e influenti non piccoli e sparuti gruppi l’Internazionale dettava le sue tesi nel 1920.


6. SINDACATO DI CLASSE E SINDACATO TRICOLORE

È evidente che i sindacati di allora non erano quelli di oggi. Erano associazioni che poggiavano sul principio della lotta di classe e che non avevano mai esplicitamente subordinato la difesa degli interessi operai agli interessi nazionali. Al contrario mantenevano uno stretto legame con il partito “rosso” e al loro interno si combatteva la battaglia fra chi voleva questo legame ancora più stretto e chi pretendeva la famosa neutralità. L’opportunismo riformista dirigeva questi sindacati, è vero, impediva e spezzava gli scioperi, si accordava a volte con il padronato e perfino con lo Stato. Ma questa era questione ristretta a capi traditori, ad agenti della borghesia infiltrati negli organismi operai, i quali rimanevano sani nella loro prassi, nella loro struttura organizzativa.

Nel periodo pre-guerra la stessa atmosfera pacifica che aveva generato e fatto prosperare il riformismo politico generò una predisposizione dei sindacati diretti dai riformisti a marciare piuttosto sul terreno della pacifica trattativa che su quello della lotta aperta, ad organizzare e difendere soprattutto strati operai privilegiati. In questo modo, allo scoppio della guerra fu possibile il loro passaggio alla mobilitazione in difesa della patria. Ma quando il proletariato fu spinto a muoversi trovò in essi una forma organizzata agile e atta alla difesa dei propri interessi di classe; una forma che per essere utile alla lotta andava soltanto liberata dai vertici traditori e sabotatori. Le organizzazioni sindacali del primo dopoguerra divennero così, necessariamente, il teatro dello scontro fra le masse proletarie in movimento e i dirigenti opportunisti che tentavano di mantenere le organizzazioni sotto il loro controllo.

La struttura, la prassi, la tradizione dei sindacati esistenti doveva anzi essere difesa dagli attentati che ad essa portava la burocrazia opportunista. Erano strutture organizzate da conquistarsi all’influenza rivoluzionaria appoggiando la spinta delle masse che al loro interno si battevano contro i capi traditori. Il partito doveva costruire nei sindacati esistenti il sicuro congegno della sua influenza sugli operai organizzati.

La situazione del primo dopoguerra si esprime dunque sinteticamente in questi termini: lo slancio proletario fu in grado di impedire, da una parte, che gli organismi economici di difesa perdessero ogni caratteristica di classe e di ingaggiare nel loro seno la battaglia per sottrarli alle dirigenze opportuniste; dall’altra, fu in grado di dar vita a partiti comunisti di notevole forza e con notevoli legami con le masse.

Il successivo svolgimento delle situazioni non ha solo modificato la struttura dei sindacati trasformandoli in sindacati tricolore. Ha modificato completamente i rapporti di forza fra le classi riducendo il partito stesso a una entità organizzativamente trascurabile e senza collegamento apprezzabile con la classe operaia.

Il passaggio dal sindacalismo di classe al sindacalismo tricolore si opera in due direzioni: 1) attraverso la distruzione fisica delle vecchie organizzazioni da parte della reazione borghese (in Italia ed in Germania soprattutto); 2) attraverso la politica degli stessi dirigenti riformisti tendente a portare i sindacati nell’orbita dello Stato. Fascismo e riformismo convergono così nell’opera di subordinazione del sindacato allo Stato, tendenza che è del resto insita nello svolgimento in senso monopolistico e accentratore del modo di produzione capitalistico stesso.

Che cosa significa sindacalismo tricolore? Significa una politica e una prassi che subordina la difesa degli interessi operai a quelli superiori dell’economia. Di conseguenza concepisce e tratta la classe operaia come una delle componenti che concorrono alla prosperità nazionale. Di conseguenza ancora, riconoscendo nello Stato il rappresentante degli interessi generali della società, si subordina alla legalità, alle norme giuridiche in un processo che inserisce il sindacato sempre di più nell’organismo dello Stato stesso fino a divenirne una appendice, una istituzione.

In Italia ed in Germania la distruzione dei tradizionali sindacati di classe fu operata violentemente dalla reazione borghese. Negli altri Stati d’Europa ed in America questo imprigionamento dei sindacati operai è stato operato dall’opportunismo stesso.


7. IL PARTITO COMUNISTA

Il partito ha descritto in maniera chiara questo processo di subordinazione dei sindacati allo Stato e agli interessi nazionali.

Nel 1914 questa subordinazione c’era stata di fatto per opera dei dirigenti riformisti, ma non era ancora giunta a deformare il programma (lotta di classe fino alla completa emancipazione del lavoro salariato, indipendenza assoluta dal padronato, dallo Stato, dai partiti borghesi), la prassi (metodi dello sciopero senza limiti di tempo e senza preavviso ecc.) e la struttura stessa del sindacato (libera adesione, libertà all’organizzazione delle correnti politiche, indipendenza dell’organizzazione da qualsiasi struttura padronale o statale ecc.). Dal 1918 in poi, i tentativi della burocrazia opportunista di deformare i sindacati si scontrarono contro la vivace reazione delle masse proletarie in tutti i paesi d’Europa.

Quando la lotta operaia rifluì l’opportunismo ebbe le mani libere per assecondare la tendenza, propria dell’epoca imperialistica del capitalismo, di imprigionare il sindacato operaio nei gangli dello Stato.

Uno degli aspetti più significativi di questa soggezione fu la creazione in ogni paese di una centrale unica nazionale, mentre nel periodo precedente al 1914 la borghesia era stata costretta a combattere l’associazionismo sindacale classista attraverso la formazione di sindacati bianchi e gialli fondati sul principio della collaborazione fra le classi, sul confessionalismo e sul corporativismo.

È importante questo fatto per giudicare della tattica del partito, la quale nel 1921 si proponeva l’unificazione dei sindacati esistenti, in quanto erano sindacati di classe, e la assoluta disciplina ad essi di tutti i proletari, divenendo esso stesso un propagatore dell’esigenza di entrare in quei sindacati, respingendo qualsiasi altra forma di organizzazione economica autonoma da essi.

Nell’arco di 50 anni i sindacati operai sono stati imprigionati nell’apparto dello Stato in mille forme e attraverso mille legami. In primo luogo il loro indirizzo politico dichiara esplicitamente la subordinazione allo Stato democratico e alla difesa delle sue istituzioni. Inoltre la legalizzazione, cioè limitazione dello sciopero, riducendolo a una manifestazione simbolica dell’opinione delle masse; la prassi legalitaria dei contratti di lavoro aventi valore di legge e i collegamenti fra le strutture del sindacato e quelle assistenziali dello Stato; la prassi di subordinare la soluzione delle vertenze alla mediazione degli organi dello Stato; infine la subordinazione degli stessi canali di finanziamento e delle assemblee dei lavoratori alle strutture aziendali.

Questa politica, prassi, struttura non classista dei sindacati operai si afferma sempre più e tende irresistibilmente verso il sindacato coatto, al quale gli operai debbano aderire per legge.

Di fronte a questo tipo di organizzazione, che è ancora operaia, ma resa inservibile dall’opportunismo a qualsiasi seria lotta di difesa, il partito sostiene la necessità che questa politica, prassi, struttura debba essere demolita per ridare vita a veri sindacati di classe. La spinta degli operai ritornati alla lotta dovrà demolire queste strutture, spezzare i mille fili che le collegano allo Stato e al padronato.

È possibile che questa demolizione possa essere operata dagli stessi operai che militano nei sindacati, cioè la riconquista alla funzione di classe dei sindacati attuali non può essere esclusa a priori. Ma risulta netta la differenza con il primo dopoguerra. Là si trattava di sindacati di cui le dirigenze opportunistiche tentavano di deformare la funzione di classe, contrastati in ciò dallo slancio operaio e dei comunisti. Qui si tratta di organismi operai che da tempo hanno perduto ogni funzione di classe e che si tratta di riportare a questa funzione.

Parallelamente a questo processo se ne è svolto un altro ancora più pernicioso per la classe operaia: la distruzione del partito di classe, la degenerazione dell’indirizzo e dell’organizzazione comunista fino al completo isolamento dell’organo rivoluzionario di classe dalla classe stessa, alla sua riduzione a un organismo trascurabile nel senso della forza organizzata e della influenza sugli operai. Questo organo politico di classe si presenta storicamente arricchito dall’esperienza di 50 anni di controrivoluzione, che hanno determinato, nel trarre le coerenti lezioni marxiste, una fisionomia di partito netta e inequivocabile. Il partito proletario di oggi e di domani non è, nel senso della rigida delimitazione del suo indirizzo, della sua tattica, della sua organizzazione, una semplice ripetizione del 1920; è il 1920 più la degenerazione della Terza Internazionale, più lo stalinismo, più il fascismo, i Blocchi popolari, la Resistenza, il secondo dopoguerra.

Storicamente, cioè in questi 50 anni, il partito ha potuto mantenere il suo indirizzo rigido e coerente – arma che gli permetterà di leggere nella complessità dei fatti della ripresa futura e di determinarli. La situazione dei rapporti di forza materiali fra le classi non ha mai fatto del partito un circolo intellettuale, seppure “marxista“. Il partito non tradisce le prospettive e l’indirizzo di classe, trasmette intatto e completo questo patrimonio dalle generazioni della sconfitta passata a quelle della vittoria futura, accetta di lavorare a trarre coerenti esperienze dai fatti perché servano alle giovani guardie del proletariato rivoluzionario futuro.

I rapporti di forza determinano l’influenza sulle masse e ciò che il partito può fare nei vari settori di un unico e perenne compito: guidare la classe mondiale alla vittoria rivoluzionaria. Ma ciò che il partito vuole fare, la predisposizione e la tensione di tutte le sue forze grandi, piccole, infinitesime che siano, a preparare le condizioni dell’attacco futuro, non è soggetto a mutamenti di sorta.

Il passaggio dai sindacati di classe a quelli tricolore non si sarebbe mai verificato se il proletariato non fosse stato costretto prima alla difensiva, poi a una disastrosa ritirata. Nella realtà le forze congiunte della borghesia e dell’opportunismo sono riuscite a spezzare l’assalto proletario del primo dopoguerra. In Europa ed in America l’opportunismo è riuscito a mantenere il controllo delle masse organizzate, validamente appoggiato dalla violenza statale e fascista. Il mondo capitalistico è riuscito a riassestarsi e la riorganizzazione economica ha indebolito la lotta proletaria. II proletariato non è riuscito negli anni successivi alla prima guerra a liberarsi completamente dall’influenza opportunista. Non solo, ma una serie disastrosa di errori nel campo tattico e organizzativo ha permesso che l’influenza dell’opportunismo si estendesse anche all’Internazionale Comunista, minandone così tanto l’indirizzo politico quanto la compagine organizzata. Successivamente al 1921 il movimento del proletariato è andato rifluendo, sono diminuiti gli scioperi, è cresciuta sempre più l’influenza opportunista e fu distrutto il partito di classe.

Conseguentemente la borghesia ha potuto non tanto colpire il proletariato con la violenza armata, quanto irretirlo e legarlo alle proprie sorti tramite tutta una serie di misure economiche, assistenziali e giuridiche. Ecco la trasformazione nei sindacati tricolore, che corrisponde perfettamente alla fase imperiale del capitalismo, ma che è stato possibile al capitalismo realizzare solo per la convergenza di questi diversi fattori. Il sindacato tricolore è un risultato: la sua realizzazione e il suo permanere indicano che i rapporti di forza sono completamente sfavorevoli alla classe operaia. A ribattere questa situazione non è bastato il 1929, né la seconda guerra mondiale. Soltanto il ritorno degli operai alla lotta suscitata dal materiale svolgersi della crisi capitalistica determinerà il ribaltamento di questa situazione. Allora si ricreeranno le condizioni del rafforzamento quantitativo del partito e della sua influenza fra le masse. È di questa situazione generale che deve tener conto il partito nel tracciare le linee della sua tattica e nell’indicare al proletariato quelle parole d’ordine che possono accelerare la ripresa dell’azione di classe.

La parola d’ordine del fronte unico nel 1921-22 si rivolgeva alle masse proletarie in movimento. Si trattava di indicare al proletariato, colpito dall’offensiva borghese in maniera diretta (violenza legale ed extralegale), e che perciò sentiva la necessità dell’unificazione della sua azione di difesa al di sopra delle singole aziende e delle singole categorie operaie, quelle forme e quegli obbiettivi di azione che, mentre rispondevano alle più profonde necessità delle masse, erano in grado di spostare a favore del partito i rapporti di forza e di operare la demolizione dell’influenza che sul proletariato avevano i partiti e le forze non comuniste. Si trattava del tentativo di dare un ultimo scrollone all’influenza opportunista sul proletariato, di condurre l’azione delle masse su una pratica che avrebbe dimostrato il tradimento e l’inefficienza della prassi opportunista.

Esisteva allora il proletariato in azione organizzato nei suoi sindacati di classe, all’interno dei quali la spinta degli operai alla lotta si scontrava quotidianamente con le dirigenze riformiste o anarchiche. Il partito comunista in questi sindacati aveva la sua organizzazione diffusa e capillare, i suoi gruppi, la sua frazione comunista, che influenzava e dirigeva centinaia di migliaia di proletari. Nel proletariato era viva la coscienza delle sconfitte sanguinose recentemente subite ad opera dei capi opportunisti, e la riconferma pratica, l’offensiva armata delle forze borghesi, che solo i metodi dell’azione diretta e della lotta violenta preconizzati dai comunisti potevano salvarlo dalla caduta al rango di una massa di schiavi dispersa e terrorizzata. Era perciò possibile e necessario che il partito lanciasse la parola d’ordine della realizzazione del fronte unico non solo delle azioni proletarie in corso, ma delle organizzazioni operaie esistenti quale unico mezzo per giungere a uno scopo pratico di cui gli operai stessi sentivano l’urgente necessità: il raggiungimento della maggiore forza ed efficienza possibile nella lotta contro il padronato e contro lo Stato. Era praticamente possibile additare ai proletari il tradimento di tutte quelle forze che, pur dicendosi proletarie e rivoluzionarie, si mettevano contro questa esigenza urgente e sentita.

