International Communist Party Sulla questione sindacale


Per il Sindacato Rosso

(da Il Partito Comunista, n.52 del 1978)




Con un ultimo sciopero “minoritario” gli ospedalieri hanno, con rabbia e fermezza, voluto lanciare un ultimo gesto di sfida al fronte nemico, antioperaio, che, col sostegno incondizionato dello Stato e del regime borghese e per effetto della assenza assoluta dalla lotta delle altre categorie di operai, ha potuto limitare l’area dell’opposizione di classe e procedere al riassorbimento delle spinte più deboli del movimento di sciopero.

Con questo episodio di lotta può considerarsi chiuso, per ora, lo scontro di classe diretto degli ospedalieri, i quali possono vantare al loro attivo due significativi punti. Il primo, quello economico: la conquista di un ulteriore aumento del salario di ventimila lire, che sarebbe stato impossibile senza lo sciopero di ottobre. Conquista che dovrà ancora essere verificata in concreto e per la quale gli ospedalieri dovranno stare in guardia. Il secondo, e secondo noi il più importante, perché meno effimero degli aumenti salariali, è quello di aver dimostrato in modo inoppugnabile quale sia la strada per la ricostruzione dell’organizzazione di classe del proletariato.

Ѐ su questo secondo punto che vogliamo esporre alcune nostre osservazioni e posizioni di Partito, nella convinzione di precisare l’indirizzo verso cui dovrà marciare il proletariato per conquistare la sua emancipazione sociale e il suo affrancamento dal regime politico esistente.

Per noi marxisti è noto che le lotte economiche dei lavoratori, necessarie e indispensabili, sono episodi di difesa dalla offensiva permanente delle classi ricche alla condizione operaia. Come tali le riteniamo insufficienti per la soluzione della questione centrale di classe, quella del potere politico e dello Stato. L’organizzazione di classe del proletariato è l’organo della lotta immediata, nel quale il Partito comunista vero, tramite i suoi militanti, non si limita a infondere forza fisica, ma si impegna a trasmettere gli insegnamenti della storica lotta proletaria per far sì che la classe possa passare dalla difesa all’attacco del potere politico delle classi possidenti, grandi e piccole, quando sarà visibile a tutti i lavoratori che la difesa delle condizioni materiali è impossibile senza il passaggio alla lotta per il rovesciamento del regime esistente e la sostituzione ad esso dello Stato, del potere del proletariato.


VERSO IL SINDACATO ROSSO

Da oltre cinquant’anni la Sinistra Comunista si batte per la ricostruzione di sindacati rossi in opposizione ai fasulli sindacati fascisti e in aperto contrasto con le disposizioni impartite dai falsi partiti comunisti. Questi – a seguito della sconfitta della rivoluzione in Europa, e dell’affossamento della gloriosa Rivoluzione d’Ottobre nel bagno di sangue della vecchia guardia bolscevica – consistevano nella penetrazione nei sindacati corporativi fascisti, divenuti organi integranti dell’apparato statale capitalista.

Già nelle note tesi di Lione del 1926 la Sinistra Comunista indicava come compito immediato la ricostruzione delle Commissioni Interne sui posti di lavoro, quali organi di classe per la difesa dei lavoratori dal dispotismo aziendale, dalla tracotanza padronale e dalla oppressione politica del fascismo. I comunisti erano in prima fila per l’adempimento di questo compito essenziale, sulla base del quale gettare le basi per il ritorno del proletariato tutto sul fronte della lotta di classe e della lotta politica contro il regime totalitario fascista.

Era chiaro a tutti i lavoratori che la ricostruzione dell’organizzazione di classe non poteva prescindere dallo scontro con le forze organizzate delle classi borghesi, rappresentate dal regime fascista e dallo Stato capitalista, con i loro apparati di uomini armati fino ai denti. Tutti eravamo coscienti che anche la sola ed elementare lotta rivendicativa cozzava contro il muro del regime politico. Lottare per il salario, per l’orario di lavoro, per la riduzione della giornata lavorativa, per attenuare l’intensificazione dello sfruttamento, comportava lo scontro con i sindacati fascisti, dietro cui stava l’apparato poliziesco, il governo, lo Stato, il regime fascista appunto del capitalismo.

