International Communist Party Sulla questione sindacale
 

L’indirizzo del Partito ai lavoratori che si oppongono al tradimento sindacale

(da “Il Partito Comunista”, n.57, 1979)




La nascita e l’affermarsi nella classe operaia di una forma organizzata di difesa immediata che esprima la lotta di resistenza proletaria al di sopra della frammentazione aziendale costituirebbe oggi una importantissima prima vittoria e netta inversione di rotta rispetto al cinquantennale inserimento dei sindacati nell’attrezzaggio repressivo del regime borghese. Lavorando in tale prospettiva i nostri compagni sono intervenuti alle assemblee recentemente convocate dalla cosiddetta “Opposizione operaia”.

I professionisti del compromesso e della confusione, già sinistra sindacale dichiarata, si sono invece mobilitati, e peggio faranno in futuro, per ritardare e disorientare il riaggregarsi dei primi nuclei proletari sul terreno della lotta contro il Capitale e contro gli ormai suoi strumenti sindacali. I loro interventi che hanno trovato compiacente risonanza sui giornalacci dell’estrema sinistra borghese, spingono nella trappola delle “contraddizioni” interne ai sindacati, utilizzabili chi sa come, ed ironizzano su chi richiede la “purezza” dell’opposizione, che per noi significa l’indispensabile rottura drastica con un passato di sottomissione incondizionata del proletariato e dei suoi organismi alle necessità capitalistiche. Via di mezzo non c’è, il compromesso qui è impossibile se l’obiettivo nostro è strappare le masse degli sfruttati da simili pratiche pacifiste e per l’organizzazione di veri scioperi.

Sappiamo che il prevalere nello scontro, che prevediamo durissimo, dell’indirizzo di classe sul sabotaggio del multiforme opportunismo dipenderà in grande misura dalla estensione e dalla forza del movimento operaio, della rete dei gruppi sindacali comunisti, oggi ridotti a dimensione minima. L’affermarsi di una struttura nazionale sindacale di classe non effimera richiederà infatti il concrescere della attiva presenza nel proletariato dell’univoco indirizzo comunista rivoluzionario.

All’interno di questa prima opposizione la nostra frazione sindacale ha diffuso il testo che qui segue il cui programma di definizione e d’azione costituisce l’unica base sulla quale è possibile attestarsi contro gli attacchi opportunistici di collusione col nemico e sulla quale chiamiamo tutti i lavoratori a battersi e ad organizzarsi.

 

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PRIMI SEGNI DI RIBELLIONE AL TRADIMENTO DEI BONZI SINDACALI E DI RIPRESA DELLA LOTTA DI CLASSE

Il piano con cui il regime capitalistico tenta di arginare la sua crisi economica e sociale si traduce per i lavoratori di tutte le categorie in aumento dello sfruttamento, licenziamenti e disoccupazione crescente, diminuzione del monte salari.

Questo piano non potrebbe riuscire senza la collaborazione degli organismi sindacali attuali che svolgono la funzione di impedire una netta separazione degli interessi di classe, trascinando gli operai sul terreno della collaborazione patriottica con gli sfruttatori, dietro un preteso “interesse generale del paese” che nasconde soltanto i privilegi delle classi ricche.

Le attuali organizzazioni sindacali svolgono perciò la funzione di sindacati di regime; sindacati “tricolore”, cioè al servizio della “patria” e non dell’interesse di classe dei proletari. Per far questo essi hanno bisogno del “diritto di esclusiva” nel rappresentare i salariati nelle vertenze di lavoro, e questo “diritto” è stato loro concesso dal regime sia in sede legislativa sia di fatto con la consegna di non trattare mai con gli organismi spontanei dei lavoratori quando questi si muovono in contrasto con le direttive sindacali ufficiali. I bonzi sindacali di fronte allo Stato e ai padroni si sono assunti il compito non solo di firmatari dei contratti collettivi ma anche di garanti della pace sociale e della disciplina sui luoghi di lavoro. Perciò essi cercano di impedire con ogni mezzo il sorgere di organismi spontanei di lavoratori che sfuggano al loro controllo e si muovano in senso classista.