Oggi, e da 50 anni, niente di tutto questo esiste. Non una offensiva diretta e violenta del capitale contro la classe operaia che spinga i proletari a sentire l’urgenza di unificare le loro forze nella azione pratica immediata, perché da una parte lo Stato tende ancora, sebbene prepari il suo armamento legale ed extralegale futuro contro la classe operaia, ad usare i mezzi economici di divisione e di ostacolo alla ripresa della lotta (le mille forme assistenziali, di integrazione salariale, sussidi ecc.), dall’altra la classe operaia europea proviene essa stessa da 50 anni di abitudine a questa prassi, che le ha creato delle riserve materiali e mentali che ritardano inevitabilmente la ripresa della lotta. La crisi capitalistica si svolge in modo flaccido, penosamente lento, e vede solo l’azione sporadica ed episodica di gruppi di operai mentre il grosso delle masse è inquadrato nelle organizzazioni sindacali non di classe ma tricolore, le quali riescono ancora a bloccare gli scarsi focolai di resistenza operaia.

La conseguenza di questa perdurante situazione di stasi è che il partito rimane separato dalla classe, senza influenza all’interno delle loro organizzazioni economiche, senza la possibilità materiale di ricostituire una rete organizzativa solida ed estesa, mentre la psicologia proletaria non si va in generale distaccando dai miti della pace e della democrazia per volgersi al riconoscimento della necessità della azione diretta e violenta, ma, schiava di questi miti, rimane totalitariamente assoggettata all’opportunismo e ai suoi indirizzi disfattisti.


8. FRONTE UNICO 1921 E… 1975

In questa situazione, al fianco dei grandi partiti dell’opportunismo staliniano e socialdemocratico, che assoggettano al loro indirizzo e inquadrano nelle sue file l’enorme massa del proletariato, sono sorti dei raggruppamenti politici che si sono fatti e si fanno portatori di un indirizzo non meno opportunista e disfattista, sebbene contrabbandato sotto le spoglie del richiamo alla rivoluzione e ai metodi di azione violenta. Questi movimenti non solo non sono più vicini di un millimetro al partito rivoluzionario di classe, contraddistinto dalla sua ferrea impostazione teorica e programmatica, neanche sono equivalenti ai movimenti anarchici e anarco-sindacalisti del primo dopoguerra, proprio in quanto, mentre condividono tutti i miti dell’opportunismo sul piano dell’indirizzo politico, non hanno e non possono avere alcuna seria base nel proletariato. Non ci troviamo dunque in presenza di un proletariato in movimento, nel cui seno il partito comunista affronta altre correnti politiche proletarie e deve demolirne l’influenza, ma di un proletariato che non lotta e che è determinato da una tradizione opportunista, le cui bieche ali sinistre sono rappresentate proprio dalle deformi e sconnesse teorie dei gruppuscoli.

Abbiamo cercato di spiegare negli articoli precedenti la meccanica della tattica del fronte unico quando ci si trovava in presenza di diverse correnti politiche aventi seguito fra gli operai, alcune delle quali si pretendevano rivoluzionarie e antilegalitarie. Si trattava di demolirne l’influenza e di smascherare il loro falso rivoluzionarismo, mai lasciando nel proletariato l’idea che avessimo qualcosa in comune, anzi dimostrando nella azione pratica che ciò che sembrava accomunarci era pura apparenza, illusione disastrosa. Oggi questa predisposizione del partito deve essere ancora più netta e deve tendere alla dimostrazione non di ciò che apparentemente ci unisce, ma di ciò che realmente ci divide. Dimostrazione sul piano teorico e della propaganda e dello smascheramento delle false sinistre sempre e dovunque. Ma anche smascheramento attraverso l’azione pratica che il partito svolge tra i proletari, la quale deve tendere a dimostrare che proprio questi raggruppamenti sono costituzionalmente incapaci di rispondere alle esigenze vitali delle masse, sono incapaci di ogni vera azione anche sul piano immediato e contingente.

L’azione proletaria si manifestava nel 1921 perché ne esistevano le condizioni: la spinta proletaria alla difesa della propria vita, con i metodi dell’azione diretta, trovava il suo naturale terreno nelle grandi organizzazioni sindacali di classe che, nonostante il tradimento e il sabotaggio dei dirigenti riformisti falsamente rivoluzionari, divenivano i veri fortilizi della resistenza di classe. La presenza e l’influenza del partito rendeva possibile costruire in quelle organizzazioni il sicuro congegno della direzione comunista sul proletariato, la loro conquista alle direttive rivoluzionarie. Oggi le prime sporadiche spinte operaie urtano contro una struttura sindacale la quale si lascia sempre meno permeare da queste spinte, le respinge e le soffoca. I proletari si accorgono così che in questi ultimi 50 anni non solo la borghesia li ha addormentati nella inazione, ma ha anche strappato dalle loro mani la condizione primaria ed elementare di ogni azione anche difensiva: l’organizzazione economica di classe, l’organo della lotta quotidiana e immediata.

Il primo effetto perciò della ripresa della lotta per il lavoro e il salario sarà il loro tentativo di ridarsi le armi stesse della lotta, di far risorgere delle associazioni economiche veramente adatte alla difesa almeno del pane quotidiano. Il partito deve indicare chiaramente ai proletari la necessità che la loro azione anche immediata e limitata si indirizzi, in opposizione alla politica sindacale ufficiale, verso la ricostituzione di organismi economici di classe contraddistinti non solo da un indirizzo di battaglia, ma anche da una prassi e da una organizzazione completamente opposte a quelle dei sindacati attuali. Indirizzo di battaglia, prassi e organizzazione adatti alla lotta diretta degli operai, non alla trattativa pacifica con il padronato e con lo Stato.

Il processo della ripresa della lotta, e di conseguenza la tattica del partito nei confronti della classe operaia è ben descritta nelle nostre Tesi Caratteristiche del 1952, le quali affermano due linee di marcia inequivocabili. 1) Opposizione netta e delimitazione chiara del partito da tutti gli altri raggruppamenti politici anche sedicentemente rivoluzionari, rifiuto ad addivenire con essi a qualsiasi approccio anche sul terreno pratico contingente. 2) Immancabile ripresa di azione sindacale da parte degli operai, i quali dovranno in essa e per essa ricostituire la loro organizzazione economica di classe. Di conseguenza l’azione del partito deve rivolgersi ad indicare agli operai che si muovono questa necessità urgente, per incoraggiare e potenziare anche le minime manifestazioni in questo senso.

Il sorgere, anche sporadico, di questi nuovi organismi economici è uno dei sintomi della ripresa della lotta operaia e il partito proclama la necessità che la lotta si approfondisca e si allarghi superando i limiti di fabbrica e di categoria. L’appello che il partito lancia a tutti i lavoratori di qualsiasi fede e di qualsiasi affiliazione politica è perciò non solo per la ripresa dell’azione in difesa delle condizioni di vita e di lavoro, ma anche l’indicazione della ricostituzione delle armi tramite le quali soltanto l’azione può svolgersi: la rinascita di organismi economici di classe in contrapposizione agli attuali sindacati tricolore.

Nel lanciare questo indirizzo il partito traccia di fronte alle masse una netta linea di demarcazione nei confronti di tutti gli altri raggruppamenti politici, la cui azione fra i proletari va alla ricerca di nuove e originali forme, che non dovrebbero più essere economiche e sindacali, sostenendo in molti casi che la funzione sindacale è finita.

Mentre il partito indica chiaramente che i proletari dovranno ridiscendere in lotta proprio sul terreno economico e sindacale, cioè sul terreno della difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro, e dovranno riorganizzarsi su questo specifico terreno, indica altresì che solo realizzandosi questo obiettivo il partito ritroverà il terreno naturale, adatto al suo rafforzamento in quanto organo rivoluzionario di classe, tendendo negli organismi economici la sua rete di nuclei, gruppi e frazione sindacale comunista.

È sul terreno del necessario risorgere dell’associazionismo sindacale delle masse che il partito si troverà in contatto con altre formazioni politiche organizzate nel seno degli organismi economici e potrà porsi di nuovo la necessità di scardinare l’influenza sul proletariato di altre prospettive e metodi non comunisti, attraverso l’appello alla unificazione delle lotte e delle risorte organizzazioni economiche.

Questa caratteristica azione del partito si svolge già oggi nella misura in cui si batte contro gli altri raggruppamenti per mantenere e garantire il carattere aperto, economico, operaio dei nuovi organismi, contro tutti coloro che, alla moda del kapadeismo 1921, vorrebbero chiuderli su precondizioni ideologiche o politiche, nella deforme visione che fa dei nuovi organismi operai delle strutture a metà fra il sindacato e il partito, o in evoluzione verso di questo. Per il partito la funzione e l’organizzazione economica sindacale sono espressione e condizione della lotta di classe, perciò non solo devono esistere ma devono coinvolgere tutti gli operai, essere aperte ed estese al massimo grado, perché l’estensione, la unificazione, il potenziamento delle lotte e delle strutture per la lotta immediata sono essenziali al rafforzamento del partito e tramite della sua influenza sul proletariato.

Il partito rivendica la massima apertura di questi organismi di classe e pur proponendosi di lottare al loro interno per conquistarli al proprio indirizzo politico, non nega la loro funzione di organismi aperti a tutti i lavoratoti, bensì integra, approfondisce e completa questa funzione.

È all’interno di questi organismi immediati della classe che il partito riproporrà la tattica del fronte unico sindacale, cioè della unità dell’azione e degli organismi proletari a carattere sindacale, invitando a muoversi su questo terreno, e su quello della difesa di questi organismi dalla politica statale e opportunista – che tenterà di svuotarli di ogni contenuto ed efficienza e di farne di nuovo degli organi di collaborazione di classe – anche quei proletari che, pur aderendo ad altri indirizzi politici, militano in questi organismi.

Ed eccoci al ricongiungimento con le posizioni coerenti dell’Internazionale al secondo Congresso e della Sinistra sul fronte unico. Non si può sostituire o contrabbandare la tattica di allora con un approccio di qualsiasi genere con altri raggruppamenti politici neanche sul piano della conduzione di azioni immediate delle masse. È l’azione delle masse stesse che deve essere coerentemente indirizzata verso la ricostituzione degli organismi economici di classe, verso la loro massima estensione e diffusione. È nella misura in cui l’azione di classe riprende e si dà le sue forme organizzative di battaglia, che il partito opera alla unificazione ed estensione dell’azione e dell’organizzazione proletaria, ben sapendo che nel corso dell’azione stessa i suoi metodi e le sue finalità si imporranno come gli unici validi, spezzando l’influenza che possono avere sul proletariato in lotta e organizzato gli altri indirizzi politici non comunisti.

Oggi la tattica del fronte unico si esprime in questi termini: «al fianco del più umile gruppo di sfruttati che chiede un pezzo di pane e lo difende dall’insaziabile ingordigia delle classi padronali e contro il tradimento dei bonzi tricolore, ma contro le istituzioni presenti e contro tutti i raggruppamenti politici non comunisti che di fatto si pongono sul terreno di quelle».

9. CARDINI DELLA PREVISIONE DEL PARTITO NEL SECONDO DOPOGUERRA

Nella situazione avversa del secondo dopoguerra il partito, piccolo, ad effettivi ridotti si è conquistato una tradizione di lavoro sindacale e di azione all’interno dei sindacati tricolore nella migliore tradizione del comunismo della Sinistra e di Lenin. Questo lavoro è stato possibile perché il partito ha identificato chiaramente le caratteristiche fondamentali della ripresa della lotta di classe.

La ripresa di classe avverrà sul terreno della lotta per la difesa del pane quotidiano e segnerà la rinascita di organismi economici a tipo sindacale, cioè adatti alla conduzione di questa lotta. La storia non ha conosciuto né conoscerà altra forma di aggregazione del proletariato che quella contenuta nella nostra classica piramide: l’organismo economico di difesa quotidiana, a milioni di effettivi operai; l’organizzazione armata del proletariato per la conquista del potere, nelle fasi in cui la lotta di classe raggiunge il culmine della guerra civile; il partito come unico organo della coscienza proletaria.

Le nostre tesi caratteristiche del 1952 affermano:
     Punto 9: «Gli eventi, non la volontà o la decisione degli uomini, determinano anche il settore di penetrazione nelle grandi masse, limitandolo ad un piccolo angolo dell’attività complessiva. Tuttavia il partito non perde occasione per entrare in ogni frattura, in ogni spiraglio, sapendo bene che non si avrà la ripresa se non dopo che questo settore si sarà grandemente ampliato e divenuto dominante».
    
Punto 10: «L’accelerazione del processo deriva oltre che dalle cause sociali profonde delle crisi storiche, dall’opera di proselitismo e di propaganda, con i ridotti mezzi a disposizione. Il partito esclude assolutamente che si possa stimolare il processo con risorse, manovre, espedienti che facciano leva su quei gruppi, quadri, gerarchie che usurpano il nome di proletari, socialisti e comunisti (…) Per accelerare la ripresa di classe non sussistono ricette bell’e pronte. Per fare ascoltare ai proletari la voce di classe non esistono manovre ed espedienti, che come tali non farebbero apparire il partito quale è veramente, ma un travisamento della sua funzione, a deterioramento e pregiudizio della effettiva ripresa del movimento rivoluzionario, che si basa sulla reale maturità dei fatti e del corrispondente adeguamento del partito, abilitato a questa soltanto dalla sua inflessibilità dottrinaria e politica».
    
Punto 11: «Il partito non sottace che in fasi di ripresa non si rinforzerà in modo autonomo se non sorgerà una forma di associazionismo economico sindacale delle masse. Il sindacato, sebbene non sia mai stato libero da influenze di classi nemiche e abbia funzionato da veicolo a continue e profonde deviazioni e deformazioni, sebbene non sia uno specifico strumento rivoluzionario, tuttavia è oggetto di interessamento del partito, il quale non rinuncia volontariamente a lavorarvi dentro, distinguendosi nettamente da tutti gli altri raggruppamenti politici. Il partito riconosce che oggi può fare solo in modo sporadico opera di lavoro sindacale, e dal momento che il concreto rapporto numerico tra i suoi membri, i simpatizzanti, e gli organizzati in un dato corpo sindacale risulti apprezzabile, e tale organismo sia tale da non avere esclusa l’ultima possibilità di attività virtuale e statutaria autonoma classista, il partito esplicherà la penetrazione e tenterà la conquista della direzione di esso».

