Partito Comunista Internazionale
il Partito Comunista Internazionale N. 435 - anteprima

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Aggiornato 30 agosto 2025

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DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: – la linea da Marx a Lenin, alla fondazione della III Internazionale, a Livorno 1921, nascita del Partito Comunista d’Italia, alla lotta della Sinistra Comunista Italiana contro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani – la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco
PAGINA 1 – La Palestina di oggi sarà il mondo di domani
Lunedì 22 settembre: Gaza è il futuro del capitalismo per il Mondo - Solo la lotta della classe lavoratrice ha la forza per impedirlo
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Per il sindacato di classe – 
PAGINA 4 – 
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PAGINA 6-7
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PAGINA 1


La Palestina di oggi sarà il mondo di domani
Se i lavoratori di tutti i paesi non insorgono a fermare il rapace e sanguinario capitalismo

La vasta indignazione, rabbia, orrore suscitato dal massacro a cui da quasi due anni sono sottoposti i palestinesi nella Striscia di Gaza e il desiderio di fare qualcosa per alleviare la loro insostenibile condizione si sta manifestando nella diffusa adesione alla raccolta e invio di viveri e nel rifiuto dei lavoratori portuali di molti paesi ad imbarcare armi destinate al conflitto.

Per altro, è evidente che vi sono forze potenti nel mondo che fomentano la prosecuzione delle distruzioni e si oppongono alla pace, indifferenti a qualunque sentimento umano. Le motivazioni anche di questo conflitto infatti sono di politica internazionale, che non possono essere risolte sul piano umanitario.

Non solo a Gaza si manifesta la barbarie della guerra: più vittime ancora hanno provocato la guerra civile in Siria dal 2011 al 2018 e la carestia in Sudan. Perché la causa della carneficina di palestinesi, altrimenti inspiegabile, non è locale ma comune a tutti: è il capitalismo. Anche una sua ipotetica soluzione non gli impedirebbe di continuare a generare altri conflitti, marciando verso la terza guerra mondiale.

Ciò che oggi rende speciale la distruzione di Gaza è che da una parte del fronte è condotta da uno Stato democratico – l’“unica democrazia del Medioriente”, si afferma – sostenuto dalla “più grande democrazia del mondo”, cioè dagli USA, sia dalle amministrazioni democratiche sia da quelle repubblicane, e dalle altre democrazie, a cominciare dalla Germania e dall’Italia.

Le democrazie compiono massacri e guerre al pari dei regimi autoritari. E ciò perché sono tutti regimi borghesi, capitalisti: la forma di governo – democratica, autoritaria, teocratica – ha valore solo in quanto più o meno utile a mantenere il controllo sulla classe lavoratrice.

Non è perciò appellandosi alle Istituzioni e al diritto internazionale che si può sperare di porre fine a questo e agli altri conflitti, perché i soggetti a cui ci si appella, gli Stati borghesi, sono i veri mandanti delle guerre: sia quando direttamente impegnati sia quando agiscono per procura.

Se da un lato lo Stato Israeliano è un vassallo degli USA, che difende i loro interessi nell’area cruciale del Medioriente, le potenze regionali e mondiali che fingono di sostenere i palestinesi lo fanno solo per contendere mercati e dominio mondiale al primo imperialismo mondiale. Solo a questo scopo Iran, Qatar, dietro di loro la Cina, sostengono Hamas – i cui capi borghesi vivono all’estero nel lusso.

Hamas è stato nei suoi primi anni finanziato dallo Stato israeliano e per molti anni ancora dal Qatar attraverso un accordo ufficiale con Israele. Con il massacro del 7 ottobre 2023, in cui ha trucidato civili israeliani, fra cui molti pacifisti, nonché proletari immigrati, ha offerto il regalo più gradito al militarismo delle borghesie israeliana e statunitense. Questa guerra è stata voluta da Hamas e dalle potenze alle sue spalle non meno che dal governo israeliano. I gazawi sono vittime di due carnefici, come sempre è per il proletariato nelle guerre imperialiste.

Le guerre nel capitalismo non sono provocate dalla malvagità o follia di questo o quel capo di Stato – Hitler, Saddam, Putin, Trump, Netanyahu – né da ideologie particolarmente reazionarie – il nazifascismo, l’islam radicale, il sionismo religioso – ma sempre dagli enormi interessi economici tutelati dagli Stati nazionali borghesi. Il capitalismo ha bisogno della guerra per sopravvivere alla crisi economica di sovrapproduzione che come un cancro lo divora ogni giorno di più. Per questo i conflitti si moltiplicano e si va in direzione di un terzo conflitto mondiale.