In questo senso un ruolo fondamentale viene svolto dalla sinistra sindacale nelle sue varie sfumature che oggi si è assunta il compito di ricondurre i lavoratori che si ribellano sotto il controllo delle Centrali sindacali, contrapponendo alla necessità di muoversi in maniera autonoma la possibilità di una azione interna alle strutture sindacali con la semplice utilizzazione dei mezzi statutari (assemblee, congressi, ecc.).

Di fatto la classe proletaria si trova oggi semidisarmata di fronte all’offensiva capitalistica, che può svolgersi indisturbata perché mancano delle solide ed estese organizzazioni di classe per la difesa degli interessi proletari. Questa organizzazione è oggi più che mai necessaria e sono i fatti a porla all’ordine del giorno. Non si tratta di costruire il quarto sindacato accanto a quelli attuali, ma di porre le basi per la rinascita dell’unica vera organizzazione operaia di classe, che oggi purtroppo non c’è e che potrà risorgere soltanto sul cadavere degli attuali sindacati di regime. Questa rinascita non è né facile né vicina e non sarà certo pacifica e indolore: essa dovrà sorgere non a tavolino da elucubrazioni teoriche, ma dalle lotte reali e come uno strumento indispensabile per condurre le lotte stesse.

Questi lavoratori si sono dovuti organizzare da soli e si sono scontrati, prima ancora che contro l’apparato del regime, contro i sindacati ufficiali che, non solo ai vertici ma anche (nella stragrande maggioranza) nelle strutture di base, hanno sabotato con ogni mezzo le lotte ricorrendo al crumiraggio, all’intimidazione, alle falsità, alla denuncia alla polizia. Da queste esperienze non si può prescindere; non si può cioè negare il fatto ormai evidente che qualsiasi lotta rivendicativa anche per obbiettivi limitati deve oggi scontrarsi prima di tutto con gli organismi sindacali ufficiali.

Un’altra verifica importante è costituita dal fatto che queste lotte sono state spontanee nel senso che masse di lavoratori si sono mosse all’unisono e organizzate in maniera quasi improvvisa. Non bisogna però dimenticare che questa spontaneità si è incontrata con piccoli gruppi di lavoratori che da anni si erano organizzati sul terreno di classe, avevano da molto tempo rotto con i bonzi sindacali e con la sinistra sindacale, avevano svolto sul posto di lavoro un’opera costante di denuncia, di agitazione, di difesa degli interessi materiali dei lavoratori. Senza la presenza di questi piccoli nuclei decisi e organizzati gli scioperi forse vi sarebbero stati ugualmente ma non si sarebbero mai potuti sviluppare con la forza, l’estensione, la durata che hanno dimostrato.

Ciò che si è verificato nel pubblico impiego si verificherà ben presto anche nelle categorie operaie più importanti dove – è facile previsione – la lotta sarà molto più aspra. Il comportamento dei bonzi sindacali è univoco; essi tradiscono tutti i lavoratori ed è falso contrapporre ad esempio a una FLO “cattiva”, una FLM “buona” o più a sinistra. Sono le situazioni diverse: è indubbio che in generale i salari dell’industria sono più alti di quelli del pubblico impiego e non va inoltre dimenticato che la grande cautela che i bonzi mostrano con i metalmeccanici deriva anche da paura. Questa categoria è infatti concentrata in masse enormi nei centri industriali più vitali e sottoposta nelle fabbriche a un regime da caserma: è presumibile che quando si muoverà non lo farà certo rispettando il “galateo sindacale”.

Per quanto detto sopra riteniamo perciò della massima importanza che tutti i gruppi di lavoratori che vogliono muoversi in senso anticapitalista e classista, uniscano le loro forze in una comune battaglia contro il comune nemico.