Le tesi indicano una sola prospettiva: la ripresa della lotta di classe farà risorgere il tessuto associativo economico delle masse, in seno al quale il partito combatterà per rafforzarsi in modo autonomo, in aperto scontro con tutte le altre formazioni politiche anche proletarie, anche “rivoluzionarie”. Alla fine di questo processo di ripresa ci sarà la prospettiva che sognavamo nel 1921 e che lavorammo a realizzare: «Alla vigilia della rivoluzione gli organismi sindacali sono uniti e alla testa di essi sta l’unico partito comunista», avendo debellato nel corso della lotta gli indirizzi spuri e inconseguenti ed avendo l’esperienza mostrato ai proletari che solo i metodi comunisti sono capaci di condurli alla emancipazione.

E ancora, a più precisa conferma:
     Punto 6, parte II: «Mentre considera il sindacato organo insufficiente da solo alla rivoluzione, lo considera però organo indispensabile per la mobilitazione della classe sul piano politico rivoluzionario, attuata con la presenza e la penetrazione del partito comunista nelle organizzazioni economiche di classe. Nelle difficili fasi che presenta il formarsi delle associazioni economiche, si considerano come quelle che si prestano all’opera del partito le associazioni che comprendono solo proletari e a cui gli stessi aderiscono spontaneamente, ma senza l’obbligo di professare date opinioni politiche religiose e sociali. Tale carattere si perde nelle organizzazioni confessionali e coatte o divenute parti integranti dell’apparato di Stato».
     Punto 7: «Il partito non adotta mai il metodo di formare organizzazioni economiche parziali comprendenti soli lavoratori che accettano i principi e la direzione del partito comunista. Ma il partito riconosce senza riserve che non solo la situazione che precede la lotta insurrezionale ma anche ogni fase di deciso incremento della influenza del partito fra le masse non può delinearsi senza che tra il partito e la classe si stenda lo strato di organizzazioni a fine economico immediato e con alta partecipazione numerica, in seno alle quali vi sia un rete emanante dal partito (nuclei, gruppi e frazione comunista sindacale). Compito del partito nei periodi sfavorevoli e di passività della classe proletaria è di prevedere le forme e incoraggiare l’apparizione delle organizzazioni a fine economico per la lotta immediata, che nell’avvenire potranno assumere anche aspetti del tutto nuovi, dopo i tipi ben noti di lega di mestiere, sindacato di industria, consigli di azienda e così via. Il partito incoraggia sempre le forme di organizzazione che facilitano il contatto e la comune azione tra lavoratori di varie località e di varia specialità professionale, respingendo le forme chiuse».

Il partito dunque non tiene, nelle fasi sfavorevoli della lotta, un atteggiamento passivo o di attesa. Pur sapendo che la ripresa non può essere determinata dalla sua volontà soggettiva, esso agisce in ogni momento, anche nel peggiore, con la previsione e soprattutto con l’incoraggiamento e l’attività in tutte le manifestazioni proletarie che tendono ad opporre anche un minimo argine allo strapotere capitalistico. Il partito incoraggia l’apparire delle organizzazioni a fine economico per la lotta immediata, lavora a rafforzarle, ad estenderle, a difenderle, in lotta con tutte le altre forze che tenderebbero a soffocarle. Il partito non attende che la ripresa di classe sia giunta a un livello generale per portare in essa il verbo rivoluzionario, incoraggia, difende e favorisce tutti i germi di ripresa anche minimi, anche limitati.

Questa visione, che risolve la contrapposizione fra partito storico e formale, deriva dalla nostra visione del partito che le tesi rigorosamente riassumono:
     Punto 4: «Compiti ugualmente necessari del partito prima durante e dopo la lotta armata per il potere sono la difesa e diffusione della teoria del movimento, la difesa e il rafforzamento dell’organizzazione interna, col proselitismo, la propaganda della teoria e del programma comunista, e la costante attività nelle file del proletariato ovunque questo è spinto dalle necessità e determinazioni economiche alla lotta per i suoi interessi».
    
Punto 5: «Come è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo, così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminanti o di coscienti, per essere sostituita da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi.
    
Punto 8: «Nel succedersi delle situazioni storiche, il partito si tiene lontano quindi: – dalla visione idealista e utopista che affida il miglioramento sociale ad una unione di eletti di coscienti di apostoli o di eroi – dalla visione libertaria che lo affida alla rivolta di individui o di folla senza organizzazione – dalla visione sindacalista o economista che lo affida all’azione di organismi economici e apolitici, sia o non accompagnata dalla predicazione dell’uso della violenza – dalla visione volontarista e settaria che, prescindendo dal reale processo deterministico, per cui la ribellione di classe sorge da reazioni e atti che precedono di gran lunga la coscienza teorica e la stessa chiara volontà, vuole un piccolo partito di elitée che o si circonda di sindacati estremisti che sono un suo doppione, o cade nell’errore di isolarsi dalla rete associativa economico sindacale del proletariato. Tale ultimo errore di “ka-a-pe-di-sti” germanici e tribunisti olandesi fu sempre combattuto in seno alla III Internazionale della Sinistra italiana».

È in questo slancio combattivo, che ha sempre contraddistinto il nostro partito, che le tesi del 1965 riconobbero il successo conseguito dalla piccola organizzazione nell’azione sindacale: «Il partito riconobbe ben presto che, anche in una situazione estremamente sfavorevole, e anche nei luoghi in cui la sterilità di questa è massima, va scongiurato il pericolo di concepire il movimento come una mera attività di stampa propagandistica e di proselitismo politico. La vita del partito si deve integrare ovunque e sempre e senza eccezioni in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse e anche nelle sue manifestazioni influenzate dalle direttive contrastanti con le nostre. È antica tesi del marxismo di sinistra che si deve accettare di lavorare nei sindacati di destra ove gli operai sono presenti, e il partito aborre delle posizioni individualistiche di chi mostri di sdegnare di metter piede in questi ambienti giungendo perfino a teorizzare la rottura dei pochi e flebili scioperi a cui i sindacati odierni si spingono. In molte regioni il partito ha ormai dietro di sé un’attività notevole in questo senso, sebbene debba sempre affrontare difficoltà gravi e forze contrarie, superiori, almeno statisticamente. È importante stabilire che, anche dove questo lavoro non ha ancora raggiunto un apprezzabile avvio, va respinta la posizione per cui il piccolo partito si riduca a circoli chiusi senza collegamento con l’esterno, o limitati a cercare adesioni nel solo mondo delle opinioni, che per il marxista è un mondo falso quando non sia trattato come sovrastruttura del mondo dei conflitti economici».


10. LETTURA SEMPLICE E COERENTE DELLA NOSTRA PROSPETTIVA DEL 1952

In pochi punti riassumiamo ciò che le Tesi dicono chiaramente riguardo al modo in cui la ripresa della lotta di classe si delineerà e si svolgerà. Ce n’è purtroppo bisogno, perché va aumentando la trista schiera di coloro che amano richiamarsi alla Sinistra Comunista e al Partito Comunista Internazionale con l’unico scopo di svendere il patrimonio della Sinistra, mercanteggiandolo con gruppi e strati che mai nulla hanno avuto a che fare né con il marxismo né con la rivoluzione e che mai si troveranno sulla strada di essa.

Le Tesi dicono anche al peggior sordo che non voglia sentire:

1) La ripresa della lotta di classe non dipende dalla soggettiva volontà di uomini o di gruppi, ma dalla maturità dei fatti sociali collegati al lavoro del partito, coerente intorno a un inflessibile indirizzo. Non siamo a scervellarci nel trovare espedienti che “facciano muovere” il proletariato. Il proletariato sarà costretto a muoversi. Il punto cruciale è se nel suo muoversi troverà sulla sua strada un inflessibile indirizzo di partito marxista o se, invece, dovrà scivolare ancora una volta sulla miscuglio di programmi, prospettive, ideucce ed espedienti, materia che, in termini propri, non può chiamarsi che merda.

2) La ripresa sarà segnata dal ritorno del proletariato a difendere la sua vita fisica, le sue condizioni di vita e di lavoro, e perciò dal risorgere della rete associativa economica di classe; rete sindacale? Certamente, anche se potrà assumere forme del tutto nuove rispetto alle forme sindacali storicamente conosciute. Ma senza il risorgere di questa rete associativa economica del proletariato, senza il risorgere del sindacato di classe, non solo non ci sarà ripresa della lotta di classe, ma neanche terreno sufficiente al rafforzamento del partito sulle sue autonome basi.

3) Il partito si contrappone frontalmente, sempre e dovunque, a tutti gli altri movimenti politici sedicenti rivoluzionari che usurpano il nome di socialisti e comunisti, rifugge da ogni intesa con essi anche sul terreno contingente, li addita come ostacoli sulla via della ripresa proletaria. Incoraggia invece e sostiene l’azione del proletariato sul terreno economico e la ricostituzione degli organismi economici proletari, ben sapendo che per condurre la sua azione di incoraggiamento, sostegno, influenzamento in senso comunista dei movimenti operai economici deve battersi aspramente, perché li troverà sul lato opposto della barricata, a soffocare e a deviare lo slancio proletario sul terreno economico, contro tutti gli pseudo rivoluzionari di oggi e di domani, alleati e figli legittimi dell’opportunismo tradizionale. In parole povere siamo frontalmente opposti non solo al P.C.I. ma a tutti i suoi manutengoli di falsa sinistra.

Siamo a fianco di qualsiasi gruppo anche limitato di proletari che si ponga sul terreno della difesa delle proprie condizioni, anzi siamo con gli operai dovunque si muovano proprio perché ed in quanto siamo nemici giurati di tutte le false “sinistre rivoluzionarie” che, con la loro opera e le loro sconnesse prospettive, intralciano, per quanto possono, la ripresa della lotta di classe. La nostra opera di incoraggiamento e di sostegno alla ripresa della lotta proletaria sul terreno economico, dalla quale ci aspettiamo il nostro rafforzamento organizzativo e il ristabilirsi dei mille canali che devono legare il partito alla classe, è inscindibile dalla aperta denuncia di tutti questi movimenti, dall’indicazione ai proletari del campo a cui tutti appartengono: il campo opportunista. Così vedevamo la prospettiva nel 1952. Così la vediamo oggi!

11. TRADIZIONE DI COMPORTAMENTO DEL PARTITO NELLE LOTTE OPERAIE

La polemica sull’atteggiamento dei comunisti nelle lotte economiche risale a Marx, incoraggiatore, contro Proudhon, delle coalizioni operaie, a Lenin, sostenitore della necessità dei sindacati economici aperti a tutti i proletari, alla III Internazionale in lotta contro il consiliarismo gramsciano e kapedeista fondatore di sindacati “rivoluzionari”.

L’Internazionale viene ancora oggi accusata dagli spontaneisti di aver tirato indietro il proletariato tedesco per avere impedito la scissione dei grandi sindacati diretti dagli opportunisti e aver costretto i comunisti a rimanere in essi per lavorare alla loro conquista. In effetti nel primo dopoguerra si contrapposero in seno al movimento operaio due linee: la comunista marxista con la parola di “conquista dei sindacati”, l’anarchia e spontaneista con la parola di “distruzione dei sindacati”. Contemporaneamente, e non a caso, mentre il comunismo marxista fu per la netta distinzione del partito dagli altri organismi di classe, l’anarchismo spontaneista, al contrario, figurava una progressiva “proletarizzazione”, cioè diluizione del partito negli organismi operai.

La polemica si ripresenta oggi chiara e netta e per questo tutte le nostre tesi avvertono che l’azione sindacale del partito è un tratto distintivo di esso contro tutti gli altri raggruppamenti politici. Il partito marxista è il più accanito sostenitore della necessità di tutti gli operai di organizzarsi sul terreno della difesa economica, della necessità degli organismi operai “apolitici”, cioè aperti a tutti i proletari che vogliono combattere contro il capitale per la loro difesa fisica, senza preclusioni di ordine ideologico o politico; nello stesso tempo, e proprio per questo, il marxismo è il sostenitore più accanito della “chiusura” del partito politico, della sua intransigenza dottrinaria e teorica, della sua rigida selezione organizzativa.

Questa linea storica percorre tutte le vicende del movimento operaio, perché è legata alla concezione marxista stessa della lotta di classe; l’altra è legata a una concezione idealista, educazionista e culturalista della classe. Per il partito marxista la lotta delle classi nasce sul terreno economico materiale delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico. È lo svolgersi di queste contraddizioni che porta, costringe la classe operaia a combattere. Ed è nel corso di questo combattimento che viene alimentata e rafforzata la visione del superamento rivoluzionario della società attuale, visione che si compendia nel partito, cioè in un organo la cui caratteristica è il possesso della coscienza storica della classe. Questa coscienza non è dei proletari per la loro posizione nella produzione, né degli organismi che essi formano per la loro difesa nei confronti del sistema capitalistico: è di un organo speciale a visione completa del processo storico, cioè del partito di classe.

Ma fra lotta della classe operaia e potenza del partito politico esiste un nesso inscindibile: è nella misura in cui gli operai ingaggiano il combattimento per la difesa del loro pane quotidiano, nella misura in cui questa difesa urta sempre più contro le strutture capitalistiche, nella misura in cui si generalizza e si estende, che l’indirizzo totalitario del partito penetra per mille legami in seno alla classe, che il partito costruisce la sua potenza organizzativa accogliendo nel suo seno i migliori proletari, quei proletari che l’azione stessa ha condotto all’altezza della visione generale e storica del partito.