Dopo la sconfitta bellica del governo fascista nel 1945 nulla è cambiato. Per noi era assiomatico che i sindacati democratici, sostitutivi di quelli fascisti, non avrebbero aperta la fase della ripresa della lotta di classe, della resurrezione dei sindacati rossi, al di là delle sigle esteriori. Se per il Partito questo era chiaro, non lo era e non lo poteva essere per la massa dei lavoratori, che subivano la colossale propaganda delle macchine degli Stati vincitori della guerra, che ripetevano essere finito per sempre il regime della dittatura e della guerra ed essere aperto finalmente quello della pace tra le classi e tra gli Stati, del benessere e della liberazione dai bisogni. Debilitate da sei anni di una guerra che aveva insanguinato tutto il mondo, le masse lavoratrici credettero al miracolo e consumarono le loro energie per realizzare il “regno del benessere”.

Dal 1945 ad oggi la marcia dei sindacati democratici ha insistito nella sola e unica direzione possibile, quella dell’assoggettamento degli interessi operai alla conservazione del regime borghese.

I lavoratori dovevano e dovranno sperimentare nel vivo dei loro interessi la natura antioperaia della politica sindacale, per convincersi che è ineluttabile rovesciare queste organizzazioni e procedere alla costruzione di organi classisti di difesa operaia nel campo economico.


UNA LEZIONE ESEMPLARE

Lo sciopero ospedaliero ha dato l’esempio finora più completo in Italia di che cosa siano questi sindacati democratici tricolore di stampo fascista. Prima di questo esempio, a dimostrazione che la classe operaia soffre dell’assenza di organi di classe in tutto il mondo, ci sono stati gli scioperi degli operai polacchi dei cantieri del Baltico e quello di Radon e Varsavia di due anni fa. Di fronte a questi scioperi “illegali”, la stampa italiana, soprattutto quella di falsa sinistra, si sciacquava la bocca per inneggiare alla democrazia italica e alla dittatura polacca.

Sotto l’aspetto del carattere autoritario del regime nostrano, la precettazione dei netturbini di Napoli, dei lavoratori portuali e dei traghetti di Civitavecchia e dei ferrovieri, è stata anche più significativa dello sciopero dei lavoratori ospedalieri. Ma questo sciopero ha avuto la possibilità di chiarire a tutti i lavoratori salariati che i sindacati stanno dalla parte dello Stato capitalista, dell’economia del profitto, delle classi ricche e borghesi.

Nel numero precedente del nostro giornale abbiamo subito rilevato questa verità scaturita dallo sciopero, contro il quale si sono stretti in fronte unito il governo democristiano e tutti i partiti, compreso, soprattutto compreso, il PCI, seguito dal PSI e da tutti i partiti della “maggioranza”, ma anche la minoranza parlamentare, tutta la stampa, la cosiddetta opinione pubblica, e tutte le Centrali sindacali. Questo è un fatto reale, non una opinione di noi comunisti rivoluzionari, non una interpretazione ideologica e astratta. Questo fronte antioperaio e borghese ha agito da deterrente nella classe operaia, sia impedendo alle altre categorie operaie di solidarizzare nell’azione, sia consentendo alle Centrali sindacali ufficiali di riacquistare capacità di contrattare legalmente col governo, onde poter dimostrare alla classe operaia che senza la tutela di questi sindacati di regime non è possibile il riconoscimento dei suoi diritti. Ѐ così che i sindacati ufficiali e i falsi partiti operai, assieme ai partiti borghesi, hanno dimostrato di costituire un regime contro il proletariato, cioè un modo unitario di lottare contro gli interessi degli operai, di tutti gli operai, e non solo degli ospedalieri.

D’ora innanzi gli operai, soprattutto quelli delle categorie industriali, il cuore della classe operaia, dovranno fare i conti con questo regime ogni qual volta dovranno lottare con determinazione in difesa dei loro interessi immediati.


