International Communist Party Sulla questione sindacale
 

Perché i comunisti non firmano la delega

(da “Il Partito Comunista”, n.32, 1977)




La decisione della segreteria provinciale della FIDAT-CGIL di Firenze di respingere la richiesta di tesseramento, con pagamento diretto della quota prescritta, a un nostro compagno, ci offre l’occasione per ribadire alcune posizioni caratteristiche del Partito in campo sindacale.

Una di queste posizioni è quella che i nostri militanti rifiutano l’iscrizione al sindacato attraverso il meccanismo della delega, posizione assunta dal Partito fin dall’introduzione di questo metodo di riscossione delle quote, verso la metà degli anni ’60.

La ragione di questo nostro comportamento è semplice: la delega non è un efficace e indifferenziato espediente tecnico studiato per una migliore riscossione delle quote, ma costituisce invece un aspetto necessario della decennale politica traditrice dei vertici sindacali, politica che tende all’inquadramento nelle strutture statali del sindacato; tendenza che noi comunisti contrastiamo e combattiamo giornalmente e in ogni luogo per far ritornare a “legnate” il sindacato alle sue originarie e genuine posizioni di classe.

Sia chiaro che mai il Partito ha considerato la CGIL, nemmeno quando la riscossione avveniva tramite i collettori, un sindacato di classe, un sindacato rosso; la definimmo fin dalla sua costituzione, e la definizione è all’oggi ancor più valida, un sindacato tricolore cucito sul modello Mussolini. Sindacato tricolore nel quale hanno sempre lavorato i comunisti rivoluzionari, i quali, in ogni occasione, hanno propagandato e agitato i vecchi metodi dell’azione diretta e generale di classe, cercando in tutti i modi di contrastare l’asservimento del sindacato allo Stato borghese.

La ragione di questo nostro “interesse” verso le sorti del sindacato è questa: il movimento rivoluzionario futuro di classe dovrà poggiare la sua azione su una base solida ed estesa di organismi sindacali operai veramente autonomi. A questo punto abbiamo delineato due prospettive: o si riconquisteranno a “legnate” i sindacati esistenti a un indirizzo di classe o ne sorgeranno di nuovi.

Sistemati questi presupposti nella pratica quali caratteristiche assume l’azione del Partito in campo sindacale? Assume il carattere di indisciplina totale alle direttive dei vertici sindacali, fatto salvo il non rompere e sabotare gli sporadici scioperi che i bonzi proclamano loro malgrado: insomma i comunisti internazionalisti nel sindacato ci vanno per tirare, appena mettano piede lì dentro e fin quando non ne escano, legnate sulla zucca vuota dei funzionari bonzi.

I comunisti non sono dei servitori della classe che codinamente ne seguono i movimenti e gli scarti; i comunisti si devono abilitare ad essere i dirigenti della classe, il che significa che in ogni momento devono saper anticipare le difficoltà e gli ostacoli che si frappongono all’azione di classe, che in ogni momento devono aver chiaro dove l’azione di classe dovrà ritornare e quali caratteristiche assumerà.

Il nostro rifiuto della delega, rifiuto che il più delle volte significa tirarsi addosso gli inevitabili provvedimenti disciplinari dei bonzi, tipo la non concessione della tessera, non è pertanto una posizione astratta e bizantina, fine a sé stessa; è invece una proclamazione aperta e decisa di battaglia contro tutta la politica sindacale. Con questa aperta dichiarazione di lotta i nostri militanti indicano ai loro compagni di lavoro di picchiare sulla delega in quanto “necessità” della politica sindacale tricolore, che deve basare la sua forza non tanto sull’impegno e sulla combattività degli aderenti al sindacato, ma sul legalitarismo, sul bollo tondo del padrone e dello Stato, che così ricompensano il lavoro impagabile dell’opportunismo per legare i proletari alle sorti dell’economia nazionale. La battaglia anti-delega è, nello stesso tempo, l’affermazione dei caratteri di classe che contraddistingueranno gli organismi economici futuri, che necessariamente risorgeranno all’avvicinarsi del prossimo scontro di classe, caratteri che saranno una struttura organizzativa completamente autonoma e indipendente dal padronato, la difesa incondizionata delle condizioni di esistenza dei lavoratori con il ricorso all’azione diretta e generale di classe.

Si diceva dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei nostri compagni: questo ci permette di sciogliere con facilità un nodo che assilla i mille gruppetti di falsa sinistra e anche i pochi operai che sciaguratamente ne seguono le direttive; il dilemma è: fuori o dentro i sindacati?

I nostri militanti hanno sempre considerato tutti i provvedimenti disciplinari nei loro confronti nulli a tutti gli effetti, e, tessera e non tessera in tasca partecipano a tutte le assemblee e manifestazioni che i bonzi sindacali indicono fra i lavoratori, vi partecipano contrapponendosi frontalmente al sindacalismo tricolore, vi partecipano chiamando i loro compagni di lavoro all’organizzazione per l’opposizione al tradimento della politica sindacale ufficiale. E questo con la tessera o senza tessera.

È evidente poi che l’organizzazione di questa opposizione non può che avvenire contro e fuori delle strutture sindacali delle tre confederazioni.

Il nodo da sciogliere è pertanto un altro ben diverso: o una politica sindacale tricolore o una politica sindacale di classe, o subordinare gli interessi dei lavoratori all’economia borghese o partire dalle esigenze dei lavoratori, fregandosene bellamente degli interessi borghesi.

Invece il dilemma dentro o fuori nasconde il più delle volte la contrapposizione fra due valutazioni diverse sulle “forme” che segneranno la ripresa del movimento rivoluzionario del proletariato: una che considera gli organismi economici vecchi e inutili, per cui la ripresa del moto di classe farà sorgere organismi più elevati, “politici”; l’altra, nostra, che sul risorgere degli organismi economici basa invece le direttrici del lavoro sindacale.

È questa la direttrice, ribadita indicata nel 1952, che i fatti giornalmente confermano, e per la quale il Partito continua il suo lavoro pratico: «Al di sopra del problema contingente in questo o quel paese di partecipare al lavoro in dati tipi di sindacato ovvero di tenersene fuori da parte del Partito comunista rivoluzionario, gli elementi della questione conducono alla conclusione che in ogni prospettiva di ogni movimento rivoluzionario generale non possono non essere presenti questi fondamentali fattori: 1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati; 2) un grande movimento di associazioni a contenuto economico che comprenda una imponente parte del proletariato; 3) un forte Partito di classe, rivoluzionario, nel quale militi una minoranza dei lavoratori ma al quale lo svolgimento della lotta abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese» (da “Teoria e azione nella dottrina marxista”).