L’“OPPOSIZIONE OPERAIA”

L’iniziativa di riunire i gruppi di opposizione con le riunioni del Lirico II, di Firenze, di Trento e l’ultima di Milano, rappresenta perciò un fatto positivo che può essere validamente utilizzato per unire tutte le forze genuinamente classiste.

Vi sono però a nostro avviso dei seri pericoli che crediamo sia interesse di tutti evitare.

1) Il tentativo da parte di alcune organizzazioni politiche di utilizzare i gruppi di opposizione operaia come cassa di risonanza per la propria propaganda elettorale. In questo senso sono venuti a Milano inviti espliciti da parte di un “onorevole molto a sinistra” (o aspirante tale), per ora miseramente falliti.

2) Il rischio ben più grave che l’attività dei gruppi di opposizione si sposti dal terreno dell’agitazione e dell’azione quotidiana e modesta sui posti di lavoro a quello – secondo noi falso e paludoso – della discussione accademica e intellettualoide: lunghe analisi, sottili distinguo, fantastici piani di “riforma dei servizi” che nessuno prenderà mai in considerazione, estenuanti discussioni nelle quali spiccano i parlatori di mestiere, ma non un solo volantino chiaro e tagliente che denunci a tutti i proletari i nuovi tradimenti dei bonzi. È un fatto che dopo quattro riunioni (una a Trento, due a Firenze, una a Milano), non siamo stati ancora in grado di diffondere un testo che, se non altro dicesse pubblicamente che cos’è l’Opposizione operaia. Il fatto è che questo non lo sappiamo neanche noi!
     Inoltre, sostengono alcuni: “ai lavoatori certe cose non si possono dire”. È una visione piuttosto diffusa tra l’“intelligenza” (per la verità poco intelligente): da una parte i grandi cervelloni che ponzano e dall’altra la massa informe dei lavoratori – mongoloidi o quasi – ai quali il prodotto delle ponzature deve essere somministrato a piccole dosi.

3) Non essendo state preventivamente chiarite le basi di azione comune permane un equivoco di fondo per cui attualmente sembrano convivere le posizioni più contrastanti. A Firenze, ad esempio, un compagno milanese presentandosi come “rappresentante degli ospedalieri del Niguarda” (cosa tutta da verificare) ha sostenuto in commissione che “non si può affermare apertamente che i dirigenti sindacali sono nemici della classe operaia”. Diversi compagni poi si sono esibiti nella critica professorale degli scioperi ospedalieri e degli assistenti di volo, formulando le accuse più varie e gratuite (naturalmente nessuno di questi critici mosse un dito per aiutare i lavoratori durante gli scioperi). A Milano un ospedaliero di Orbetello (membro del direttivo del Consiglio dei delegati) ha espresso con la massima disinvoltura posizioni di tipo nazionalistico parlando di “nostra economia” che i sindacati starebbero svendendo.

Gli stessi compagni che esprimono queste posizioni si preoccupano poi in maniera sproporzionata – e quanto meno sospetta – della regia delle assemblee (che sono regolarmente presiedute da loro) e ciò, considerando il numero non elevato dei partecipanti, può avere un senso soltanto in previsione di uno scontro di posizioni. Gli stessi compagni, infine, hanno in mano la redazione del bollettino e i collegamenti.

Ricordiamo questi fatti non per lanciare ridicole grida di lesa democrazia, né per mettere sotto accusa qualcuno, ma soltanto per dimostrare come gli scopi della Opposizione operaia siano ancora tutti da definire essendovi posizioni non soltanto diverse, il che è normale, ma addirittura in netto contrasto tra loro nel senso che l’una esclude l’altra. I gruppi attestati su chiare posizioni di classe, sono riusciti a ottenere l’impegno che il documento di Trento e il testo sui contratti metalmeccanici vengano inseriti nel bollettino.