Così le nostre tesi hanno sempre tracciato questo parallelo: man mano che la lotta operaia sul terreno economico decresce e si affievolisce, l’organo partito si restringe e perde i suoi collegamenti con la massa proletaria; l’estendersi della lotta proletaria di difesa economica fornisce, al contrario, al partito di classe il terreno del suo rafforzarsi e del suo collegamento con il grosso del proletariato. Il marxismo, infatti, non è una ideologia: è la descrizione scientifica del percorso della classe proletaria verso la sua totale emancipazione. Questo percorso diventa accessibile ai proletari solo quando sono capaci di ingaggiare il combattimento per la difesa delle proprie condizioni di vita. La potenza della lotta operaia economica è, perciò, condizione del rafforzamento del partito, alimento al ritessersi della sua potente organizzazione di battaglia. Senza questa base, fin dai tempi di “Lavoro salariato e capitale”, i comunisti hanno affermato che la classe operaia si rende impotente a combattere per qualsiasi superiore esigenza.

Le nostre Tesi di Roma del 1922 presentano un quadro chiaro e definitivo di questo inscindibile nesso:

«1) Il partito comunista, partito politico della classe proletaria, si presenta nella sua azione come una collettività operante con indirizzo unitario. I moventi iniziali pei quali gli elementi ed i gruppi di questa collettività sono condotti ad inquadrarsi in un organismo ad azione unitaria sono gli interessi immediati di gruppi della classe lavoratrice suscitati dalle loro condizioni economiche. Carattere essenziale della funzione del partito comunista è l’impiego delle energie così inquadrate per il conseguimento di obbiettivi che, per essere comuni a tutta la classe lavoratrice e situati al termine di tutta la serie delle sue lotte, superano attraverso la integrazione di essi gli interessi dei singoli gruppi e i postulati immediati e contingenti che la classe lavoratrice si può porre.

«2) La integrazione di tutte le spinte elementari in una azione unitaria si manifesta attraverso due principali fattori: uno di coscienza critica, dal quale il partito trae il suo programma, l’altro di volontà che si esprime nello strumento con cui il partito agisce, la sua disciplinata e centralizzata organizzazione…

«8) … Presentando il massimo di continuità nel sostenere un programma e nella vita della gerarchia dirigente (al di sopra delle sostituzioni personali di capi infedeli o logorati) il partito presenta anche il massimo di efficace e utile lavoro nel guadagnare il proletariato alla causa della lotta rivoluzionaria. Non si tratta qui semplicemente di un effetto di ordine didattico sulle masse e tanto meno della velleità di esibire un partito intrinsecamente puro e perfetto, ma proprio del massimo rendimento nel processo reale per cui, come meglio si vedrà innanzi, attraverso il sistematico lavoro di propaganda, di proselitismo e soprattutto di attiva partecipazione alle lotte sociali, si effettua lo spostamento dell’azione di un sempre maggior numero di lavoratori dal terreno degli interessi parziali e immediati a quello organico e unitario della lotta per la rivoluzione comunista…

«10) La delimitazione e definizione dei caratteri del partito di classe, che sta alla base della sua struttura costitutiva di organo della parte più avanzata della classe proletaria, non toglie, anzi esige, che il partito debba essere collegato da stretti rapporti col rimanente del proletariato.

«11) La natura di questi rapporti discende dal modo dialettico di considerare la formazione della coscienza di classe, e della organizzazione unitaria del partito di classe che trasporta una avanguardia dei proletariato dal terreno dei moti spontanei parziali suscitati dagli interessi dei gruppi su quello della azione proletaria generale, ma non vi giunge con la negazione di quei moti elementari, bensì consegue la loro integrazione e il loro superamento attraverso la viva esperienza, con l’incitarne la effettuazione, col prendervi parte attiva, col seguirli attentamente in tutto il loro sviluppo.

«12) L’opera di propaganda della sua ideologia e di proselitismo per la sua milizia che il partito continuamente compie è dunque inseparabile dalla realtà dell’azione e del movimento proletario in tutte le sue esplicazioni; ed è un banale errore il considerare contraddittoria la partecipazione a lotte per risultati contingenti e limitati con la preparazione della finale e generale lotta rivoluzionaria. La esistenza stessa dell’organismo unitario del partito, con le indispensabili condizioni di chiarezza di visione programmatica e di saldezza di disciplina organizzativa, dà la garanzia che mai verrà attribuito alle parziali rivendicazioni il valore di fine a sé medesime, e si considererà soltanto la lotta per raggiungerle come un mezzo di esperienze e di allenamento per la utile e fattiva preparazione rivoluzionaria.

«13) Il partito comunista partecipa, quindi, alla vita organizzativa di tutte le forme di organizzazione economica del proletariato aperte a lavoratori di ogni fede politica (sindacati, consigli di azienda, cooperative, ecc.). Posizione fondamentale per l’utile svolgimento dell’opera del partito è il sostenere che tutti gli organi di tal natura debbono essere unitari, cioè comprendere tutti i lavoratori che si trovano in una specifica situazione economica. Il partito partecipa alla vita di questi organi attraverso la organizzazione dei suoi membri che ne fanno parte in gruppi o cellule collegate alla organizzazione del partito. Questi gruppi, partecipando in prima linea alle azioni degli organi economici di cui fanno parte, attirano a sé e quindi nelle file del partito politico quegli elementi che nello sviluppo dell’azione si rendono maturi per questo. Essi tendono a conquistare nelle loro organizzazioni il seguito della maggioranza e le cariche direttive divenendo così il naturale veicolo di trasmissione delle parole d’ordine del partito. Si svolge così tutto un lavoro che è di conquista e di organizzazione, che non si limita a fare opera di propaganda e di proselitismo e campagne elettorali interne nelle assemblee proletarie, ma si addentra soprattutto nel vivo della lotta e dell’azione, assistendo i lavoratori nel trarne le più utili esperienze.

«14) Tutto il lavoro e l’inquadramento dei gruppi comunisti tende a dare al partito il definitivo controllo degli organi dirigenti degli organismi economici, e in prima linea delle centrali sindacali nazionali, che appaiono come il più sicuro congegno di direzione dei movimenti del proletariato non inquadrato nelle file del partito. Considerando suo massimo interesse l’evitare le scissioni dei sindacati e degli altri organi economici, fino a quando la dirigenza ne resterà nelle mani di altri partiti e correnti politiche il partito comunista non disporrà che i suoi membri si regolino nel campo della esecuzione dei movimenti diretti da tali organismi in contrasto con le disposizioni di essi per quanto riguarda l’azione, pur svolgendo la più aperta critica dell’azione stessa e dell’opera dei capi.

«15) Oltre a prendere parte in tal modo alla vita degli organismi proletari naturalmente sorti per la pressione dei reali interessi economici, e all’agevolare la loro diffusione e rafforzamento, il partito si sforzerà di porre in evidenza con la sua propaganda quei problemi di reale interesse operaio che nello svolgimento delle situazioni sociali possono dar vita a nuovi organismi di lotta economica. Con tutti questi mezzi il partito dilata e rafforza la influenza che per mille legami si estende dalle sue file organizzate a tutto il proletariato, approfittando di tutte le sue manifestazioni e possibilità di manifestazioni nella attività sociale.

«16) Totalmente erronea sarebbe quella concezione dell’organismo di partito che si fondasse sulla richiesta di una perfetta coscienza critica e di un completo spirito di sacrificio in ciascuno dei suoi aderenti singolarmente considerato e limitasse lo strato della massa collegato al partito ad unioni rivoluzionarie di lavoratori costituite nel campo economico con criterio secessionista e comprendendo solo quei proletari che accettano dati metodi di azione…».

Questo modo dialettico del formarsi della coscienza di classe – secondo il quale i migliori operai si selezionano all’altezza del partito attraverso la lotta e l’esperienza in essa acquisita e la propaganda del partito – non è “pedagogia rivoluzionaria”, ma poggia sul dato materiale dell’appoggio e dell’intervento in ogni lotta spontanea, dell’incitamento a condurla, nel suo essere in prima fila nelle lotte economiche.

Questo entusiastico appoggio che il partito mostra verso ogni episodio anche minimo di reazione operaia all’oppressione borghese, l’entusiasmo per ogni episodio in cui il proletariato o reparti anche limitati di esso ingaggiano la lotta per la difesa del pezzo di pane dall’ingordigia padronale, senza sapere, senza conoscere, spinti solo dalle determinazioni del loro stomaco o della loro sopravvivenza, questa lealtà per cui l’operaio comunista non è il “sapiente, il cosciente, l’apostolo o l’eroe” ma il migliore compagno di lotta dei suoi fratelli sfruttati e li assiste nel trarre le più utili esperienze dalle loro lotte stesse, è un tratto distintivo del partito di classe, da Marx in poi

È Carlo Marx che in “Lavoro salariato e capitale”, dimostra la utilità delle lotte proletarie per il pezzo di pane, la loro necessità, e distrugge il falso scientificismo dell’economia borghese per la quale ogni aumento di salario, determinando un conseguente aumento dei prezzi, avrebbe reso inutile la lotta e l’organizzazione economica degli operai. Marx dimostra che ciò non è vero, che i rapporti di forza fra le classi determinano la divisione del prodotto sociale, che l’operaio non deve accettare come un dato di fatto inevitabile l’abbassamento dei salari, ma deve difendere la sua vita fisica contro l’assalto quotidiano delle classi avversarie, e conclude con l’ammissione che la lotta economica è sì lotta contro gli effetti e non contro le cause dello sfruttamento capitalistico, ma, afferma, questo non per diminuirla o per prenderne le distanze, bensì per affermare che, se gli operai «rinunciassero per viltà a questa lotta», si chiuderebbero con ciò stesso la strada per le lotte più grandi e più generali.

Ogni episodio in cui un gruppo seppur minimo di operai è capace di non «rinunciare per viltà» alla difesa del pane quotidiano, in cui una parte anche limitata della classe è disposta a fare argine, anche nelle forme più imperfette e contraddittorie, per la difesa di sé stessa e della sua vita fisica, non è visto dal partito con la sufficienza dell’intellettuale che vorrebbe vedere la classe muoversi per motivi meno meschini, più ideali. Secondo le Tesi di Roma, richiedere «perfetta coscienza critica e completo spirito di sacrificio in ciascuno dei suoi aderenti singolarmente considerato», è altra faccia dell’intellettualistico «fondare associazioni operaie nel campo economico con criterio secessionista, cioè accogliendo solo quei proletari che accettano determinati metodi di azione». L’entusiasmo del militante rivoluzionario sa vedere la ripresa futura in grande del moto di classe, di ciò che classe potrà essere in situazioni più favorevoli e più esplosive, in ogni manifestazione anche piccola, fosse pure in uno solo dei suoi reparti, nella battaglia quotidiana contro le classi possidenti.

Tutte le nostre tesi tendono a mettere in evidenza uno spirito, una fisionomia che è tipica del partito di classe contro tutti gli altri. «I proletari non ci giudicano da quello che diciamo, ma da quello che facciamo!» dicemmo nel 1922, e quello che i comunisti fanno, da quando il marxismo è nato, si riassume così: «Al fianco del più umile gruppo di sfruttati che rivendica un tozzo di pane e lo difende dall’ingordigia padronale, ma contro lo stato presente, le sue istituzioni i suoi partiti».

L’anarco sindacalismo, che non ha mai rappresentato una sopravvalutazione dell’azione difensiva del proletariato sul terreno economico, contrapposta all’azione generale politica, è consistito in una negazione di tutte e due le azioni contemporaneamente: è solo il partito marxista che, chiuso e dogmatico nel suo indirizzo politico, esalta la lotta del proletariato anche sul terreno puramente economico e “corporativo”.

È questo lo spirito che distingue il Partito e dà a tutta la sua azione un carattere particolare, attraverso il quale i proletari saranno portati a riconoscerlo e a seguirlo. Perché i proletari non faranno un “esame di marxismo” ai raggruppamenti politici esistenti, ma sentiranno e vedranno il loro partito in prima linea nelle loro lotte, nei posti più avanzati e pericolosi della trincea di classe.

Questo spirito proletario del partito, questo entusiastico appoggio anche ai più limitati movimenti degli operai, si ritrova anche nelle Tesi del terzo congresso della Internazionale Comunista, Sulla struttura, i metodi e l’azione dei partiti comunisti:

 «IV.23 - Bisogna condurre l’agitazione comunista tra le masse proletarie in modo tale che i proletari militanti riconoscano la nostra organizzazione comunista come quella che deve dirigere lealmente e coraggiosamente, con previdenza ed energia, il loro movimento verso un fine comune.
     «A tal fine i comunisti devono prendere parte a tutte le lotte spontanee a tutti i movimenti della classe operaia e prendersi cura della salvaguardia degli interessi operai in tutti i conflitti contro i capitalisti a proposito della giornata lavorativa ecc. Facendo ciò i comunisti devono occuparsi energicamente delle questioni concrete della vita degli operai, aiutarli ad affrontare tutti i problemi che hanno, attirare la loro attenzione sui più clamorosi abusi, aiutarli a formulare esattamente, in forma pratica, le loro rivendicazioni ai capitalisti e allo stesso tempo sviluppare fra loro lo spirito di solidarietà e la coscienza della comunanza dei loro interessi e di quelli degli operai di tutti i paesi, perché interessi di una classe unica, che costituisce una parte dell’esercito mondiale del proletariato.
     «Soltanto prendendo costantemente parte a questo lavoro quotidiano capillare assolutamente necessario, impegnando tutto il suo spirito di sacrificio in tutte le lotte del proletariato, il partito comunista può svilupparsi in un vero partito comunista. Sarà soltanto grazie a questo lavoro che i comunisti si distingueranno dai partiti socialisti puramente propagandistici e reclutatori, che hanno fatto il loro tempo e la cui attività consiste soltanto in riunioni dei membri, in discussioni sulle riforme e nell’utilizzazione delle possibilità offerte dal parlamentarismo.
     «La partecipazione cosciente e devota di tutta la massa dei membri di un partito alla scuola delle lotte e degli scontri quotidiani tra sfruttati e sfruttatori è non soltanto la premessa indispensabile per conquistare (...) ma in misura ancora più larga per realizzare la dittatura del proletariato. Soltanto ponendosi alla testa delle masse operaie nelle costanti scaramucce contro gli attacchi del capitale il partito comunista può diventare capace di trasformarsi in tale avanguardia della classe operaia, di imparare sistematicamente a dirigere di fatto il proletariato e di acquistare i mezzi per preparare coscientemente l’abbattimento della borghesia.