ANCORA INSEGNAMENTI UTILI

Da questa lezione di carattere generale discendono insegnamenti e riflessioni non meno importanti, che riguardano non la politica sindacale, ormai chiara da tempo, ma se sia possibile utilizzare la struttura sindacale ufficiale a fini classisti. L’esempio degli ospedalieri ha risposto in modo negativo, in linea generale. I “consigli dei delegati”, gli organi sui posti di lavoro, e quindi a stretto contatto con gli interessi della massa operaia, o sono spariti o al massimo e in rari esempi han dovuto mettersi a disposizione dei comitati di sciopero; non pochi, rimasti isolati, hanno fatto i crumiri per dichiarata fedeltà ai sindacati. Degli altri organi periferici e centrali nemmeno a parlarne: hanno fatto quadrato con i vertici e si sono impegnati a raccogliere le membra sparse per tentare di ricucire l’organizzazione. In questo caso la struttura sindacale esistente ha dimostrato di essere marcia, impermeabile a ogni sollecitazione e sentimento di classe.

Delle “solidarietà” a parole, quando la lotta incombe, i lavoratori in sciopero non sanno che fare. Ma non è da trascurare questo atteggiamento solidaristico soprattutto quando viene diffuso da cosiddette “sinistre sindacali”, le quali, non per caso, predicano da qualche tempo “opposizione” ai “vertici sindacali”. Ma, quando si tratta di concretizzare questa opposizione in azioni pratiche e in lotta, si rifugiano dietro la magica e demagogica parola “unità”, che poi è solo unità con i bonzi, solidarietà di fatto con la loro politica anticlassista. Queste “sinistre” traducono le posizioni politiche delle cosiddette “sinistre parlamentari”, tipo Manifesto, Pdup, Democrazia Proletaria, che di recente si “battono” per l’“unità della sinistra”, che dovrebbe andare dal PCI al PSI sino ai radicali, con un risibile programma di “parlamentarismo rivoluzionario” tra partiti che di rivoluzionario non hanno più nemmeno le calze.

Questa “sinistra sindacale”, tuttavia, in questa fase instabile, gioca un ruolo non secondario per impedire ai lavoratori di orientarsi in senso di classe e capire cioè che, ammesso e non concesso che ci sia qualcosa da utilizzare di questi sindacati, ciò è possibile soltanto con vigorose lotte contro la politica sindacale, dove per vigorose intendiamo soprattutto sante legnate sui bonzi e i loro giannizzeri, e non le solite sbrodolate “mozioni” di sfiducia, che puzzano di parlamentarismo e lasciano il tempo che trovano, sino al punto che in non rari casi alla “sfiducia” a parole si associano anche i bonzetti di periferia, e i cosiddetti “sindacati autonomi”, specialisti nel “blocco degli scrutini” nelle scuole, che proclamano dieci volte al giorno e non applicano mai.


E ORA, CHE FARE?

Vedremo se nel corso delle prossime agitazioni i metalmeccanici, i chimici e le altre categorie minori, per i rinnovi dei rispettivi contratti di lavoro, vedremo se sono in grado di accogliere il “grido di battaglia” dei lavoratori ospedalieri e di portarsi su posizioni di lotta di classe.

Le Centrali sindacali valutano il pericolo estremo che potrebbe correre la stabilità del regime, se anche forti schiere di queste categorie dovessero disattendere i falsi ordini sindacali e schierarsi in linea di battaglia fuori e contro il regime, e quindi anche contro i sindacati e i partiti che li puntellano. Infatti, la CISL si atteggia a pose radicali e demagogiche, la UIL assume toni professorali, e la CGIL, tesa verso la prospettiva del PCI al governo, ribadisce con jattanza e sicumera la “politica dell’Eur”, cioè la politica dei sacrifici e della riduzione dei salari, per guadagnarsi dalla borghesia tutta la fiducia che in effetti merita. In queste discrepanze di atteggiamenti politici le Centrali non mettono in discussione il regime, come potrebbe apparire dalle polemiche anche aspre tra bonzi, ma soltanto il modo più efficace per proteggere il sistema capitalistico dallo sfaldamento.