Descrivere ogni singolo conflitto come un caso speciale è sempre servito ai regimi borghesi a giustificarlo, a spingere i proletari al massacro fratricida coi lavoratori degli altri paesi. A Gaza e in Israele non si muore né per il sionismo né per l’islamismo ma per il capitalismo! Così come la Seconda Guerra mondiale non fu per combattere il nazifascismo – con cui tutti gli Stati borghesi, compresa l’URSS staliniana falsamente socialista, fecero affari fino al giorno prima del conflitto – ma per una nuova spartizione del mondo.

Se la guerra è fatta per interessi economici essa può essere fermata solo da una forza in grado di strozzare gli Stati borghesi colpendo questi interessi, cioè i profitti. Questa forza la ha solo la classe lavoratrice in tutti i paesi.

Per quanto ammirabili e apprezzabili, le manifestazioni d’opinione sono impotenti di fronte alla micidiale macchina bellica degli Stati borghesi. In Israele molti riservisti disertano. Da più di un anno ogni settimana sono organizzate manifestazioni pacifiste per fermare la guerra, sempre più partecipate, con l’ultima che ha visto oltre 300 mila persone in strada. Ma finché queste mobilitazioni non si eleveranno al piano di uno sciopero generale di più giorni, non fermeranno il regime borghese israeliano. Non a caso la dirigenza dell’Histadrut, il maggiore sindacato del paese, legato a doppio filo alla borghesia nazionale, sta facendo tutto ciò che le è possibile per impedire questo sviluppo.

La grande maggioranza degli uomini non vuole la guerra, eppure in essa si trovano trascinati, perché la politica non è determinata – come secondo l’ingannatrice ideologia democratica – dalla maggioranza delle opinioni, ma dalla forza delle minoranze organizzate. Ogni Stato borghese è una minoranza organizzata, coi suoi corpi militari e di polizia e le gerarchie di comando, resa forte dal potere economico.

Ma la classe proletaria, organizzata in grandi sindacati combattivi e diretta politicamente da un partito con un chiaro programma rivoluzionario, ha una forza ancora superiore. 15 milioni di voti non sono serviti a vincere i moderati quesiti referendari promossi dalla Cgil. 3 milioni di lavoratori, organizzati in un vero sindacato di classe, in sciopero generale a tempo indeterminato, possono mettere in ginocchio ogni governo borghese. Diretti da un partito autenticamente rivoluzionario che inquadri alcune decine di migliaia di loro possono sovrastare il potere della borghesia, fermare la guerra, prendere il potere ed emancipare l’umanità dal capitalismo.

Contro la guerra a Gaza, contro la guerra in Ucraina, bisogna battersi entro i sindacati affinché sia agitata la parola d’ordine di uno sciopero generale internazionale contro la guerra imperialista che ponga alla sua testa la parola dell’unità internazionale di tutti i lavoratori, compresi israeliani e palestinesi!

Solo questa solidarietà e battaglia internazionale della classe operaia verrà ad emancipare anche i palestinesi, come tutte le minoranze nazionali, dalla infame oppressione quasi secolare cui sono sottoposti.








Lunedì 22 settembre
Gaza è il futuro del capitalismo per il Mondo
Solo la lotta della classe lavoratrice ha la forza per impedirlo

Ventuno mesi di guerra hanno fatto crescere nel mondo la rabbia e l’indignazione per il massacro, assurto a genocidio, della popolazione della Striscia di Gaza. Sempre più persone sentono finalmente il bisogno di agire collettivamente contro questa barbarie e di dimostrare che indifferenza, individualismo, rassegnazione – alimentati dal capitalismo – non sono una dato irrevocabile.

Oggi è stato compiuto un passo in avanti molto importante in questa direzione: i sindacati di base USB, CUB, SGB e ADL – coi portuali dell’USB di Genova che hanno aperto la strada – hanno convocato lo sciopero generale, elevando un vasto movimento d’opinione a un’azione di lotta della classe lavoratrice.

Ciò è fondamentale perché la guerra a Gaza ha dimostrato che nel capitalismo contano solo i rapporti di forza non le opinioni, anche se espresse da milioni di persone.

La democrazia, come forma politica e ideologica, serve alla classe dominante per nascondere questa cruda realtà alla classe operaia e per illuderla che si possa cambiare lo stato delle cose presente con i riti elettorali e i dibattiti televisivi. Ma i regimi che adottano forme politiche democratiche conducono, sostengono, traggono vantaggi da guerre e massacri, esattamente come quelli apertamente autoritari: ciò perché sono tutti regimi capitalistici che mettono il profitto, e quindi gli interessi del capitalismo nazionale, sopra a tutto.

I sentimenti che il genocidio a Gaza scatena non devono impedire di vedere che non si tratta di una stortura eccezionale del capitalismo ma di una barbarie che si colloca nella sua marcia verso la terza guerra mondiale. Gaza è il futuro che spetta ai lavoratori di tutto il mondo se non sapranno organizzarsi e lottare adeguatamente.