Domandiamoci però se ci è utile e che senso può avere un bollettino che esprima posizioni che fanno a cozzi tra loro: nella misura in cui verrà diffuso (il che è da vedere) provocherà disorientamento e confusione.

Qui non valgono generici appelli alla unità che hanno un senso solo tra quelle forze che marciano nella stessa direzione e non tra avversari. È appunto questo che finora si è dato per scontato e che invece non lo è affatto.

Secondo noi, mentre nell’azione pratica, nello sciopero non si devono porre discriminanti per nessuno e realizzare il più ampio schieramento, in questo caso si devono porre dei limiti netti e taglienti perché nell’opposizione operaia, dopo le verifiche degli scioperi ospedalieri e assistenti di volo, dopo l’esperienza di altre lotte minori e di numerosi gruppi operai spontanei, non possono avere diritto di cittadinanza posizioni ambigue nei riguardi dei bonzi sindacali (che devono essere sempre pubblicamente denunciati per quello che sono: sgherri del regime!) e della difesa incondizionata e con tutti i mezzi dei bisogni dei lavoratori.

Il permanere di questo equivoco non solo non rafforzerà chi vuol lottare su basi di classe, ma provocherà una grave immobilizzazione delle nostre forze.



PROPOSTA DI BASI DI AZIONE COMUNE

Perciò riteniamo indispensabile che prima di ogni altra cosa si chiariscano le basi comuni sulle quali ci vogliamo muovere e quindi gli scopi della opposizione operaia.

Queste basi, secondo noi, non possono prescindere dai seguenti punti.

1) Dichiarazione netta e senza equivoci che gli attuali sindacati nella loro politica e nella loro struttura organizzativa sono sindacati di regime e difendono interessi contrari a quelli della classe operaia;

2) Necessità del risorgere di organizzazioni di classe in lotta aperta contro gli attuali sindacati, che impugnino i metodi della lotta di classe e dell’azione diretta e respingano la cosiddetta “solidarietà nazionale” che vuol dire soltanto sottomissione agli interessi delle classi ricche.

3) Queste organizzazioni devono essere aperte a tutti i lavoratori occupati e disoccupati, senza nessuna preclusione di carattere politico o ideologico, ma chiuse ai membri delle altre classi o strati sociali. Esse devono proporsi la difesa incondizionata e con tutti i mezzi delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari occupati e disoccupati.

4) Definizione chiara e netta delle rivendicazioni che, in ogni categoria, devono partire non da elucubrazioni cervellotiche né da un preteso interesse generale, ma esclusivamente dai bisogni proletari, che possono sinteticamente esprimersi nei seguenti obbiettivi generali:
     A – aumenti salariali inversamente proporzionali, cioè maggiori per i peggio pagati e non legati a nessuna professionalità ma soltanto alle esigenze di vita;
     B – rifiuto degli straordinari, dei cottimi, degli incentivi e di qualsiasi aggravio dei ritmi o dell’orario di lavoro;
     C – riduzione della giornata lavorativa in tutti i settori e corrispondente assunzione dei disoccupati;
     D – abolizione delle forme di lavoro precario e assunzione piena dopo sei mesi di lavoro;
     E – salario integrale ai disoccupati e comunque assicurazione dei mezzi per vivere ad essi e alle loro famiglie.

Su queste posizioni (che andranno naturalmente precisate e formulate meglio) riteniamo che tutti ci si debba pronunciare perché senza essersi accordati preventivamente su questi punti è impossibile qualsiasi organizzazione comune che dia dei risultati pratici.

Al di fuori di esse si dà spazio all’opportunismo di chi vuole soltanto utilizzare le lotte economiche per scopi che non hanno nulla a che vedere con le necessità di vita dei proletari e alle cervellotiche elucubrazioni intellettualoidi che nascondono il più totale disprezzo per i bisogni materiali dei lavoratori.

Gruppi lavoratori comunisti internazionalisti