«IV.24 - I comunisti devono essere mobilitati in gran numero per prendere parte al movimento degli operai soprattutto durante gli scioperi, le serrate e gli altri scontri di massa.
     «I comunisti commettono un errore assai grave se si richiamano al programma comunista e ai temi della battaglia decisiva per giustificare un atteggiamento passivo o negligente o anche ostile nei confronti delle lotte quotidiane che gli operai ingaggiano oggi per miglioramenti anche poco importanti delle loro condizioni di lavoro. Per quanto limitate e modeste possano essere le rivendicazioni per soddisfare le quali l’operaio è già pronto, oggi, a scendere in campo contro i capitalisti, i comunisti non devono mai prenderle a pretesto per tenersi fuori dallo scontro. La nostra attività di agitazione non deve dar luogo all’idea che i comunisti siano istigatori ciechi di scioperi stupidi e di altre azioni insensate; dobbiamo invece guadagnarci dappertutto, tra gli operai militanti, la fama dei migliori compagni di lotta»
.


12. LOTTA ECONOMICA E LOTTA POLITICA

Questo atteggiamento del partito verso le lotte proletarie è valido per tutti i paesi e per tutti i tempi e non subisce variazioni con il variare delle situazioni storiche.

Per il marxismo il trapasso fra la mera e limitata difesa del pane quotidiano e le forme difensive e offensive più ampie della lotta operaia non è il prodotto di volontà soggettive, ma di dati oggettivi: la profondità delle contraddizioni capitalistiche, l’estensione del movimento operaio economico, la sua durata, il suo resistere alle pressioni capitalistiche, il suo urtare contro la impossibilità del regime capitalistico a mantenere in vita la massa degli operai, la tradizione combattiva dei salariati e delle loro organizzazioni, la presenza del partito; sono questi gli elementi che determinano l’ampiezza e anche la “coscienza relativa” del moto di classe.

I proletari europei del primo dopoguerra erano in grado di impostare la difesa delle loro condizioni di vita in forme e a livelli oggettivamente rivoluzionari, avevano una chiara nozione non solo del combattimento in sparsi gruppi per il pane ed il lavoro, ma anche della necessità di azioni più ampie, difensive e offensive, contro la reazione padronale e statale, avevano netta l’idea dell’uso della violenza e delle armi nella lotta di classe, e furono sul punto di ingaggiare la lotta aperta per la conquista del potere politico. Ma questo avveniva non nella negazione o nel superamento del terreno rivendicativo economico, sindacale, bensì nell’approfondirsi della lotta su questo terreno.

Più la lotta per la difesa del pane divampava e urtava contro le terribili difficoltà del regime capitalistico, più si faceva aspra la necessità di difendere un posto di lavoro, più gli operai acquistavano la nozione di essere una classe, più si presentava alla loro stessa esperienza la questione del potere politico. Agivano in questo senso tradizioni di battaglia entrate da decenni nella carne e nel sangue anche dell’ultimo degli operai, tradizioni tradite, ma non spente di lotta feroce contro lo sfruttamento capitalistico a prezzo di morti sulle piazze e di anni di galera comminati a operai e scioperanti, agiva in questo senso il ricordo vicino del fucile impugnato per combattere sui fronti di guerra e che pure l’operaio aveva così imparato a maneggiare secondo la meravigliosa espressione di Lenin.

Di conseguenza il proletariato del primo dopoguerra fornì partiti comunisti a centinaia di migliaia di effettivi e fu capace di reazione classista organizzando la sua difesa contro le bande fasciste e le forze statali. Non era questo qualcosa che negasse la lotta economica, era la lotta economica assurta a lotta generale e, perciò, di classe, a una profondità e a un livello di radicalità che si esprimeva nella forza del partito politico. La lotta rivoluzionaria di classe, non la negazione della lotta economica: è la lotta economica giunta a un grado di asprezza è di estensione determinati e in presenza di un partito politico al quale le vicende della lotta stessa hanno dato la possibilità di esercitare un’influenza su tutta la classe operaia, ricostituendo tra l’altro in questa lotta la sua propria rete organizzativa.

Ci serviamo di questi semplici elementi della nostra dottrina per ricacciare nel ridicolo le scoperte gruppettare di “comitati di autodifesa proletaria contro il fascismo” e simili. Ha ben risposto il nostro giornale che i proletari che non riescono a difendere il loro pane quotidiano contro il padronato, a svolgere un’azione seppur minima sul terreno salariale ed economico, non possono esprimere nessuna autodifesa contro nessun fascismo.

La rinascita degli organismi economici di classe è premessa indispensabile alla possibilità di una lotta talmente ampia della classe che trapassi dal terreno puramente difensivo all’offensiva rivoluzionaria.


13. DESCRIZIONE DELLA TRAGEDIA STORICA DI CINQUANT’ANNI

Termini della situazione nel primo dopoguerra: il proletariato europeo, dotato di una tradizione di battaglia formidabile, di organizzazioni economiche di classe a milioni di effettivi, di organismi politici che mai hanno cessato, almeno verbalmente, una certa preparazione anche psicologica all’attacco contro lo Stato borghese, si trova precipitato nella catastrofe della guerra ad opera dei suoi capi traditori. Il dopoguerra segna immediatamente una ripresa della lotta di classe che, poggiata sulla base di una crisi generale del sistema capitalistico, raggiunge vertici di radicalità rivoluzionaria. I sindacati, diretti da opportunisti e socialdemocratici, ma con tradizioni e strutture classiste, divengono i focolai della resistenza operaia. L’indirizzo opportunista si scontra quotidianamente con la vivacità delle reazioni operaie, che tendono ad approfondire e generalizzare le lotte economiche. L’influenza internazionale del partito, insieme alla profondità della crisi economica, impongono la questione del trapasso dalla lotta di difesa economica all’assalto rivoluzionario armato e generale. I sindacati operai passano sul terreno rivoluzionario, e questo esprime l’imminenza della battaglia finale.

Questa battaglia il proletariato europeo l’ha perduta. Si sono concatenati vari fattori che hanno contribuito alla sconfitta: il riflusso delle lotte proletarie, demoralizzate dal disfattismo socialdemocratico, e già visibile nel 1921, gli errori tattici dell’Internazionale, che non solo hanno favorito questo riflusso ma hanno deformato lo stesso partito ricacciandolo nella palude opportunista, il crollo della dittatura proletaria nella Russia isolata e l’affermarsi dello stalinismo nel movimento operaio mondiale.

Questa colossale e totale vittoria capitalistica sulla classe proletaria ha fatto sì che le tendenze, già insite nello svolgersi del modo di produzione capitalistico e nella politica dell’opportunismo socialdemocratico, non abbiamo più trovato ostacoli al loro realizzarsi. Parallelamente al dissolversi del partito di classe, alla rottura dei mille fili che lo legavano alla classe, si è potuta svolgere senza remore ed ostacoli la vicenda della trasformazione degli organismi economici di classe in sindacati tricolore in tutti i paesi industriali del mondo; parallelamente si è potuta potenziare la funzione, non a noi sconosciuta, del riformismo statale, della creazione di spesse stratificazioni di aristocrazia operaia, delle mille forme assistenziali con cui lo Stato borghese ha potuto circondare la classe operaia, auspice e maestro il fascismo italiano e tedesco.

Da cinquanta anni si svolge in maniera totalitaria un’azione di demolizione della tradizione di classe in tutte le forme in cui essa si manifestava nel primo dopoguerra. Non è solo una demolizione di ordine ideologico e psicologico che il nemico compie, ma di ordine pratico, materiale, organizzativo anche, finanziario perfino. L’espressione più chiara di questa opera di demolizione, che in Italia dovette compiersi a mano armata dalle bande fasciste, ma che si è compiuta, purtroppo pacificamente o quasi, in tutti i paesi europei, sono i sindacati operai del secondo dopoguerra. In essi è scomparsa ogni ombra del vecchio sindacalismo di classe. Anche in questo senso il fascismo ha vinto la guerra mondiale: lasciando in eredità ai vincitori il suo sindacalismo tricolore, subordinato in politica e in prassi, e anche in organizzazione, agli interessi “generali” dell’economia nazionale e dello Stato borghese. “Gli interessi operai entro i limiti della Nazione!” era il grido dei riformisti del 1922, realizzato dal fascismo ed ereditato da tutte le organizzazioni operaie del post fascismo.

Che cosa significa questo? Il partito è stato il solo a comprendere che questo è un risultato storico dello svolgersi sfavorevole dei rapporti di forza fra le classi a livello mondiale, non una “novità” del sistema capitalistico. Sono due facce della stessa medaglia: da un lato la classe proletaria, riempita di ideologismi patriottici e nazionali, le sue riserve materiali e psicologiche, i mille legami che la uniscono psicologicamente e materialmente al resto del popolo, al “proprio” Stato, alla “propria” economia da una parte; dall’altro la riduzione del partito comunista a un piccolo raggruppamento senza collegamenti con la classe operaia e senza nessuna influenza su di essa.

Questa situazione reale è stata sempre riconosciuta dal partito il quale in tutte le sue tesi si è posto il compito di trasportare la fiaccola della rivoluzione attraverso l’arco storico di cinquantanni di sconfitta e di ritirata. Una difesa non di sole nozioni teoriche, il che sarebbe impossibile, ma di indirizzi e di metodi di azione, cioè del partito in quanto tale, anche se i suoi ranghi sono ristretti e la sua influenza è nulla.

Saranno le vicende materiali a rafforzarlo organizzativamente e ricollegarlo con le masse in lotta. Perciò la ripresa, sotto la spinta della crisi capitalistica, avverrà anch’essa su entrambi i fronti sui quali si è operata la sconfitta: la classe si doterà di nuovo di una rete economica associativa di classe e del partito politico, termini inscindibili del processo rivoluzionario.

Il proletariato non “salterà” lo stadio rivendicativo economico della lotta e della organizzazione per passare a pretese “forme superiori” di azione. I percorsi possono essere accelerati non saltati. L’importante è per noi il postulato della rinascita, dal seno delle contraddizioni economiche capitalistiche, della lotta operaia per la difesa delle materiali condizioni di vita e di lavoro e della conseguente organizzazione economica di classe, dei sindacati di classe, che si contrapporranno frontalmente al sindacalismo tricolore attuale. Tutte le nostre tesi parlano in questo senso e ripropongono la posizione già citata di Marx: la classe proletaria deve superare la “viltà storica” in cui è stata gettata in questi cinquantanni. La ripresa delle lotte e dell’organizzazione sul terreno economico del proletariato creerà il terreno favorevole al rafforzamento autonomo del partito rivoluzionario che, nelle vicende della lotta, riorganizzerà le sue file e ristabilirà la sua influenza sulla classe.

Non c’è altra strada, non ci può essere altra strada senza che tutta la costruzione marxista crolli. L’aver confuso questa prospettiva ha danneggiato fino a spezzarle la nostra organizzazione nel 1973. Perché fuori da questa prospettiva non c’è altro che l’extraparlamentarismo intellettualistico e falsamente rivoluzionario.

Siamo in una situazione capovolta rispetto al primo dopoguerra, ma questo non cambia i compiti e l’atteggiamento del partito verso la classe operaia. Definire i termini della situazione attuale deve servire al partito per comprendere quali siano i modi e gli strumenti adatti a ripercorrere una strada che non può essere che quella di sempre. Non cambieremo strada!

14. IL CULTURALISMO

Nel precedente capitolo abbiamo interrotto la citazione delle nostre Tesi di Roma a un punto ora da riprendere: «16. Totalmente erronea sarebbe quella concezione dell’organismo di partito che si fondasse sulla richiesta di una perfetta coscienza critica e di un completo spirito di sacrificio in ciascuno dei suoi aderenti singolarmente considerato e limitasse lo strato della massa collegato al partito ad unioni rivoluzionarie di lavoratori costituite nel campo economico con criterio secessionista e comprendendo solo quei proletari che accettano dati metodi di azione». Sono queste due facce di una concezione estranea al marxismo e al suo modo dialettico di considerare “la formazione della coscienza di classe“. In questa concezione il partito diviene l’unione degli individui “coscienti“, mentre nel campo economico si organizzano solo quei proletari che hanno acquisito la coscienza della necessità di determinati metodi di azione.

È una concezione culturalistica, tipicamente anarchica, che vede la lotta di classe come un prodotto della coscienza individuale. La concezione marxista è opposta: è il partito come organo collettivo storico che possiede la coscienza di classe, ma la esprime non come fatto intellettuale, anche se si presenta in veste teorica, bensì come arma di battaglia di una formazione organizzata, come capacità di indirizzo della battaglia di classe. Il Partito è «ovunque e sempre senza eccezioni» un organo di combattimento della classe. La sua azione in seno alla classe per indirizzarne e condurne il combattimento, a qualunque livello esso si trovi a svolgere, è inscindibile – nel tempo e nello spazio – dal possesso della coscienza teorica, della capacità di spiegazione dei fatti sociali, che è l’arma formidabile dell’azione stessa. Conoscere serve al Partito per agire, per combattere nel vivo della lotta sociale, non certo per creare dei buoni intellettuali. Uccide il Partito chi separa queste funzioni che vivono in stretto collegamento e in precisa simbiosi l’una con l’altra: la capacità di interpretazione dei fatti e di previsione secondo la invariante dottrina, l’azione pratica del partito di indirizzo e di guida della lotta sociale, l’organizzazione sempre più vasta e salda dell’organo di combattimento.

Perché la base dello scontro tra le classi non è la coscienza, tanto meno quella individuale, ma le forze materiali, i loro rapporti reciproci, la loro azione. Sono le contraddizioni materiali della società che spingono le classi ad affrontarsi, e quanto più lo scontro è esteso e profondo, irriconciliabile e irrisolvibile, più si alimenta di questa linfa materiale la coscienza collettiva della classe, cioè il suo Partito.

Ecco perché, dall’altro lato, i marxisti sono sempre stati contro la scissione degli organismi economici che stavano sul terreno della lotta di classe, anche quando questi sono stati diretti e influenzati da direttive contrastanti con le nostre. Quanto più è vasta l’azione di classe, cioè l’azione del proletariato sul terreno economico, tanto più questa azione è suscettibile di indirizzarsi nel senso indicato dal Partito. Ma il Partito non guida la classe perché le insegna la verità rivoluzionaria, non conquista la classe perché dimostra teoricamente, al cervello dei proletari, che il comunismo è l’unica possibile uscita dalle contraddizioni della società presente.