Non sono la follia di un capo di Stato, le ideologie o le religioni a provocare la guerra nel capitalismo ma gli interessi economici e la necessità di mantenere oppressa la classe operaia. Israele è uno Stato vassallo degli Stati Uniti come Hamas lo è di potenze regionali – Qatar, Turchia, Iran – dietro cui si staglia l’imperialismo primo rivale degli USA, cioè la Cina.

A spingere il capitalismo verso la guerra mondiale è la sua crisi economica di sovrapproduzione che riducendo i margini di profitto aumenta le tensioni tra i diversi Stati e gruppi imperialistici. La guerra serve a distruggere le merci in eccesso – fra cui la merce forza-lavoro – e far ripartire un nuovo ciclo di accumulazione del capitale: solo la seconda guerra mondiale permise il cosiddetto boom economico dei decenni successivi. Ora che in modo conclamato anche la Cina è entrata in sovrapproduzione, la concorrenza sui mercati mondiali si incrudisce, si accendono sempre più numerose le guerre regionali, tutti gli Stati borghesi corrono al riarmo e la marcia verso la guerra mondiale accelera.

Anche gli Stati d’Europa hanno lanciato il loro piano di riarmo e promettono di più che raddoppiare la loro spesa militare portandola fino al 5% del PIL sottraendo risorse ad altri capitoli di spesa come la sanità, la scuola, le pensioni, i salari. Per convincere il proletariato ad accettare questi sacrifici si soffia sul fuoco dei pericoli di guerra, sulla minaccia rappresentata da altri Stati, si cerca di creare un clima di paura.

Lo sciopero contro la guerra dunque non è solo una manifestazione d’opinione dei lavoratori è soprattutto un atto concreto contro di essa. Di fronte alla richiesta di nuovi sacrifici per il riarmo e la guerra il proletariato risponde con lo sciopero. Scioperare oggi contro il genocidio a Gaza e contro la macchina della guerra che avanza nel mondo, significa lottare in difesa dei salari, delle condizioni di lavoro, della spesa sociale che tutti i partiti borghesi, di destra e di sinistra, vogliono tagliare. E quando i lavoratori lottano per i propri interessi di classe sociale sfruttata, anche se ne sono inconsapevoli, stanno lottando contro la guerra. Colpendo i regimi borghesi con lo sciopero nella loro ragion d’essere – i profitti della classe padronale – possono piegarli e fermare la guerra. Non si tratta di “convincere” la classe dominante, cadendo ancora una volta nell’inganno della democrazia, ma di piegarla con la forza dello sciopero, della lotta di classe. Un movimento di sciopero, contro la guerra che avanza in tutto il mondo, che dovrà divenire necessariamente internazionale.

Lo sciopero di oggi non certo per caso è stato convocato dai soli sindacati di base. UIL e CISL hanno detto chiaramente di essere contrari. La CGIL, che non aveva mai dichiarato di voler ricorrere allo sciopero contro la guerra a Gaza, ne ha proclamato uno in fretta e furia per lo scorso 19 settembre, quando si è palesato che lo sciopero di oggi aveva probabilità di successo notevoli. Questa spudorata azione di sabotaggio contro lo sciopero dei sindacati di base conferma che la CGIL è un sindacato di regime, legato cioè mani e piedi alla classe dominante e al suo regime politico, e che un autentico sindacato di classe può rinascere solo fuori e contro di essa.

In tutti i paesi la classe operaia deve battersi contro il sindacalismo di regime che lega le sorti dei lavoratori a quelle dell’azienda e del capitalismo nazionale, che chiamano “patria” o “paese”, per costruire veri sindacati di classe. In Germania la maggiore confederazione sindacale (DGB) sostiene il piano di riarmo. Anche in Israele, dove da mesi ogni settimana centinaia di migliaia di persone scendono in piazza contro la guerra e sempre più riservisti rifiutano il richiamo, fino a che il movimento non assurgerà a lotta della classe lavoratrice non sarà possibile fermare la guerra voluta dal regime borghese israeliano. Ma per far questo dovrà essere spezzato il controllo del sindacato israeliano di regime Histadrut sui lavoratori, che si è opposto allo sciopero generale contro la guerra e allo sciopero degli insegnanti contro il taglio dei salari in conseguenza dell’economia di guerra.

Contro la guerra a Gaza, contro la guerra in Ucraina, bisogna battersi entro i sindacati affinché la parola d’ordine dello sciopero generale si estenda a livello internazionale, contro la guerra imperialista nel nome dell’unità internazionale di tutti i lavoratori, compresi palestinesi e israeliani!

- Contro le guerre imperialiste
- Per la guerra tra le classi
- Per la rivoluzione comunista!