Ѐ quanto mai opportuno, allora, che non solo gli operai seguano l’esempio dei lavoratori ospedalieri, ma che si dispongano anche, in forza della lotta, a ritessere quella rete organizzativa di classe che, partendo dai posti di lavoro, solidifichi la fiducia degli operai in una direzione organizzata per la tutela della condizione materiale degli operai.

In questo senso stanno già impegnandosi gli ospedalieri che hanno capito l’importanza dell’organizzazione, sia perché la pressione capitalistica sui loro bisogni immediati non si è esaurita con la fine dello sciopero, sia perché le conquiste degli ospedalieri devono verificarsi ancora in concreto ed è opportuno e vitale vegliare affinché il lungo e pesante sciopero non finisca in una bolla di sapone e vengano beffati dalle solite capriole dei politicanti, sempre pronti a promettere nei momenti di estremo pericolo e disposti poi a rimangiarsi tutto.

Gli ospedalieri hanno capito che se i loro organi, che hanno efficacemente diretto lo sciopero, dovessero dimettersi ora che lo sciopero è finito, verrebbero a perdere l’unica garanzia per la difesa dei loro interessi, garanzia che lo sciopero ha dimostrato non è in grado di assicurare l’organizzazione sindacale ufficiale, la quale è alleata non dei lavoratori ma delle amministrazioni statali e padronali in genere.

I lavoratori hanno rettamente inteso che il fronte unito antioperaio, rappresentato sui posti di lavoro dai “luminari” della medicina, dagli amministratori, dai sindacalisti e dagli attivisti dei partiti traditori e borghesi, cercherà di far loro pagare la lotta magnifica, che ha fatto gettare la maschera dei privilegiati, sottoponendoli a continui ricatti e concussioni di ogni genere. E che, di fronte a questa rivalsa, ci si può difendere soltanto con l’organizzazione capillare, stringendo le file e denunziando ai lavoratori ogni minimo tentativo dell’avversario.

Questa organizzazione è la solidarietà di classe in permanenza. I lavoratori hanno sperimentato che gli organi sindacali aziendali, nel trasmettere alla base operaia ordini e indirizzi di collaborazione con le direzioni aziendali, non costituiscono mezzi di difesa e solidarietà proletaria nella lotta per la difesa dei bisogni materiali immediati. Per questo avvertono la necessità di darsi organi sensibili ai soli bisogni operai, stabili sui posti di lavoro e collegati tra di loro al fine di ottenere efficienza operativa e indirizzo unitario.

Falsa è l’accusa che essi vogliono costituire nuovi sindacati per soppiantare quelli ufficiali. La stragrande maggioranza dei lavoratori che hanno aderito allo sciopero, hanno esibito le tessere dei sindacati tricolore, a dimostrazione che non erano degli “autonomi” e che non volevano uscire dai sindacati. Ma nel contempo si erano portati sotto le bandiere dei comitati di sciopero, che i loro sindacati consideravano come organi fuori e contro il sindacato. È chiaro allora che lo svuotamento di questi sindacati non sarà il risultato della volontà dei lavoratori, ma dell’esperienza che i lavoratori, tutti i lavoratori, e non solo degli ospedalieri, stanno facendo; esperienza che si concretizza nella constatazione che gli operai si ritrovano dalla parte opposta dei sindacati ogni volta che devono difendersi dalla pressione economica.

Soltanto i comunisti rivoluzionari e i loro simpatizzanti vogliono scientemente distruggere questi sindacati del regime capitalistico, per ricostruire sindacati od organi economici di classe al solo ed esclusivo servizio degli interessi immediati dei lavoratori. Ma i comunisti sono anche coscienti che non si ricostruisce una organizzazione di classe con la sola volontà, con bei progetti studiati a tavolino, ma con la lotta del proletariato, con l’adesione dei lavoratori. E questo traguardo non è vicino. Il percorso per raggiungerlo è irto di difficoltà tali per cui le aspre lotte per conseguire questo decisivo risultato sono dei veri episodi di lotta di classe nel più vasto quadro della guerra civile tra il proletariato e le altre classi della società sostenute dallo Stato politico capitalistico.