Al contrario, il Partito conquista la classe perché è capace, sulla base della sua visione totale e generale, di definire un indirizzo di azione pratica, nel vivo delle lotte operaie, che distingue materialmente il Partito da tutte le altre tendenze politiche, che è capace di presentare il partito come l’unico organo che può dirigere gli sforzi della classe verso un fine unico, che corrisponde agli interessi degli operai stessi. In sintesi, fra la coscienza del Partito e il movimento della classe sta un termine ineliminabile: l’azione pratica del Partito, l’intervento del Partito nelle battaglie, anche limitate, che i proletari conducono per le loro esigenze, la dimostrazione pratica che i comunisti sono «i migliori compagni di lotta di tutti i proletari».

Eliminato questo tramite, questo elemento pratico, e il Partito non esiste più: non esiste più perché non è più un organo di combattimento e di battaglia, ma una accolta di intellettuali che guardano dall’alto la misera realtà quotidiana, la miseria del proletariato che “sciupa” le sue energie nella lotta “per il pisciatoio di fabbrica”, quel proletariato al quale il piccolo cenacolo di marxologhi si accosta per moralizzarlo, per sussurrargli all’orecchio che, in fondo, esistono ben altre ragioni per lottare, risolvendo così in un problema di comprensione e di coscienza quello che è un problema di forza. Negate questa necessità del Partito e avrete distrutto il Partito in quanto tale, compreso la sua coscienza teorica, che non può sussistere se non come arma di un organo collettivo di azione e di combattimento.


15. IMPORTAZIONE DELLA COSCIENZA DEL PARTITO NELLA CLASSE

Non si tratta di un effetto di ordine pedagogico, e noi della Sinistra siamo sempre stati anti-culturalisti. La difesa e la restaurazione contro ogni deformazione della teoria del Partito, il suo lavoro di propaganda e di proselitismo non può che presentarsi integrato costantemente alla partecipazione e all’intervento del Partito nelle lotte che i proletari conducono quotidianamente contro il capitale. Intervento e partecipazione che non è soltanto di propaganda delle posizioni del Partito, ma è di indirizzo dell’azione proletaria, di incitamento e di incoraggiamento ad essa, di definizione di un indirizzo di azione che si contrappone a tutti gli altri e che permette ai proletari in lotta di riconoscere praticamente il Partito. Si tratta di elementi che devono andare insieme, nella consapevolezza del modo dialettico di formarsi della coscienza di classe. Questo consiste nel fatto che i proletari spinti a lottare vedono nel Partito Comunista e nei proletari comunisti i loro migliori compagni di lotta, quelli che stanno in prima fila nelle loro battaglie, quelli che hanno un indirizzo di azione più chiaro e più adeguato alla conduzione della lotta stessa. Di conseguenza si stabilisce fra la massa proletaria e l’organo combattente – il Partito – un rapporto di fiducia fondato sull’esperienza stessa dei proletari, i quali materialmente sono condotti a sperimentare che solo il partito comunista è quello che sta alla testa delle loro lotte, quello che non tradisce, quello che non abbandona i proletari.

Fallisce in questo compito, che solo è in grado di stabilire il collegamento fra partito e classe, sia l’atteggiamento che vede l’intervento nelle lotte proletarie come di ordine propagandistico (le lotte proletarie permettono agli operai di meglio comprendere i principi del partito), sia l’atteggiamento che “si mette al servizio” delle lotte stesse, riducendo la sua funzione a quella di un appoggio ai proletari in lotta, a una pura e semplice “esaltazione” delle loro lotte. La fisionomia del partito deve spiccare nelle lotte proletarie: è il campo naturale in cui essa può emergere in contrapposizione a quella di qualsiasi altro partito politico, ma né perché si predicano gli “eterni principi”, né perché ci si sfiata a gridare evviva ai proletari in lotta, ma perché il partito è l’unico capace di indirizzare praticamente i proletari, di indicare loro la strada che devono percorrere e gli ostacoli che su di essa incontrano, di far toccare loro con mano che il seguire qualunque altra strada porta necessariamente alla sconfitta delle forze proletarie. È in questa capacità di raccordare qualsiasi movimento, anche limitato della classe, alle finalità generali e universali della classe per mezzo del suo indirizzo pratico di azione che il partito si distingue da tutti gli altri agli occhi anche degli ultimi dei proletari. È questo l’intervento del partito nelle lotte proletarie: è questa l’azione sindacale del partito.


16. SOLENNE ERRORE E DEVIAZIONE PEDAGOGICA

Ma questa nostra visione discende dal considerare il partito, sempre e dovunque, organo di combattimento che inquadra teoria e visione corretta del processo storico, come è capace di concepire la dialettica del formarsi della coscienza di classe. Si esce da questo campo e dal campo della rivoluzione quando se ne presuppone l’acquisizione individuale, intellettuale, cerebrale, e la trasmissione per la stessa via. Allora viene deformato non solo il metodo di intervento del partito fra i proletari, ma anche il partito stesso, nella deduzione che sia più vicino al marxismo e al partito l’intellettuale politicizzato e “impegnato” piuttosto che l’operaio analfabeta, che non si occupa di politica. In fondo perché non dovrebbe essere più facile, testi alla mano, salda preparazione dottrinaria in testa, convincere delle “verità marxiste” un giovane intellettuale che conosce Marx, anche se arriva a qualche conclusione sbagliata, piuttosto che un operaio che non riesce a vedere al di là della difesa del proprio pane quotidiano?

Come il partito è in grado di comprendere il marxismo soltanto collettivamente, e perciò nella sua azione organizzata, nel suo lavoro, così il proletario analfabeta perviene al marxismo per via non cerebrale, ma spinto dalla sua lotta, dai suoi interessi materiali, dal suo istinto e, se vogliamo, dalla sua fede. Ed è più vicino al partito, tesi che ormai nel campo della Sinistra dovrebbe essere definitiva, l’operaio ignorante, ma capace di combattere per un pezzo di pane per sé e per la propria famiglia, del gruppettaro figlio delle mezze classi con il cervello pieno di un “marxismo” ma organicamente incapace di una vita che superi le aule delle università borghesi. La piccola borghesia intellettuale, anche molti figli di operai svirilizzati dalla cultura borghese, ha saputo produrre il semi-marxismo ed il semi-rivoluzionarismo degli attuali gruppuscoli extra parlamentari. Fra essi e il comunismo c’è un abisso, non solo di nozioni teoriche ma di interessi materiali di classe.

Il proletariato, la massa dei lavoratori salariati, costretti a combattere per un pezzo di pane e decisi finalmente a farlo, fornirà al partito gran numero di combattenti. La parte migliore dei lavoratori aderirà al partito non con il cervello e non dalle università, ma per quanto appreso con i muscoli e con il cuore, nella lotta fisica di classe contro classe, di violenza contro violenza, di dolore contro dolore, dove la complessa e “incomprensibile” verità marxista si presenterà come la “elementare verità” della loro esistenza, della loro battaglia per la vita. «Tutti sappiamo che quando la situazione si radicalizzerà elementi innumeri si schiereranno con noi in una via immediata e spontanea e senza il menomo corso di studio che possa scimmiottare qualificazioni scolastiche».

Il trattare della pur limitata attività pratica del partito ci porta, come si vede, a ribadire tutti i cardini delle posizioni comuniste: è inevitabile perché il partito di classe deve essere in grado di impostare l’indirizzo della sua azione pratica, il suo comportamento in essa in maniera coerente a ciò che esso è, alla sua essenza.

Tutto quello che abbiamo detto ci conduce a una considerazione la cui conferma ritroviamo in tutte le manifestazioni della vita del partito e che deve essere presente ai giovani militanti come ai proletari che ci leggono e che seguono la nostra attività.

Nel 1926 si apriva un ciclo sfavorevole alla lotta rivoluzionaria di classe, ciclo prevedibile non di breve durata per il congiungersi di una serie spaventosa di elementi negativi che la Sinistra rimase da sola a denunciare. In questa catastrofe del movimento rivoluzionario mondiale le forze che si attestavano sulle basi della Sinistra non intesero mai la salvaguardia e la difesa dei principi del partito come un fatto intellettuale. Esse passarono di generazione in generazione non solo una teoria, non solo un insieme di tesi e testi, ma una tradizione e un metodo di partito.

Nel restringimento dei suoi effettivi che la potenza controrivoluzionaria operava, il partito non rinunziò mai ad alcuno dei suoi compiti e, mentre ribadiva le verità della scienza marxista in faccia al nemico vittorioso, svolgeva questo stesso compito come battaglia, non come accademia e opera di studio, e lo svolgeva nello stesso tempo in cui, con le sue pur deboli forze, non rinunziava ad entrare in ogni spiraglio in ogni frattura che la società borghese potesse offrire. Non rinunziava ad indirizzare e incoraggiare i moti proletari spontanei, all’azione nei sindacati e negli organismi operai per salvaguardarvi e difendervi una tradizione di comportamento genuinamente proletarai, per chiamare gli operai a resistere allo svilimento e alla deviazione delle proprie lotte e delle proprie organizzazioni anche quando i rapporti di forza erano di uno a diecimila e qualsiasi successo era escluso in partenza.

La generazione che aveva vissuto Livorno e il primo dopoguerra intese trasmettere alle nuove generazioni il partito, unico in teoria e in prassi, e lo fece sempre non disgiunto dalla battaglia e dal combattimento fisico. In questo intendiamo il piccolo raggruppamento attuale come il partito e lo contrapponiamo a tutti gli altri. È in questo piccolo raggruppamento che si è condensata, sotto i colpi della controrivoluzione, una tradizione di teoria, di prassi, di metodi di lavoro, di organizzazione e di esperienza che, messi insieme, costituisce e distingue il partito di classe.

Si tratta di ben altro che di “apporti” o “contributi” della Sinistra! Non si tratta di ricerche filosofiche, nello stile delle accademie borghesi. Si è trattato e si tratta di una trincea di combattimento contrapposta a tutte le altre, in teoria ed in prassi. Si tratta del partito.

Tutte le nostre tesi dicono questo: chi ha smarrito la capacità di comprenderlo è perché si trova nei confronti del partito su altra sponda. Come ci sia finito e quale sia il suo nome (e ne conosciamo di onesti e di valorosi) non interessa a nessuno.

17. TEORIA E AZIONE

La serie di articoli che andiamo pubblicando sul giornale ci ha condotto a ribadire la seguente tesi fondamentale per il partito marxista.

Netta distinzione fra partito, classe, azione della classe, che si esprime nei suoi organismi immediati, sia a carattere economico-sindacale sia, in determinati momenti storici, come armamento del proletariato in vista della conquista del potere politico (soviet ecc.).

Siamo sempre stati e restiamo sostenitori della seguente tesi: l’azione proletaria si esprime sul terreno materiale delle rivendicazioni economiche, e perciò in organismi la cui caratteristica è di essere adatti alla conduzione di questa azione (organismi economici che comprendono tutti i proletari decisi a battersi per la difesa del pane, organismi la cui caratteristica di classe consiste nel comprendere i soli operai ed esclusione dei membri delle altre classi sociali, e nell’alta partecipazione numerica dei proletari). In determinati momenti critici – nei quali l’azione in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro assume oggettivamente, cioè per la materiale causa della profondità delle contraddizioni capitalistiche e dell’impossibilità del sistema capitalistico di mantenere agli operai le minime condizioni di esistenza, una estensione e una radicalità che diviene lotta armata e generale – questi organismi possono divenire organizzazioni degli operai armate e tendenti alla conquista del potere politico, oppure possono sorgere, accanto agli organismi operai economici, altri organismi del proletariato in armi (soviet come in Russia), i quali sono però caratterizzati sempre dal loro essere operai, cioè da un fatto materiale di appartenenza a una determinata classe sociale, non da un dato di coscienza.

La coscienza della classe si esprime infatti soltanto nel partito politico, cioè in un organo definito, non dalla posizione sociale dei suoi membri, bensì dalle sue finalità: nel partito si condensa, al di sopra delle vicende della lotta sociale e perciò del manifestarsi, scomparire, corrompersi degli organismi operai immediati, la coscienza della classe proletaria. La classe esprime una coscienza in quanto esprime il partito, cioè l’idea di una finalità generale interessante non singoli reparti, gruppi, categorie della classe. La nozione di questa finalità, comune a tutta la classe, al proletario della grande azienda e della piccola officina, al metalmeccanico e al tessile, al ferroviere ed al povero travet impiegato, all’operaio inglese o cinese, può manifestarsi solo in una minoranza di elementi della classe stessa e in un organo particolare rivolto a quella finalità e legato, per mille fili, ai movimenti parziali dei proletari, che si tratta di integrare e di collegare.

La coscienza della classe operaia, che è dato di scienza e di analisi teorica, si esprime perciò solo nell’organo partito, cioè nell’organo che ha la visione della identità degli interessi di tutti i proletari al di sopra delle distinzioni di spazio, di categoria, di tempo. Il compito del partito si presenta perciò non come negazione dei moti anche minimi della classe, ma come “integrazione e superamento” di essi nella nozione dell’interesse generale e storico di tutta la classe proletaria.

La integrazione delle lotte operaie costituisce anche la premessa per il loro superamento. La coscienza di questo superamento può essere portata solo dall’esterno, da un organo che abbia una visione globale e generale della lotta di classe, cioè da visione storica.

Fin dal Manifesto del 1848 i marxisti difendono «la organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico», esprimendo che solo per il tramite dell’organo partito i proletari possono agire come una classe, cioè con unicità di intenti e di interessi. E il Manifesto aggiunge: «In che rapporto stanno i comunisti con i proletari in genere? I comunisti non sono un partito particolare contrapposto agli altri partiti operai. Essi non hanno interessi diversi da quelli di tutto il proletariato». C’erano infatti, ai tempi del Manifesto, organismi politici operai che si proponevano l’abbattimento violento del potere borghese, la conquista del potere politico da parte del proletariato. Di fronte a questi organismi i comunisti, siccome non hanno interessi diversi da quelli di tutto il proletariato, non si contrappongono come partito particolare, in base a determinati principi teorici o filosofici che siano loro propri, cioè in base a proprie idee particolari. «Il fine immediato dei comunisti è identico a quello di tutti gli altri partiti proletari: 1° (ci permettiamo la numerazione dei capisaldi che distinguono gli “altri partiti operai”) Costituzione del proletariato in classe (quindi separazione degli interessi immediati e generali della classe operaia da quelli del “popolo”, della “nazione”, della “società”, cioè delle altre classi). 2) Abbattimento del dominio della borghesia (quindi identificazione dello Stato democratico parlamentare come “dominio della borghesia”, niente democrazia, niente Resistenza, niente Stato di tutti i cittadini). 3° Conquista del potere politico da parte del proletariato (quindi sostituzione della macchina statale borghese, con una macchina statale proletaria, dominio di classe, ma della classe proletaria, niente diritti politici alle classi possidenti e non operaie).

Di fronte a simili “partiti operai” i comunisti non si contrappongono come un altro partito, perché «le affermazioni teoriche dei comunisti non si basano assolutamente su idee, su principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel riformatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti reali di un’attuale lotta di classi, di un movimento storico che si sta svolgendo sotto i nostri occhi».

Di conseguenza i comunisti non hanno da contrapporsi ai proletari che vogliono diventare una classe, abbattere il dominio borghese, stabilire il dominio proletario. Al contrario essi «non avanzano principi particolari sui quali intendano modellare il movimento proletario».

È una proposta di “fronte unico politico” a tutti i partiti che si dicono proletari? Assolutamente no! Anzi, i comunisti «si differenziano dagli altri partiti proletari per il solo fatto che da un lato nelle varie lotte nazionali dei proletari, danno risalto e fanno valere quegli interessi comuni di tutto il proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità, mentre d’altro lato, nelle diverse fasi di sviluppo attraversate dalla lotta tra proletariato e borghesia, sostengono sempre l’interesse del movimento nella sua totalità. In pratica, dunque, i comunisti sono la parte più energica, che sempre si spinge lontano, dei partiti operai di tutti i paesi. Sotto l’aspetto teorico essi hanno il vantaggio, nei confronti della rimanente massa del proletariato, di penetrare le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario».

Marx ed Engels, cioè il Partito comunista del 1848, ci tenevano a stabilire una cosa essenziale, essenziale anche per noi oggi: che l’organizzazione di cui stavano stendendo il programma, il manifesto, non era una setta che, scoperto un nuovo vero, intendesse dire ai proletari combattenti contro lo schiacciamento capitalistico di tutti i giorni, di tutte le aziende: cessate di combattere per i vostri miseri obbiettivi quotidiani e meschini; sostituite ad essi queste altre idealità che noi vi proclamiamo; solo per esse vale la pena di spargere il proprio sangue. Ci tenevano a mettere in chiaro che il partito comunista “non ha interessi diversi da quelli di tutto il proletariato” cioè, in altri termini, i suoi interessi sono gli stessi della massa dei proletari che scendono in battaglia per la difesa della propria vita e per la liberazione dalle condizioni disumane e bestiali in cui la costringe il sistema capitalistico.

Il partito comunista «non avanza principi particolari sui quali intenda modellare il movimento proletario». Esso esprime soltanto le condizioni generali della lotta proletaria che si svolge sotto i nostri occhi, le sue necessità, i suoi bisogni, lo sbocco a cui essa inevitabilmente deve tendere per realizzarsi, per non essere sconfitta: «Le affermazioni teoriche dei comunisti sono solamente espressioni generali dei rapporti reali di un’attuale lotta di classi, di un movimento storico che si sta svolgendo sotto i nostri occhi».

Il partito comunista non è una setta caratterizzata dalla adesione a principi astratti, filosofici; è il partito di classe, della classe in lotta, e lo è in quanto esprime la coscienza dei termini generali della lotta stessa, in quanto riesce ad essere «l’espressione generale dei rapporti reali di un’attuale lotta fra le classi… che si svolge sotto i nostri occhi». I comunisti non hanno il compito di deviare, in base a loro idee, il movimento, l’azione di classe dai suoi obbiettivi, dal suo svolgimento naturale. Hanno il compito di indirizzarla, dimostrandone i termini, i rapporti di forze, il campo di battaglia, lo schieramento effettivo del nemico, che essa deve sconfiggere, o rassegnarsi a perire.

Di fronte a un proletariato le cui energie erano tese alla propria liberazione come classe, e che sapeva ingaggiare la battaglia su questo terreno, il partito comunista non si presentava come un elemento estraneo e contrapposto agli sforzi proletari: esso «ha il vantaggio, nei confronti della rimanente massa del proletariato, di penetrare le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario». Ha il “vantaggio”, termine che nega disprezzo verso la massa, dei “migliori compagni di lotta”.

L’indirizzo tattico del partito non consiste nella astuta scoperta di mezzi o di obbiettivi, magari intermedi. Nemmeno ci serve un capo geniale che ci inventi dei buoni espedienti. L’indirizzo tattico discende “dai rapporti reali dell’attuale lotta fra le classi”. Non c’è niente da scoprire e niente da inventare, c’è solo da capire.

La III Internazionale ebbe un atteggiamento che la svilisce oggi a molti scopritori di “fatti nuovi” e di “nuove situazioni”. Dovendo stabilire nel 1920 i suoi Statuti si rifece integralmente a quelli della I Internazionale del 1864. Non lo fece per fare intendere ai socialdemocratici, agli anarchici, ai sindacalisti, che stavano andavando per la loro strada, perché erano costretti ad andarci, “torniamo alle origini comuni, discutiamo!”. Lo fece per affermare che su quella strada segnata, la strada unica della emancipazione proletaria, c’erano rimasti solo loro, i comunisti riuniti a Mosca in quell’anno e che solo essi costituivano il partito del proletariato combattente.

I nuovi Statuti ripetono: «Considerando: che l’emancipazione economica della classe operaia è dappertutto il fine essenziale al quale ogni movimento proletario deve essere subordinato come mezzo; che ogni sforzo in vista di raggiungere questo grande obbiettivo è fallito a seguito della mancanza di solidarietà fra i lavoratori delle diverse branche di lavoro in ciascun paese e della alleanza fraterna fra i lavoratori dei diversi paesi; che l’emancipazione non è affatto un problema locale o nazionale, ma un problema sociale che abbraccia tutti i paesi dove esiste il regime sociale moderno e la cui soluzione dipende dalla collaborazione teorica e pratica dei paesi più avanzati; che il rinnovarsi attuale simultaneo del movimento operaio nei paesi industriali dell’Europa sveglia in noi da un lato nuove speranze, ma dall’altro ci dà un avvertimento solenne a non ricadere nei vecchi errori e ci chiama al coordinamento immediato del movimento che fino al momento presente non è stato per nulla coerente… la III Internazionale ha dichiarato solennemente in faccia al mondo che essa si incarica di proseguire e portare a compimento la grande opera intrapresa dalla I Internazionale dei Lavoratori».

Il partito è l’organo materiale e ideale di collegamento fra le lotte proletarie immediate che senza di esso rimangono necessariamente slegate nel tempo, nello spazio, nelle finalità. Rimangono “incoscienti”, cioè non possono e non potranno mai, nel loro ambito ristretto, della fabbrica, della categoria, della nazione esprimere una coscienza comune a tutta la classe proletaria. Per questa “coscienza di classe” deve esistere un organo particolare di collegamento, un organo né della fabbrica, né della categoria, né della nazione ma semplicemente della classe: il partito politico.

 Quest’organo non si caratterizza per “idee particolari” di ordine filosofico “scoperte da questo o quel riformatore del mondo”, ma per essere il vertice della piramide in cui si esprime la classe e la sua lotta contro il dominio capitalistico, l’anello di congiunzione che unifica tutte le singole lotte che il proletariato conduce.

Perché? Per dati di fatto altrettanto materiali: 1) Perché impugna una teoria interpretativa che gli permette di leggere i fatti sociali e storici e di conseguenza riesce a spiegarsi il comportamento di tutte le classi sociali “nei loro rapporti reciproci e nei loro rapporti con lo Stato”, cosa in cui consiste la coscienza politica. 2) Perché il suo organamento materiale non è limitato nello spazio, non è chiuso nella fabbrica, nella professione, nella categoria, nella nazione. (Nostra polemica contro la cosiddetta bolscevizzazione del 1924-26). 3) Perché la sua organizzazione e la sua azione non è limitata, né discontinua nel tempo, ma allaccia, al di sopra del tempo, la lotta e le esperienze di lotta delle singole generazioni operaie (le mille trappole che la borghesia ha saputo tendere agli operai di cinquantanni fa non sono patrimonio di esperienza dei giovani lavoratori di oggi né possono esserlo. Sono patrimonio dell’organo politico di classe che possiede una chiave di lettura scientifica e una continuità di azione la quale lega gli avvenimenti di cinquantanni fa a quelli di oggi).

Il partito farà in modo che la spinta degli operai non si esaurisca con il venir meno delle ragioni immediate che l’hanno provocata indicando ad essi la necessità dell’organizzazione permanente sul terreno economico per poter reagire costantemente alle pressioni padronali ed arruolando nel partito gli elementi “i quali durante la lotta stessa si saranno resi maturi per questo”. «Come è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo, così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, per essere sostituita da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi» (Tesi caratteristiche dal partito, 1952).


18. CONTRO LA SCISSIONE DEI SINDACATI

Il fatto che in Italia nei primi anni del Novecento la reazione alla politica legalitaria ed elettoralesca della destra socialista si esprimesse, oltre che nella selezione di una rigorosa corrente di sinistra marxista, nel risorgere fra i proletari di tendenze sindacaliste e anarchiche fu dato di debolezza del movimento rivoluzionario del proletariato italiano, che esso pagò con la sconfitta negli anni 1920-22, benché il partito marxista facesse di tutto per liberare i proletari da quelle illusioni. Lo stesso in Germania, quando gran numero di proletari si lasciarono trascinare sulle secche dell’operaismo pagandone uno scotto mondiale che dura fino ad oggi.

Da Radek, L’azione dei comunisti nei sindacati, in “L’Ordine Nuovo” del 23 maggio 1921)
     «Un altro gruppo di compagni, che riconoscono bene che chi si ritiene capace di rovesciare il mondo capitalista non deve disperare di poter abbattere anche uno dei suoi puntelli, dichiara che “la vittoria sui dirigenti sindacali sarebbe bensì possibile, ma che la lotta durerebbe troppo tempo, mentre la rivoluzione richiede che la direzione dei sindacati si trovi già fin da ora nelle nostre mani. Perciò bisogna provocare la scissione dei vecchi sindacati e formare colle masse che ci seguono nuove organizzazioni sindacali che diverranno il fulcro nella lotta nelle industrie e nelle categorie”. Da “questa idea” che manchi il tempo traspare la preoccupazione per il dispendio di forze che costerebbe la lotta contro i vecchi sistemi e vecchi dirigenti e la volontà di evitare questo impiego di energie.
     «Abbiamo qui davanti a noi un caso di impazienza rivoluzionaria che vorrebbe fissare alla rivoluzione sul terreno sindacale una scadenza, e che dichiara di non avere il tempo di attendere il maturarsi della premessa principale di ogni rivoluzione, la volontà di lotta delle grandi masse. Creare nuovi sindacati che temprino più rapidamente questa volontà è illusorio. La rivoluzione non si anticipa di un solo giorno, per quanto io sappia non esiste un libro di medicina che fissi il periodo di gestazione della società capitalista. Insomma, il risultato di questa fretta non sarebbe altro che un aborto sindacale.
     «E ciò per le seguenti ragioni: le masse operaie affluiscono nei sindacati a milioni, non perché sui loro locali sta scritto la parola Sindacato, ma perché esse desiderano entrare nelle grandi organizzazioni già esistenti, ritenendole organizzazioni di lotta. La scissione non attaccherebbe presso queste masse poiché esse vedrebbero con ciò sfuggire lo scopo principale della loro entrata nelle organizzazioni: l’unione. La tesi secessionista verrebbe seguita soltanto dagli operai già comunisti e noi otterremmo in questo modo organizzazioni sindacali comuniste, quindi una seconda edizione delle nostre organizzazioni politiche, organizzazioni di una piccola avanguardia rivoluzionaria, capaci di formare un nucleo di azione e di propaganda ma non un organismo di masse. Ma essendo una organizzazione economica senza una grande massa un non senso la tesi secessionista sul terreno sindacale è altrettanto reazionaria quanto fu rivoluzionaria nel campo politico.
     La lotta di classe sul terreno economico infuria malgrado tutte le male arti di Buozzi e C. e va trasformandosi in lotta civile. Ora si tratta di raccogliere le forze che avanzano contro il capitalismo e non di scinderle.

(...)

Qual è la via che noi dobbiamo seguire per raggiungere questo fine? Noi dobbiamo lottare nei sindacati locali senza alcuna intenzione di scissione per le azioni economiche sostanzialmente necessarie. I funzionari sindacali che si oppongono alle azioni richieste dalla massa, dando prova del loro carattere controrivoluzionario dobbiamo metterli alla porta. Non bisogna tenere alcun conto dei divieti degli organismi centrali controrivoluzonari quando si è impegnati in azioni che toccano la massa da vicino. Se la direzione provvede all’espulsione della organizzazione locale bisogna dirigerla indipendentemente e cercare un contatto con altre organizzazioni colpite dalla stessa sorte, non senza opporsi contro l’espulsione nel Congresso dell’intero sindacato. La massa vedrà in questo modo che non si tratta di antagonismi politici “introdotti dal di fuori”, ma dell’adempimento di compiti per i quali essa ha aderito ai sindacati, ed una scissione provocata dai dirigenti li isolerà dalle masse, mentre una scissione provocata da noi determinerebbe il nostro isolamento. Una lotta energica condotta in questo modo infonderà nei sindacati un nuovo spirito, li adatterà ai nuovi compiti, educherà i nuovi dirigenti e promuoverà la lotta rivoluzionaria.