D’altro canto il campo dello scontro di classe sino alla sua forma più acuta di guerra civile non l’hanno scelto i lavoratori, ma viene loro imposto dal passaggio dei cosiddetti partiti operai PCI e PSI e dai falsi sindacati di classe, quelli tricolore, al fronte della difesa del regime capitalistico.

Stando così le cose, la difesa operaia non si pone in generale in maniera diversa da come si poneva durante il regime fascista classico. Allora, se gli operai dovevano difendere il pane, erano costretti a scontrarsi con i sindacati corporativi e con il partito fascista, legati strettamente allo Stato borghese. Oggi il partito fascista in camicia nera non esiste ancora, ma il regime dei partiti svolge le stesse funzioni e in modo altrettanto totalitario, e i sindacati, non ancora divenuti formalmente organi dello Stato, si comportano come se lo fossero, mettendo innanzi, cioè, gli interessi della Nazione a quelli del proletariato, agendo per la conservazione della società capitalistica.


VERSO UNA NUOVA FASE

La sopravvivenza relativamente pacifica del capitalismo, vale a dire il periodo dello sfruttamento pacifico del proletariato dei Paesi industrializzati, durante il quale la classe operaia non ha operato come classe nemica delle classi al potere, per effetto della collaborazione dei falsi partiti e sindacati operai con il potere costituito, in Italia sta chiudendosi.

Il segnale premonitore è costituito dalla adesione sempre più stretta e dalla partecipazione sempre più frequente e aperta dei falsi partiti e sindacati operai al regime capitalistico. Questi organi pseudo-proletari sono in prima fila per indicare al capitalismo le correzioni dei suoi “difetti” più aspri, solerti riformatori delle strutture statali per ottenere più efficienza repressiva, volontari escogitatori di “autolimitazioni” dello sciopero, per attenuare al minimo i danni di scioperi sempre più rari e indolori, e aumentare lo sfruttamento, autorevoli estimatori del “contenuto” del “piano Pandolfi”, che altro non è se non un piano per ridurre i salari, aumentare la pressione sui proletari, rinvigorire l’offensiva capitalistica già iniziata contro la condizione operaia.

La crisi economica è un potente acceleratore delle contraddizioni sociali e un moltiplicatore dell’instabilità del regime economico, fattore oggettivo del ritorno prepotente degli operai sul terreno della lotta di classe. È l’ora della verità rivelata per la classe operaia, dove le classi, i partiti, i sindacati mostrano quello che veramente sono, senza possibilità di nascondersi e di mistificare. Questa fase in cui le classi si dovranno guardare negli occhi, si sta aprendo. Sinora il compromesso ha regnato sovrano, le compensazioni hanno attenuato i contrasti, perché le classi hanno avuto qualcosa da scambiarsi manipolando la massa del profitto estorto al lavoro salariato, lasciando qualche briciola alle aristocrazie del lavoro e scaricando sullo Stato debiti su debiti con la prospettiva che li paghino le giovani generazioni di lavoratori. Ora i debiti si pagano con i profitti o con minori salari. Ma il bilancio dello Stato è ai limiti del collasso e qualsiasi governo capitalistico dovrà costringere la classe operaia a lavorare di più e a guadagnare di meno. Il “piano Pandolfi” è soltanto un timido schema per spremere i lavoratori. Altri “piani” verranno, se la classe operaia non saprà ricostruire i suoi organi di classe per difendersi e attaccare; per abbattere questo regime.

La fase nuova che si sta aprendo è caratterizzata, appunto, da queste due opposte necessità di classe: la classe capitalista, per salvaguardare i suoi privilegi, deve accrescere il suo potenziale dittatoriale sulla classe operaia, ora che il proletariato è disarmato, privato degli strumenti della lotta di classe, il Sindacato rosso e il Partito rivoluzionario; la classe operaia, per non essere stritolata nei suoi interessi immediati, economici e sociali, deve buttare a mare ogni illusione pacifista, riformista, democratica e procedere ad ingaggiare una lotta senza quartiere, sull’onda della quale ricostruire la sua organizzazione di classe e dirigersi nel senso del comunismo rivoluzionario.