In che misura i sindacati potranno trasformarsi da organizzazioni per mestiere in organizzazioni per industria lo dimostrerà la pratica. La propaganda per le organizzazioni d’industria è un tentativo dottrinario di trasportare gli «Industrial Workers of The World» in Germania; si dimentica completamente che la causa per cui queste organizzazioni hanno in America la forma di Consigli di fabbrica, consiste nel fatto che, dato il carattere finora controrivoluzionario degli operai inglesi in America, organizzati nella Federation of Labour, gli I.W.W. comprendevano generalmente soltanto gli operai stranieri, non qualificati, e trovantisi tutti sullo stesso basso livello di salari. Finché sussisteranno le grandi differenze nella retribuzione degli operai di differenti categorie, occupati nella stessa azienda, sarà oltremodo difficile indurre gli operai a rinunciare ai loro interessi speciali di categoria ed organizzarsi in sindacati per industria. L’esempio della Russia dimostra che perfino dopo la conquista del potere gli operai non rinunciano subito ai loro interessi di categoria. Per combattere lo spirito corporativista e per raggiungere l’unione di tutti gli operai dell’azienda i sindacati, se essi sono veramente animati di spirito rivoluzionario, troveranno ben presto le forme più adatte.

Ciò non può essere opera di un partito politico che deve essere, col suo programma e la sua ossatura teorica, bensì l’anima dei sindacati ma non può avere la capacità di dettare dal tavolino verde le riforme del movimento sindacale, così complicato e dipendente dalle condizioni concrete della lotta economica».

In linea con le tesi successive della nostra organizzazione. Dalle «Tesi caratteristiche» del 1945:

«Punto 7 – Il partito non adotta mai il metodo di formare organizzazioni economiche parziali comprendenti i soli lavoratori che accettano i principi e la direzione del partito comunista. Ma il partito riconosce senza riserve che non solo la situazione che precede la lotta insurrezionale, ma anche ogni fase di deciso incremento dell’influenza del partito e la classe si estenda lo strato di organizzazioni a fine economico immediato e con alta partecipazione numerica, in seno alle quali vi sia una rete emanante dal partito (nuclei, gruppi e frazione comunista sindacale). Compito del partito nei periodi sfavorevoli e di passività della classe proletaria è di prevedere le forme ed incoraggiare l’apparizione delle organizzazioni a fine economico per la lotta immediata, che nell’avvenire potranno assumere anche aspetti del tutto nuovi, dopo i tipi ben noti di lega di mestiere, sindacato di industria, consiglio di azienda e così via. Il partito incoraggia sempre le forme di organizzazione che facilitano il contatto e la comune azione tra lavoratori di varie località e di varia specialità professionale, respingendo le forme chiuse».
19. NEL PIENO DELLA DEPRESSIONE

Ribaditi i cardini fondamentali della nostra prospettiva e dell’atteggiamento del partito nei confronti del movimento della classe operaia sul terreno economico, possiamo addentrarci nell’esame della situazione del secondo dopoguerra ed attuale per delinearvi le linee fondamentali dell’azione del pur piccolo partito comunista di oggi.

La limitatissima estensione delle forze organizzate del partito, l’assenza quasi assoluta di legami fra esso e la classe operaia non ci spinge a dichiarare modificati i termini in cui si svolgerà la lotta di classe e la sua ripresa rispetto alle fasi storiche trascorse, sulla cui esperienza si è costruita la visione marxista del processo rivoluzionario, caratteristica ed originale. Da una parte questo restringimento quantitativo anche massimo delle sue forze non spinge il partito a rinunziare all’insieme dei suoi compiti pratici e a relegarsi nella disfattista visione di se stesso come una conventicola intellettuale dedita alla manutenzione “filosofica” di una teoria, fosse pure essa la teoria di Marx e di Engels.

È dalle nostre tesi caratteristiche del 1952 che andiamo ribadendo questo aspetto. «Oggi, nel pieno della depressione, pur restringendosi di molto le possibilità d’azione, tuttavia il partito, seguendo la tradizione rivoluzionaria, non intende rompere la linea storica della preparazione di una futura ripresa in grande del moto di classe, che faccia propri tutti i risultati delle esperienze passate. Alla restrizione dell’attività pratica non segue la rinuncia dei presupposti rivoluzionari. Il partito riconosce che la restrizione di certi settori è quantitativamente accentuata ma non per questo viene mutato il complesso degli aspetti della sua attività, né vi rinuncia espressamente (…) Con questa giusta valutazione rivoluzionaria dei compiti odierni, il partito, sebbene poco numeroso e poco collegato alla massa del proletariato e sebbene sempre geloso del compito teorico come compito di primo piano, rifiuta assolutamente di essere considerato un’accolta di pensatori o di semplici studiosi alla ricerca di nuovi veri o che abbiano smarrito il vero di ieri considerandolo insufficiente (…) Gli eventi, non la volontà o la decisione degli uomini, determinano così anche il settore di penetrazione delle grandi masse, limitandolo ad un piccolo angolo dell’attività complessiva. Tuttavia il partito non perde occasione per entrare in ogni frattura, in ogni spiraglio, sapendo bene che non si avrà la ripresa se non dopo che questo settore si sarà grandemente ampliato e divenuto dominante».

Il partito è l’organo di battaglia politica della classe il quale si serve della teoria come di una formidabile e insostituibile arma. Il suo possesso e apprendimento è fatto di una collettività, l’organizzazione militante e agente del partito.

Citiamo dai nostri testi la definizione di questo concetto. Tesi del 1952, punto 5: «Il partito non solo non comprende nelle sue file tutti gli individui che compongono la classe proletaria, ma nemmeno la maggioranza, bensì quella minoranza che acquista la preparazione e maturità collettiva, teorica e di azione corrispondente alla visione generale e finale del movimento storico, in tutto il mondo e in tutto il corso che va dal formarsi del proletariato alla sua vittoria rivoluzionaria. La questione della coscienza individuale non è la base della formazione del partito, non solo ciascun proletario non può essere cosciente e tanto meno culturalmente padrone della dottrina di classe, ma nemmeno ciascun militante preso a sé, e tale garanzia non è data nemmeno dai capi. Essa consiste solo nella organica unità del partito. Come quindi è respinta ogni concezione di azione individuale o di azione di una massa non legata da preciso tessuto organizzativo così lo è quella del partito come raggruppamento di sapienti, di illuminati o di coscienti, per essere sostituita da quella di un tessuto e di un sistema che nel seno della classe proletaria ha organicamente la funzione di esplicarne il compito rivoluzionario in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi».


20. PARTITO STORICO E PARTITO FORMALE

La classe ha bisogno di un sistema e di un tessuto, cioè di un organo che, nel suo seno, cioè nelle sue lotte, nelle sue manifestazioni anche minime, ha organicamente il compito non di insegnare ai proletari il marxismo, come se presupponesse che più essi lo imparano meno vi sarebbe bisogno dell’organo speciale (è tesi di nostri pretesi affini, i più affini di tutti!), ma di esplicare il compito rivoluzionario della classe in tutti i suoi aspetti e in tutte le complesse fasi.

Questo organo impugna teoria e organizzazione collettivamente e come collettività operante le possiede. In quanto esplica collettivamente il compito rivoluzionario, cioè in quanto agisce come organo rivoluzionario della classe, la collettività partito possiede e conosce, impara ed apprende il suo stesso patrimonio dottrinale e teorico. Enuclea dal suo seno, in quanto esplica collettivamente la funzione rivoluzionaria, i suoi organi di azione adatti alle varie funzioni: sia il potenziamento della coscienza teorica sia della organizzazione hanno la base naturale, il loro ossigeno e linfa vitale nell’azione collettiva del partito, nella collettività militante in seno alla classe operaia.

Scrivemmo sempre nelle Tesi del 1952: «Il ciclo delle lotte fortunate e delle sconfitte anche più disastrose e delle onde opportuniste in cui il movimento rivoluzionario soggiace all’influenza della classe nemica, rappresentano un campo vasto di esperienze positive, traverso cui si sviluppa la maturità della rivoluzione. Le riprese dopo le sconfitte sono lunghe e difficili; in esse il movimento, malgrado non appaia alla superficie degli eventi politici, non spezza il suo filo, ma continua, cristallizzato in una avanguardia ristretta, l’esigenza rivoluzionaria di classe».

«Dato che il carattere di degenerazione del complesso sociale si concentra nella falsificazione e nella distruzione della teoria e della sana dottrina, è chiaro che il piccolo partito di oggi ha un carattere preminente di restaurazione dei principi di valore dottrinale, e purtroppo manca dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della prima guerra. Tuttavia, non per questo possiamo calare una barriera fra teoria ed azione pratica; poiché oltre un certo limite distruggeremo noi stessi e tutte le nostre basi di principio. Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono.

«9) Tutto ciò andrebbe svolto molto più lungamente, ma si può pervenire a una conclusione circa la struttura organizzativa del partito in un trapasso tanto difficile. Sarebbe errore fatale riguardarlo come divisibile in due gruppi: uno dedito allo studio e l’altro all’azione perché questa distinzione è mortale non solo per il corpo del partito, ma anche in riguardo ad un singolo militante.

«Il senso dell’unitarismo e del centralismo organico è che il partito sviluppa in sé gli organi atti a varie funzioni, che noi chiamiamo propaganda, proselitismo, organizzazione proletaria, lavoro sindacale, ecc. fino, domani, all’organizzazione armata, ma che nulla si deve concludere dal numero dei compagni che si pensa addetti a tali funzioni, perché in principio nessun compagno deve essere estraneo a nessuna di esse. È un incidente storico che in questa fase possano sembrare troppi i compagni dediti alla teoria e alla storia del movimento e pochi quelli già pronti all’azione. Soprattutto insensata sarebbe la ricerca del numero dei dediti all’una e all’altra manifestazione di energia»

Il partito tende a svolgere sempre tutte le sue funzioni di organo della rivoluzione proletaria, in termini e in proporzioni che non sono scelti ma imposti dai reali rapporti di forza, i quali determinano il perimetro organizzativo del partito, la ampiezza dell’arco di contatto con le grandi masse, la prevalenza perciò dell’aspetto teorico, pratico, organizzativo, militare dell’azione, senza che per questo nessuno dei compiti e degli aspetti di essa venga meno.

Il partito è “storico” in quanto l’organizzazione combattente, limitata o estesa che sia, poggia la sua azione in tutti i campi sulla “storia”, cioè sull’esperienza mondiale del proletariato rivoluzionario da un secolo ad oggi: le generazioni dei militanti rivoluzionari si succedono, ma devono poggiare la loro azione organizzata sulla base dell’esperienza delle generazioni passate e trasmettere questa esperienza alle generazioni future che verranno a schierarsi sulla trincea della rivoluzione. Di conseguenza è sempre necessaria l’azione di difesa e di restauro della teoria contro ogni deformazione, perché si tratta di mantenere intatta un’arma essenziale del combattimento e di trasmetterla integra alle future generazioni proletarie.

La prima deviazione, che chiameremo “da partito storico”, secondo cui acquisizione della teoria significa riempire il cervello dei militanti di una serie di nozioni, genera inevitabilmente la seconda, “da partito formale”, secondo la quale il partito, una volta compiuto quanto a sistemazione dottrinale e programmatica in una prima fase, deve essere ricostruito in un’altra quanto ad organizzazione ed azione pratica. Queste due collimanti bestemmie ne generano inevitabilmente altre: che la “preparazione teorica” sia demandata a forti intellettuali che sanno a menadito il “marxismo” e che, viceversa, il campo dell’azione pratica e della costruzione organizzativa sia dominio della “politique d’abord”, dei pratici, degli strateghi, dell’espedientismo tecnico. Passato il biennio di teoria i non bocciati in marxismo frequenterebbero un triennio di “pratica” e solo alla fine avrebbero la laurea in “partito rivoluzionario”.

 Al contrario, solo l’organismo collettivo che ha saputo poggiare tutta la sua azione sulla esperienza proletaria mondiale di un secolo, è predisposto a divenire il potente e formale organismo di combattimento di domani, proprio perché la base e l’essenza stessa della dottrina marxista è la soluzione della apparente contraddizione fra conoscenza teorica ed azione pratica. Questa contraddizione si risolve non con la volontà, ma nelle reali vicende della lotta di classe, le quali sanciscono con lezioni sanguinose la idoneità a dirigere il proletariato soltanto per quell’organo che avrà saputo organicamente, in ciascun momento della sua esistenza, combinare in sé e contenere le funzioni vitali di teoria, tattica, organizzazione, indirizzo politico, armamento pratico, e avrà saputo dimostrare che esse costituiscono fra di loro un nesso inscindibile, un blocco unico le cui componenti si influenzano a vicenda in modo dialettico e inestricabile, la cui somma è appunto un organismo vivente e operante: l’organismo partito.

Da dove il rafforzamento e il ritorno alla ribalta storica della potente organizzazione di combattimento, del partito “formale”? La nostra risposta è sempre stata chiara: dal ripresentarsi di un ciclo di acutizzazione della lotta proletaria di classe, generato dalle contraddizioni materiali del modo di produzione capitalistico, la cui espressione formidabile sarà il necessario ricostituirsi della rete degli organismi economici di classe adatti alla difesa del pane quotidiano e alimento di forze vive, di energia, di braccia, di cuori che questa lotta dei milioni di proletari sarà capace di apportare a quell’unico organo che avrà saputo mantenere il suo inflessibile indirizzo politico.

Abbiamo scritto a chiare lettere sempre: «Il partito non si rafforzerà in modo autonomo se non risorge la rete economico associativa del proletariato». Non si rafforzerà in modo autonomo è affermazione drastica e definitiva che dovrebbe togliere per sempre la voglia a chiunque di andare a cercare la garanzia del rafforzamento del partito su altri lidi e con altri espedienti. I termini della ripresa di classe sono due e inscindibili: un partito che abbia saputo mantenere inflessibile il suo indirizzo politico in tutti i campi della sua azione, per quanto limitata essa possa essere, un proletariato ritornato alla lotta per il pane e per la sopravvivenza fisica ed esprimente di nuovo dal suo seno le sue proprie organizzazioni per la lotta immediata, i suoi propri organismi sindacali di classe.

Se il secondo termine dovesse mancare, e non mancherà, è inutile cercare espedienti: non si avrà il rafforzamento del primo.